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martedì 4 luglio 2017

Marc Augé, Le nuove paure.

Il tratto comune delle nuove paure e la distinzione tra paure "sane" e insane minacce, nella descrizione di Marc Augé.
🖋Post di Gian Maria Zavattaro
🎨Immagini dei dipinti del pittore tedesco Paul Klee (1879-1940).

Paul Klee, 
Attacco di paura
Secondo M. Augé “le nuove paure” non sono poi tanto nuove se non per il fatto che si diffondono istantaneamente e dappertutto ed ognuno di noi si trova ad essere ovunque e da nessuna parte. I motivi per avere paura sono diversissimi, legati a mille variabili individuali e collettive. Altrettanto eterogenea è la tipologia delle paure: indotte dall'ignoranza (la più temibile per Augé), dedotte dalla conoscenza (“o più esattamente dal fatto di sapere di non sapere”) (1), paure da ricchi e paure da poveri, dettate dalle enormi divergenze di interessi sul piano sociale ed economico, che “incutono paura le une alle altre: paure delle paure, paure al quadrato in un certo senso”(2). E tutte si contagiano, si sommano, si influenzano a vicenda generando panico e angoscia: il “groviglio della paura”.(3) Se le paure non hanno lo stesso significato, non hanno neppure le stesse connotazioni emotive: io posso avere paura della guerra, delle tensioni internazionali, degli stranieri, dell'inquinamento ambientale ed altro ancora... e non provare alcuno “choc corporeo”. Altra cosa è l'angoscia immediata, la preoccupazione intima personale, la disperazione di chi ha paura del domani per il suo lavoro precario, per la sua pensione, per la futura sopravvivenza dei figli.
Paul Klee, 
Luogo colpito
Tuttavia in tutte queste eterogenee paure c'è un tratto comune, un fatto nuovo: sono indifferentemente oggetto di intenso sfruttamento mediatico, di accostamento ed accumulo arbitrario di minacce ed orrori di diversa portata che compongono un paesaggio irreale mediatico, dove i fatti possono essere esatti e meritare ognuno attenzione, ma l'effetto è una successione artificiale di immagini senza distinzione, fiction globale che sostituisce i singoli avvenimenti, generando uno stordimento che non colpisce nessuno in particolare ma che diventa la paura di tutti. L'Occidente, dimentico del “non abbiate paura” di Giovanni Paolo II, è frastornato dall' “abbiate paura” di Bin Laden (4). Gli atti terroristici che si stanno puntualmente susseguendo, “condensato delle follie e dei furori che minacciano il mondo”, sono percepiti come incontrollabili: bombe umane decise a morire, che esplodono con le loro vittime, si sacrificano per assassinare gli altri e rappresentano la forma più perversa di ciò che gli etnologi chiamano “possessione”. Nel caso del kamikaze la possessione è tre volte atto di morte: porta con sé l'esplosivo che lo ucciderà; fa morire chi lo circonda; il messaggio trasmesso dalla sua organizzazione contiene nuove minacce di morte incombente(5). “Il concatenamento delle paure è l'arma totale di ogni terrore”. 
Eppure, contraddittoriamente, accanto al “regime delle paure” convive l'individualismo di chi, rispetto al terrore e al panico delle persone coinvolte, non trae motivo di eccessiva inquietudine per gli altri, perché trincerato nell'isolamento dell'indifferenza assuefazione miopia: modalità di non-rapporto con gli altri che Augé ritiene sempre più diffusa. 
Paul Klee, 
Teatro di marionette
A proposito del clima di assuefazione all'indifferenza ed alla mancanza di legami sociali che ormai tutti respiriamo, in tre pagine imprevedibili ci viene presentato un esempio emblematico. Sono le telefonate che intratteniamo con gli “specialisti del contatto con i clienti” delle multinazionali di tutto il mondo. Ma Augé non si preoccupa del “consumatore”, bensì dello stress dell'anonimo altro. E' la voce sempre amabile e premurosa (viene da chissà dove, Albania?) di colui o colei che mi risponde quando mi innervosisco al telefono per la gimkana labirintica dei numeri cui debbo sottopormi (premi 1... premi 2....premi 3 opp. chiama il n° x...y...z... e la danza ricomincia). Alla fine la voce ringrazia, saluta, ti avverte che ti arriverà un sms in cui potrai votare il grado