Iscriviti ai Feed Aggiungimi su Facebook Seguimi su Twitter Aggiungimi su Google+ Seguici tramite mail

Iscriviti alla nostra newsletter!

domenica 4 febbraio 2018

Pace e antifondamentalismo.

La pace alla luce del concetto di alterità, sotto il cui segno si colloca il rifiuto di ogni fondamentalismo.
Post di Gian Maria Zavattaro (Relazione tenuta il 20 gennaio 2018 in occasione degli incontri interreligiosi svoltisi ad Albenga (SV)).

Signore, disarmali. E disarmaci!”:  
preghiera diffusa dai vescovi francesi, 
scritta nello spirito di Tibhirine da frère Dominique Motte, 
domenicano del Convento di Lille (1).

Christian de Chergé,  
Più forti dell'odio, 2010, 
a cura di Guido Dotti
Pace solitamente si coniuga nel binomio pace-guerra, il quale in realtà non costituisce affatto un’alternativa: è vero che se c’è guerra non c’è pace, ma non è vero che se non c’è guerra c’è pace. La pace non è semplice assenza di guerra, anche se rifiuta ogni guerra, comprese quelle cosiddette “giuste” (2). Non c’è pace se la stabilità scaturisce da un ingiusto “ordine costituito”, nella disuguaglianza radicale tra “ricchi” (poteri politici ma soprattutto economici e finanziari) e “poveri”. Mounier, filosofo cattolico a me caro, definiva quest’ordine “disordine stabilito”. 
Pace è Shalom, Al-Salam: “integrità, pienezza di vita, ben-essere”. E’ un concetto positivo che esige un agire coerente; è forza d’animo (3), coraggio di accoglienza reciproca, scelta che riguarda ognuno non solo nel senso attivo di ospitare chi bussa alla nostra porta, ma anche nel senso di essere accolti: trovare accoglienza, infatti, è un bisogno e un desiderio fondamentale per chiunque” (4). La pace come incessante tensione per una vicendevole accoglienza-riconciliazione che coinvolga ogni persona nel dono reciproco della propria identità e diversità, nel convivio dei popoli. Pace - sappiamo - mai acquisita per sempre, da salvaguardare ad ogni livello (interiore, religioso, familiare, pedagogico, sociopolitico, economico, internazionale), sempre inconclusa, ma in cammino verso la pienezza escatologica della parusia.
Adriano Fabris, 
La scelta del dialogo, 2011
C’è un diffuso pacifismo falso, da salotto, che non costa niente, non impegna nessuno, soprattutto quando è frutto di paura per la propria tranquillità disturbata e sicurezza minacciata del nostro piccolo mondo in cui non ci sono guerre conclamate ma trionfano antagonismi, rivalità, egoismi e soprattutto trionfa “l’indifferenza globalizzata” per l’altro. L’altro è il banco di prova della concretezza della pace. Un libro recentissimo di un filosofo (5), edito in Italia da Nottetempo ed intitolato L’espulsione dell’altro, focalizza il problema radicale: la scomparsa dell'altro è la malattia più grave dei nostri giorni,  rischiamo di perdere la capacità di  vedere l'altro come altro. Paradossalmente, secondo A. Fabris (6), i fondamentalismi sono la massima espressione della indifferenza verso l’altro: l‘adesione alla lettera dei testi sacri, il rifiuto del dialogo, la presunzione di essere unici possessori della verità sono tutti sintomi di profonda avversione a chi è diverso da sé e di inappellabile esclusione di relazione con l’altro”. Se l’indifferenza-esclusione dell’altro sta alla radice di ogni fondamentalismo,  se è tentazione per  ognuno di noi, allora per ognuno di noi vale l’invito di Kapuściński (L’altro, Feltrinelli, 2015) che fa sua l’esortazione di Lévinas: “L’altro è specchio per capire chi si è”.  Fermati. Accanto a te c’è l’altro: un uomo, una donna. Incontrali: l’incontro è la più grande, la più importante delle esperienze. Guarda il volto che l’altro ti offre. Attraverso di esso non solo ti trasmette te stesso, ma ti avvicina a Dio”. 
Byung-Chul Han, 
L'espulsione dell'Altro, 2017
Ma chi è l’altro e  che significa incontrarsi? Nel villaggio globale l’altro non è solo colui che appartiene alla mia nazione-lingua-cultura-religione, è soprattutto colui che è diverso per cultura religione e parla una lingua per me incomprensibile. Ogni incontro - sappiamo bene -  non si improvvisa: occorre prepararsi interiormente perché sia il contrario del nostro quotidiano ed indifferente incrociarsi in mezzo alla folla. Non c’è scampo, scrive Kapuściński: lo svolgimento e la qualità dei nostri rapporti con il nuovo altro definiscono e definiranno il clima del mondo nel quale viviamo e vivremo: incontrare l’altro è la sfida del XXI secolo, “l’evento fondamentale” del nostro tempo, nella nostra vita e storia anche spirituale, che ci rende consapevoli che “io sono l’altro”: se è vero che per me sono gli altri, è altrettanto vero che per loro l’altro sono io” (7).
A questo punto provo ad affrontare e approfondire il significato della pace non solo come laico cittadino del mondo ma come laico credente cattolico, debole nell’esegesi biblica e in teologia, ma non nell’amore per la “lieta novella”, che chiama l’altro con il suo vero nome, fratello-sorella. Tra tutte le beatitudini del Vangelo due mi paiono particolarmente attinenti: beati coloro che fanno regnare la pace, perché saranno chiamati figli di Dio - beati coloro che hanno fame e sete di giustizia perché saranno saziati. Da laico leggo così: non è beato chi possiede la pace per se stesso, ma chi sa trasmettere la pace che riconcilia ed unisce le persone. 
Giancarlo Bruni, 
Misericordia e compassione, 2015
