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venerdì 2 maggio 2025

La speranza che cura

La Speranza come antidoto ai mali della società presente
Post di Rosario Grillo
 
Johann Heinrich Füssli, La solitudine all'alba, 1796
La malinconia: patologia o sentimento? In un caso si fa riferimento alla dottrina degli umori e si spiega la malinconia come effetto del predominio della nera bile. Nell’altro si dà maggiore risalto alla via sentimentale: nel malinconico viene rappresentata una persona che filtra l’esistenza con tale sentimento. La fusione dei due avviene spesso e spiega la casistica di tanti suicidi e del fenomeno degli hikikomori.
Neuroscienze, psicanalisi e sociologia si sono impegnate a circoscrivere il fenomeno, per dare spiegazione dei moventi, cosicché ci troviamo spinti: o a trovar la radice nella repressione libidica (Freud e il perturbante) o a prendere coscienza della virtù del sentimento della malinconia, del suo ricco potenziale (Romanticismo ed un recente saggio di Susan Cain) (1).
Risulta ben chiaro che la sua diffusione è tipica di epoche di transizione: in questa luce è una spia significativa. (2)
Alla pari con la malinconia può stare l’angoscia. Il concetto di angoscia ha riempito i libri di filosofia a cominciare da S. Kierkegaard e di sicuro si trova la ragione nel declino dell’ottimismo illuminista legato al concetto di progresso. (“le magnifiche sorti e progressive”) (3).
Rabbia, paura, angoscia e malinconia sono stati d’animo oggi di pubblico dominio, visti: i sussulti continui della scena internazionale (crisi e guerre a getto continuo), le ripetute crisi economiche, le insanabili divisioni nei corpi sociali, l’abnorme forbice dei redditi, la povertà incombente nell’orizzonte di parecchi. In essi, l’angoscia e la malinconia si presentano come reazioni ad “angolo aperto” in confronto con le altre due, decisamente contrarie ad ogni relazione.
Johann Heinrich Füssli, Il silenzio, 1799-1801
L’angoscia, ad esempio, nella filosofia di Heidegger è intrinseca alla condizione umana, in virtù del Dasein. “L’angoscia, in quanto possibilità dell’essere dell’Esserci, e l’Esserci stesso in essa aperto offrono il terreno fenomenico per cogliere esplicitamente la totalità originaria dell’essere dell’Esserci. L’essere dell’Esserci si rivela come Cura”. (4)
Byung Chul Han nota però che la cura intesa da Heidegger è difettosa: “l’aver cura che viene rivolto all’altro nell’amore e nell’affetto premuroso, e che porterebbe a un prendersi cura altruista, che depone il se, ovvero l’amorevole aver cura, è ad Heidegger del tutto sconosciuto” (5). Per il filosofo coreano nel “prendersi cura” heideggeriano si crea una dipendenza, contraria alla libertà, e questo avviene a causa della condizione di gettatezza. “La gettatezza si esprime come gravame o come pesantezza”. (6)
Continuo ad esplorare il filosofo coreano-tedesco, considerate le sue capacità di analisi di molti segni della crisi umana, presenti nella società odierna. Una puntualità che gli va riconosciuta, accompagnata dalla denuncia delle forme dell’alienazione umana.
Una presenza continua, la sua, nel dibattito quotidiano, che perciò lo ha esposto a critiche (tra le quali, quella di scadere a filosofo pop). (7)
Oggettiva, oltre i luoghi comuni, e certamente fuori del coro, la sua denuncia della capillarità della alienazione umana (sopra descritta con veloce passaggio), immersa nella tentacolare società dell’informazione (con la connessa manipolazione-indottrinamento). Convinta ed ispirata la sua proposta di una cura attraverso la Speranza. Corretto il riconoscimento della discendenza della sua proposta dai primi proponenti: Nietzsche, Bloch, Heidegger, Marcel, Moltmann. Troppo invasive, forse, le citazioni alle quali ricorre.
Johann Heinrich Füssli, Ariel, 1810
Stabilita la genesi soteriologica, innervata sulla dottrina della salvezza, del vitalismo nicceano (8), Byung-Chul riconosce in Bloch: il teorico della speranza, ma mette il segno negativo sotto l’immanenza del sentimento concepito dal filosofo tedesco, non riconoscendovi la pasta ideale e trascendentale. (9)
Vista l’esigenza di battere vie alternative all’alienazione umana, obbligatorio diventa rintracciare le spinte generatrici di futuro, fondamentali per uscire dalle secche del conformismo, “dalla logica dell’Uguale”, e dal sistema “dell’efficienza”. Alla stessa stregua vanno cercati germi di socialità ed anche uscite dalla melma dell’individualismo e dell’utilitarismo.
Continuamente Byung-Chul lancia appelli al contemplativo: un unico solco lega insieme la nascita (“la temporalità dell’inizio”) con la “fine”, con l’intesa che non si tratta di fine definitiva, ma di rigenerazione. In questo senso la tensione escatologica diviene opportuna e Byung-Chul è prodigo di apprezzamenti al Cristianesimo.
Il contemplativo, di cui si è scritto sopra, non tocca in alcun modo la sequenza speranza-azione descritta abbondantemente nella sua opera; costituisce semmai una sorta di alone mistico che si accompagna alla speranza.
Per un verso Byung-Chul coglie e restituisce la natura ineffabile che si trova nella fede, intesa soprattutto con coscienza luterana, inoltre ripetutamente si riallaccia al fondamentale rapporto “con l’Altro” enunciato dal filosofo Gabriel Marcel.
“Con l’espressione ‘io spero in te per noi’ Gabriel Marcel evidenzia quella dimensione della speranza che porta il Sé a trascendersi verso il Noi. Speranza, Fede e amore sono fenomeni connessi l’uno all’altro” (10).
Arrivati a questo punto esplicita diventa la potente carica curativa che la Speranza possiede; con essa si affrontano i mali della società presente. 
 