di soddisfazione del servizio. Se poi richiami, segui da capo le istruzioni fornite da altra voce graziosa che ti dice che la conversazione potrebbe essere registrata, stima il tempo di attesa in tot minuti, tu ascolti impaziente il motivetto preregistrato, finalmente ancora un'altra voce ti risponde premurosa come la prima (tremenda antitesi con l'ingranaggio tecnologico teso a mungere il “cliente”, ovvero il consumatore, rendendolo “soddisfatto”). Ebbene, a quanti clienti in sequenza risponde pazientemente ognuna di queste voci, a quante domande impazienti ed anche angosciate? Immaginiamo lo sforzo richiesto da questa disponibilità indefinitamente rinnovata, sottoposta a continue tensioni nervose: questi “specialisti del contatto con i clienti”, con i loro miseri stipendi e le loro nascoste convinzioni sul sistema che servono, devono superare una doppia tensione, la loro fatica e il nervosismo dei consumatori spesso esasperati dall'attesa e dall'anonimato dei messaggi registrati.
Paul Klee, 
Perso
L'emblema descritto è per Augé il paradigma dell'ostinata brutalità di una capillare gestione di non-relazioni su cui pesa “il dubbio dell'incompetenza del sistema capitalistico in generale”(6), il quale, inaffidabile e disumano, spadroneggia imperterrito.
“I politici di ogni schieramento ci danno l'impressione di giocare col fuoco senza sapere bene chi lo abbia acceso, chi lo alimenti e in quale direzione soffi il vento, oggi nessuno si arrischierebbe a prevedere che cosa accadrebbe se il sistema crollasse. Le nostre paure esprimono innanzi tutto l'ossessione del vuoto. I proletari non sognano più di abbattere il sistema, temono che crolli” (7). “Non sarà che oggi la paura della vita abbia rimpiazzato la paura della morte?(8) Eppure la paura, ci rammenta Augé, è sempre stata una componente della vita e un fattore di progresso: paura sana, quella che non paralizza, che scuote dall'abitudine e dal torpore e traccia nuove vie. Possiamo imparare a vincere, rendere sana, la nostra paura, ma come prima condizione dobbiamo discernere la vera minaccia: “la rottura del legame sociale e del pensiero della relazione”. Se non riusciamo a recuperare il legame sociale, se non riusciamo a vivere insieme il rapporto con l'alterità, se escludiamo una parte dell'umanità, cadremo nella paura insana paralizzante, sprofondando nella violenza assieme a coloro che avremo escluso.
Paul Klee, 
L'uomo futuro
“C'è dunque un solo imperativo: opporci pazientemente ogni giorno, ciascuno per la sua parte, a seconda dei suoi mezzi, alla gigantesca dislocazione di forze sociali che accompagnano la globalizzazione dell'economia”, senza dimenticare “le grandi concentrazioni di esclusi sull'intera superficie del globo, i campi in cui si ammassano i profughi, i senza patria cacciati dalle guerre e dalle carestie”(9). 
“Gli esseri umani non hanno ancora smesso di avere paura né di sperare. La storia è sempre al di là delle paure e della speranza” (10). 
Così conclude Augé, appellandosi al suo “ottimismo lucido e relativo”.
Mentre gli esprimo gratitudine per la sua lucida analisi, sommessamente aggiungo che la sua relativa speranza non rassicura me, inquieto credente. Il “non abbiate paura” da lui citato viene da molto più lontano: è una sfida al male che ogni giorno si espande con insolenza nei volti della sofferenza, nelle continue guerre, negli atti terroristici e di violenza, nei sistemi diversi di sfruttamento che sembrano dichiarare il tramonto di ogni utopia di trasformazione del mondo. La speranza cristiana non si può secolarizzare: essa porta ad una nuova creazione di tutte le cose ad opera della Resurrezione del Cristo, va oltre la presunzione delle speranze temporali perché in esse non trova la salvezza che attende, anche se le prende in carico ed esige tutto l'impegno. Il suo fondamento è Cristo resuscitato: Dio della promessa, Dio che cammina insieme a noi ogni giorno della storia dell'uomo, Dio che reiteratamente nel Vangelo rassicura i suoi discepoli: “non abbiate paura, voi valete più di molti passeri – non abbiate paura degli uomini – non abbiate paura di quelli che uccidono il corpo” (Mt10, 26-33).