Solo chi ha fame e sete di giustizia, nel significato biblico di fraternità e di uguaglianza, è capace di costruire una pace credibile a casa sua, nelle sua scuola, sua  città, in Italia, nel mondo. Ho il diritto-dovere di essere pacifico, non nel senso salottiero, ma  nel senso etimologico di facitore, operatore di pace. Scelta  che riguarda non solo i popoli ed i loro governanti, ma ognuno di noi, come ci avverte la “Pacem in terris” (8), tanto più in questo tempo del male fondamentalista. Nessuna religione può essere identificata con il suo estremo fondamentalista. Tuttavia il fondamentalismo, trasversale e dai molti volti, costringe tutti e anche noi che ci diciamo cristiani a scavare nella propria profondità e a riconsiderare il proprio "fondamento". P. Giancarlo Bruni, dei Servi di Maria, monaco della Comunità di Bose, in una sua riflessione sul fondamentalismo cita il suo maestro e confratello p. Turoldo: “sbagliarsi su Dio è un dramma, è la cosa peggiore che possa capitarci, perché poi ci sbagliamo sul mondo, sulla storia, sull’uomo, su noi stessi. Sbagliamo la vita” (9). Per noi cristiani non si dà altro “fondamento” che Cristo, Dio Vivente, che nel Discorso della montagna proclama l’amore per i nemici  e l’amore incondizionato per ogni creatura. E allora la domanda per tutti i credenti di qualsiasi fede  è una sola: come abitare la terra nel tempo del male fondamentalista? P. Bruni risponde con le parole di Paul Ricoeur: “Dentro lo spessore del male introdurre la follia della compassione. Ho la responsabilità di far diminuire il male con la giustizia e la carità. E’ la poetica dell'agape”: la sola che costruisce le “fabbriche di pace”. 
Xavier Beauvois, 
Uomini di Dio, 2010, film
Può rivelarci il significato profondo della pace in tempi di guerre e massacri non dissimili dal presente l’esperienza condotta a Tibhirine in Algeria dal gruppo denominato “Legame di pace”, composto da monaci trappisti e da musulmani, dove insieme si pregava, si rifletteva, si ascoltava (10), si condividevano momenti di vita quotidiana. Sette di questi monaci vengono nel 1996 trucidati per mano di un fanatismo la cui lettura fondamentalista, ieri come oggi, tradisce l’ispirazione profonda del Libro sacro ai musulmani, ma il “Legame di pace” tra cristiani-musulmani rinasce, più forte, a Midelt, in Marocco e si espande. Guido Dotti, monaco di Bose, curatore del libro “Più forti dell’odio” edito da Qiqajon, in una conferenza da lui tenuta nel 2011 su “I monaci di Tibhirine e il dialogo con i musulmani” individua i tratti fondamentali del loro cammino di pace: la condivisione di momenti della vita quotidiana, dove “si impara progressivamente a convivere nel rispetto dell'altro che vive accanto a te una diversa esperienza di fede” - la condivisione delle gioie e dei dolori degli altri “per capire che cosa fa gioire, che cosa fa soffrire l'altro, che cosa l'altro spera, che cosa desidera, perché è così che si può conoscere realmente concretamente la fede religiosa diversa”(11). A me paiono decisive indicazioni per camminare insieme sulle vie della pace. 
Emmanuel Lévinas, 
Il tempo e l'Altro, 2005
Una prima via è segnata dalla conclusione unanime degli annuali convegni interreligiosi di Perugia ed Assisi: la via della pace è “prendersi cura dell’altro e dell’altra religione”, creare gruppi di incontro per un ascolto reciproco, per“imparare ad essere amici senza nascondere la propria identità, discernere che cosa è conforme alla fede nell’unico Dio e cosa è proiezione del nostro egoismo”. E’ la risposta alle pressanti esortazioni di Papa Francesco a creare  ovunque “fabbriche di pace”. 
Una seconda via è denunciare insieme ogni forma di ingiustizia e violenza di ieri e di oggi (12): non far finta di niente nei riguardi dei massacri e degli annegamenti di cui ogni giorno si ha notizia, di chi fomenta guerre, vende armi, sfrutta le ricchezze di paesi sempre più impoveriti, lucra su qualsiasi forma di derelizione (tratta dei minori, donne, migranti, organi umani, speculazioni sui medicinali salvavita);  non essere mai complici di chi,  in Europa ed in Italia, non fa che  innalzare muri. 
Terza via è l’invito profetico del card. Martini: riconoscere il dolore degli altri, dare voce al loro dolore. Per superare l’idolo dell’odio e della violenza è molto importante imparare a guardare al dolore dell’altro. La memoria delle sofferenze accumulate in tanti anni alimenta l’odio quando essa è memoria soltanto di se stessi, quando è riferita esclusivamente al sé, al proprio gruppo, alla propria giusta causa. Se ciascun popolo guarderà solo al proprio dolore, allora prevarrà sempre la ragione del risentimento, della rappresaglia, della vendetta. Ma se la memoria del dolore sarà anche memoria della sofferenza dell’altro, dell’estraneo e persino del nemico, allora essa può rappresentare l’inizio di un processo di comprensione. Dare voce al dolore altrui è premessa di ogni futura politica di pace”(13).  Concludo con due interrogativi. 
David Maria Turoldo,  
O sensi miei..., 2002
E la scuola? C’entra? Non si può educare alla pace se non la si pratica e la si vive quotidianamente in un contesto… dove docente e studente insieme respirano l’I care della cultura di pace e la trasformano in esperienza di pace. Pensate a cosa possono fare insieme in ogni scuola docenti studenti genitori non docenti,dove si vive l’ospitalità reciproca, l’indifferenza è bandita, ci si impegna sul versante dei diritti umani, del dono gratuito del volontariato e magari delle adozioni a distanza, per citare il “G. Bruno”…
Che cosa vogliamo diventi Albenga? Città in cui ognuno  si chiude  nella splendido isolamento del proprio ghetto, dove tolleranza vuol dire indifferenza? Oppure città plurale, variegata da appartenenze multiple che non nascondono la propria identità, dove è possibile insieme tessere un ”legame di pace”, che vuol dire curarsi dell’altro, incontrarsi senza sospetti, riconoscersi come persone, costruire e sognare insieme il futuro delle nuove generazioni, eredi del cammino da noi aperto. Ognuno assuma la propria responsabilità e solo allora potremo cantare  con p. Turoldo,
Lo dirò con un sorriso
“Andrò in giro per le strade sorridendo,
finché gli altri diranno: - è pazzo!
E mi fermerò soprattutto