Note
(1) S. Cain, Il dono della malinconia, Einaudi.
(2) L’antropologo Vito Teti, Il vampiro e la melanconia, Donzelli, compie un vasto giro d’orizzonte per inquadrare il tema, riconoscendo i numerosi “ritorni”. Tra essi, in ultimo, vien fuori una chiave di lettura politica, associando la malinconia con la fase agonica della democrazia (Bruckner).
(3) Kierkegaard introduce così il problema dell’esistenza, ribellandosi al dominio dell’essere. In tal modo, il suo avversario è Hegel. Indubbia comunque la funzione antistoricistica che egli assume, confermata dalla tendenza contraria alla imperante visione finalistica della storia. (Nietzsche)
(4) Heidegger, Essere e tempo, cap.VI.
(5) Byung- Chul Han, Contro la società dell’angoscia, Einaudi.
(6) Ibidem
(7) Trovo le prime opere sue più ispirate ed originali.
(8) Persistente anche negli anni della crisi.
(9) Dopo aver sottolineato la fresca “aria mattutina” di cui si riveste la speranza blochiana, separata dall’ “odor di cantina” del non-ancora-conscio della psicanalisi, B.C. rileva in essa assenza di trascendenza, in quanto Bloch “la sottomette all’immanenza della volontà”. Capitolo: Speranza e conoscenza.
(10) Op. cit. capc. Speranza ome forma di vita.

2 commenti:

  1. Caro Rosario, grazie per questo tuo post che costringe a riflettere sulla malinconia e l’angoscia come prove dalle quali e sulle quali la speranza, senza mai negarle, ci libera e trionfa. Mi auguro che tanti lettori possano e sappiano meditare la tua sintetica conclusione: “con l’espressione ‘io spero in te per noi’ Gabriel Marcel evidenzia quella dimensione della speranza che porta il Sé a trascendersi verso il Noi. Speranza. Fede e Amore sono fenomeni connessi l’uno all’altro”.

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    1. Lo so che siamo in sintonia. Grazie 🤗☮️

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