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domenica 10 novembre 2024

Opinione pubblica e social

Social e democrazia
Post di Rosario Grillo.

Una opinione viene detta pubblica non solo perché è del pubblico (diffusa tra i molti, o tra i più), ma anche perché investe oggetti o materie che sono di natura pubblica: l'interesse generale, il bene comune, in sostanza, la res pubblica. Ma sino all'avvento dei media per antonomasia i processi di formazione dell'opinione erano - si riteneva - in equilibrio, o meglio controbilancianti, e cioè tali da consentire l'autoformarsi dell'opinione dei pubblici…
Diciamo, allora, che le opinioni attingono da due fonti: da messaggi informanti, ma anche da identificazioni. (G. Sartori voce Opinione pubblica su Enciclopedia del ‘900 Treccani)
 
Tra le insidie che logorano la democrazia oggi si trovano i social?
Il mio interrogativo si sostiene con la notizia diffusa dai mezzi d’informazione (vedi inchiesta recente del Wall Street Journal) sulla dannosità dei social.
Non voglio, dietro a questa osservazione, nascondere la responsabilità nel merito, che i genitori debbono custodire (riacquistandola se perduta o non rispettata) onde impedirne l’abuso ai propri figli, ancora in fase di maturazione.
Metto in conto, allo stesso tempo, la ragione che ha portato e porta il nostro blog a servirsi dei social. Ovvero la possibilità di poter fare un uso etico, generale e non fazioso, pacato e non vociante, dei social.
💥 L’esperienza storica
Altro argomento da considerare è lo sviluppo consequenziale del potere dell’informazione, partendo dal ruolo assunto dai mass media e dalla forza trainante della tecnologia. Per questa via, la raccomandazione è quella di contenere la primazia della tecnica e di preservare la sostanza umanistica del mezzo.
La storia ha già rappresentato la convenienza dei mass media all’assetto totalitario del potere. Il totalitarismo ha infatti interpretato, con chiarezza e determinazione, la funzione che questo strumento, usato per fini di propaganda - indottrinamento - formazione plagiata (arrivando fino alla propaggine dell’organizzazione del tempo libero), riesce a svolgere.
Dall’input ha preso l’abbrivio poi una evoluzione dell’informazione fine a se stessa. Cioè capace, nella sua autonomia, di superare la soglia del controllo personale, di agire per fini propri, ovverosia occulti. Invero, vi si è costruito sopra un impero economico, anzi diversi dominions economici: Google Microsoft Apple Facebook e via dicendo.
 
💥 Opinione pubblica e social
Nel crogiolo della Modernità si sono andate costituendo le Istituzioni, continuando sul tracciato indicato dalla tradizione aristotelica che assegnava all’uomo il ruolo di animale sociale. Lo Stato moderno ha prima raccolto la maiestas del diritto romano e poi ha rielaborato il tutto passando per lo ius regale fino a riconoscersi nello ius commune. Si predisponevano nel frattempo i complementi della sovranità popolare, della separazione dei poteri, del principio di libertà.
Dentro, polmone di un organismo denominato Stato di diritto, agiva l’opinione pubblica. Il suo respiro animava la società, creando orizzonti di civile consorzio, di dibattito, di intese e collaborazioni sovranazionali.
Concretamente l’opinione pubblica filtrava la congerie delle opinioni individuali restituendo una medietà lontana dalla mediocrità –il filtro tarato sulla qualità - , propiziatrice di un miglioramento continuo.
Di questo stampo la pubblica opinione teorizzata da Locke, ripresa dagli illuministi francesi e messa da B. Constant a cardine della rappresentanza. La società complessa che cominciava a svilupparsi nel Novecento indusse W. Lippmann (1922) a mettere in guardia dalla facile confidenza nella bontà dell’opinione pubblica. Cautela guidata da una diversa fonte di formazione dell’opinione: non più le gazzette e i giornali ma le immagini, che interessate agenzie diffondevano semplificando il medium (rendendolo oggetto di manipolazioni).
La sequenza storica stava manifestando una involuzione causata sia dall’avvio di nuovi centri di potere sia dall’indebolimento interno dell’anima della sovranità popolare poco propensa ad agire con la politica attiva. (1)
Lo scambio sopra menzionato di fatto preannunciava la comparsa, assieme al multimediale, dei social. Di questi ultimi è tipica la mossa dei like, in questo scenario nasce la figura dell’influencer. Social, in questa dimensione, comporta la gara dei follower, delle amicizie virtuali.
La virtualità, malgrado i meriti riconosciuti da J. Braudillard (2) e da una scuola di filosofi che pigiano sul tasto della possibilità, scade il più delle volte ed offre occasioni multiple ai passatempo, ai cosiddetti “leoni della tastiera” a spericolati ed aggressivi personaggi nichilisti. (Mi vien quasi da pensare che questi ultimi rimpiazzino malamente i “nichilisti”, terroristi di fine Ottocento). In questa misura, il rapporto supposto tra opinione pubblica di ieri e social di oggi inclina verso una degradazione pericolosa, foriera di cattivo scetticismo. È, del resto, la stregua del populismo, che eccita le più basse pulsioni del popolo, che demolisce come un virus incurabile il complesso del corpo democratico.
 