Note.
1. op.cit., p.60
2. idem, p.10
3. L'indignazione stessa “è una forma sublimata di paura”: p. 9
4. cfr. o.c., p.7 e p.39
5. cfr. pp. 42-43
6. cfr. pp. 23-25
7. p. 27-28
8. p. 9. Con la seguente precisazione: “Il contrario della paura della morte non è il desiderio di morte ma l'amore per la vita, quel tenace bisogno di vivere che resiste a tante prove, anche a quella dell'isolamento, che è la più temibile e temuta” (p. 69).
9. cfr. p.72 e 74
10. pp. 81-82 
       
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Paul Klee, 
Navi nel buio
La colonizzazione di cui siamo oggetto oggi, una colonizzazione anonima di cui ci sforziamo in ogni modo di identificare e nominare gli autori (il capitalismo, i mercati finanziari, le grandi potenze, la globalizzazione) o gli intermediari (pubblicità, media), somiglia piuttosto a una malattia genetica di cui saremmo portatori inconsapevoli, e i cui sintomi più vari, o meglio più contradditori, si manifesterebbero tutti in un sol colpo, come se ricapitolassero la nostra storia comune: le lotte di potere, l'intolleranza, l'imperialismo politico, gli eccessi stupidi, totalitari e folli del proselitismo religioso, la sfrenata avidità dei più ricchi, il riscaldamento del pianeta e i maltrattamenti a cui lo sottoponiamo. Con tutto ciò la storia non si riduce a storia di questi flagelli, ricorrenti o recenti che siano; la storia produce da sé i suoi antidoti: curiosità, progressi della conoscenza, slanci di fraternità, tentativi di riavvicinamento e, nel complesso, la consapevolezza ancora incerta di un destino ed avvenire comune [...]. La storia non è finita e il fatto che resti una storia che 'continua' può dare adito, a seconda del punto di vista che la considera, all'ottimismo o al pessimismo, a un ottimismo lucido e relativo per così dire” (Marc Augé, Le nuove paure Che cosa temiamo oggi?, Bollati Boringhieri, 2013, pp. 78-81).

7 commenti:

  1. “Non sarà che oggi la paura della vita abbia rimpiazzato la paura della morte?"... Inversione interessante...e orribile...

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    1. Paradosso che tuttavia esprime una realtà diffusa: la perdita di una bussola sociale per camminare insieme.

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  2. Conoscendo Gian Maria, lo vedo " mordere il freno" mentre elenca lucidamente i " casi clinici" delle nuove paure descritte da Auge. Ha compiuto un gran lavoro di maestria esplicativa, riuscendo a produrre l'effetto di attenzione all'irrazionalità del presente. C'è una grossa dose di irrazionalità nella " spietata razionalità " del capitalismo motore della globalizzazione consumista. Ne discendono curiosi bozzetti, che fanno ridere e piangere insieme. ( Nel giorno della scomparsa di Villagio, ancor più calzante la sequela nelle operatrici dei call center dei paragmadici impiegati Fantozzi).
    Il consumismo stritola tutto e " se ne frega" della relazionalita', della solidarietà, dell'umanesimo. Come consiglia Gian Maria dunque, Resistenza con la Fede.

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    1. Caro Rosario, abbiamo innanzitutto apprezzato il pertinente riferimento fantozziano … Ho proprio “morso il freno”, ripensando – alla mia età, tramontati i sogni della giovinezza, ma non la speranza - alla “irrazionalità del presente” che ci pervade, alle forme implicite ed esplicite di violenza che digeriamo quotidianamente e alla necessità di non demordere, sia come cittadini sia come credenti, dalla Resistenza. E mi sovviene quanto scriveva il caro don Luisito: “…La Resistenza è un fatto di gratuità. La vera: la Resistenza al potere, non per instaurare un altro potere ma per la libertà dell’uomo. Per questo Resistenza è gratuità, e Partigiano l’uomo gratuito [...] la grande parola laica di gratuità, che ha generato e genera ancora figli ogni qualvolta si resiste al potere dell’uomo in nome dell’uomo” (dalla Introduzione a DIALOGO SULLA GRATUITA’).

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  3. Mi sento molto in sintonia con la lettura della realtà descritta molto lucidamente, con franchezza (parresia), in questo articolo. Grazie e grazie soprattutto delle parole di speranza che richiamano alla fine, una volontà Altra, che se ascoltiamo ci può aiutare ad essere "creativi", ci può suggerire quella prontezza di spirito necessaria per affrontare il nostro quotidiano con coraggio e fiducia. Grazie ancora

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    1. Grazie a te, Patrizia, che ci ricordi la forza e l'urgenza della parresia (non solo in riferimento a questo articolo, ma come stile di vita e di relazione) e insieme additi l'unica indefettibile fonte di quotidiano coraggio e fiducia. Un caro saluto a te e Giuseppe.

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