💥 Note
(1) Si aggiungono pressioni per contenere e “stemperare” la forza della sovranità popolare, esercitate da poteri forti (principalmente di natura economica). Il disegno di queste forze è un attacco a tutto il fronte: mondo della produzione (delocalizzazione e precarizzazione), intermediazione (attacco ai sindacati) mondo dell’informazione indipendente (monopolio, attacco alla cultura e descolarizzazione).
 
(2) Da www.scienzepostmoderne.org Intervista a J. Braudrillard: “La sua posizione nei confronti dei media è estremamente critica: quali sono, a suo avviso, i rischi maggiori per una società dell'informazione come la nostra? Risposta: Sì, il mio atteggiamento è di critica, e certamente lo difendo in quanto è quello sperimentato più a lungo nel tempo, e si richiama un po' all'eredità del pensiero critico; in fondo,tutto il pensiero critico tradizionale non può che essere anti-mediatico, non può che muovere obiezioni ai media. Anch'io ho formulato una sorta di critica radicale, ma è ormai talmente nota che non vale la pena tornarci sopra ancora una volta. In qualche modo è vero che i media fanno il loro lavoro e sono un elemento essenziale nella strategia del delitto perfetto, in un certo modo ne fanno parte: ma questo è ancora troppo semplice. Io direi invece che la mia è piuttosto una posizione ironica in rapporto ai media. I media si frappongono in maniera tale fra la realtà e il soggetto, che, mi pare, non ci sono più interpretazioni possibili in quanto l'informazione rende l'accadimento incomprensibile. L'evento storico non si sa più cosa sia quando passa attraverso i media, in breve si ha una transustanziazione di questo tipo in tutto ciò che i media fanno, così che ne risulta quel che io chiamerei una simulazione, un simulacro, e perciò non esiste più né il vero né il falso: non si sa più quale sia il principio della verità. Questo è certamente un dato importante; ma infine, c'è davvero bisogno della verità? In fin dei conti, l'obiettivo dei media non è stato forse di eliminare effettivamente il principio morale e filosofico della verità, per installare al suo posto una realtà completamente ingiudicabile, una situazione di incertezza che, se si vuole, può ben essere immorale e difficile da sopportare, ma che in certo modo è ironica? Se guardiamo alla cosa con ironia, scopriamo che i media si sono dedicati a smontare questo principio di verità, autorità e certezza che rappresenta del resto, bisogna dire, il fondamento di tutta una civiltà dal carattere autoritario e moralmente rigoroso. Dunque i media svolgono anche questa funzione di scomposizione, e si possono interpretare nell'altro senso. Allo stesso modo tutta la tecnica in generale, non solo i media, ma gli strumenti tecnici, le macchine, eccetera, sono in certo senso anch'essi dei mezzi per togliere realtà al mondo, e inoltre, come ho detto, per instaurare una sorta di incertezza, di gioco, e finalmente di amoralità delle cose. E forse in tal modo essi ci liberano dal dovere di attenerci ai principi di verità, di obiettività, e di tutti i princìpi su cui è fondata la nostra morale. Tutto questo, evidentemente, è per noi destabilizzante, non c'è alcun dubbio, ma è sempre la stessa storia: da una parte si perde, in misura enorme, ma se si sa affrontare la situazione in una certa prospettiva si può pervenire a un'interpretazione ironica, nel senso che l'ironia può ispirare una visuale totalmente relativizzata e destabilizzata. Si può perdere, certamente, ma forse si possono anche trovare nuove regole per giocare. Sono perciò radicalmente critico contro i media nel quadro del sistema dei valori umanistici, ossia quello che noi conosciamo e che è nostro: a questo livello bisogna essere assolutamente critici e addirittura spietati. Se però si affronta la questione diversamente, e ci si pone aldilà della fine,aldilà di quel principio, in un eventuale altro universo, allora non si può dire: può darsi che i media, la tecnica, eccetera non siano che operatori di qualcosa che non so descrivere, di un gioco, di ironia, non so.

1 commento:

  1. Mi auguro che siano tanti i lettori che sappiano apprezzare e godere questo tuo post “etico, non fazioso, pacato e non vociante”, volto a preservare “la sostanza umanistica”. Mi è impossibile riportare tutte le perle che hai seminato in questo post. Aggiungo solo la mia piena condivisione circa quanto affermi sui “nichilisti”“ di oggi e sul populismo “che demolisce come un virus incurabile il complesso del corpo democratico”. Caro Rosario, il tuo post è l’ennesima conferma della tua promessa di non arrenderti ai predatori senza scrupolo della nostra libertà di pensare e di mai rinunciare alla virtù che ti e ci è particolarmente cara: la speranza!.

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