coi bambini a giocare in periferia,
poi lascerò un fiore ad ogni finestra

e saluterò chiunque incontrerò per via,
stringendogli la mano.

E poi suonerò con le mie mani
le campane della torre a più riprese

finché sarò esausto,
e dirò a tutti: PACE!

Ma lo dirò in silenzio
e solo con un sorriso,

ma tutti capiranno.”

Note.
(1) Il testo della preghiera: “Disarmali: sappiamo quanto questa violenza estrema sia il sinistro pane quotidiano in Iraq, in Siria, Palestina, Centrafrica, Sudan, Eritrea, Afghanistan. Ora si è impossessata di noi”.“Disarmali Signore: e fa che sorgano in mezzo a loro profeti che gridano la loro indignazione e la loro vergogna nel vedere come hanno sfigurato l’immagine dell’Uomo, l’immagine di Dio”. “Disarmali, Signore dandoci, se necessario, poiché è necessario, di adottare tutti i mezzi utili per proteggere gli innocenti con determinazione. Ma senza odio. Disarma anche noi, Signore: in Francia, in Occidente, senza ovviamente giustificare il circolo vizioso della vendetta, la Storia ci ha insegnato alcune cose. Dacci, Signore, la capacità di ascoltare profeti guidati dal tuo Spirito. Non farci cadere nella disperazione, anche se siamo confusi dall’ampiezza del male in questo mondo”. “Disarmaci e fa’ in modo che non ci irrigidiamo dietro porte chiuse, memorie sorde e cieche, dietro privilegi che non vogliamo condividere. Disarmaci, a immagine del tuo Figlio adorato la cui sola logica è la sola veramente all’altezza degli avvenimenti che ci colpiscono: ‘Non prendono la mia vita. Sono io che la dono’”.
(2) Penso all’attualità di Geremia (6,14): l’umanità ferita dalle ingiustizie dei suoi capi che “curano le ferite del mio popolo, ma solo alla leggera, dicendo ‘pace, pace’, ma pace non c’è”.E’ la deterrenza nucleare dei cavalieri dell’Apocalisse (14.900 testate nucleari di cui 6.800 Usa, 7.000 Russia, 215 Regno Unito, 300 Francia, 270 Cina, 110-120 India, 120-130 Pakistan, 80 Israele,  e ca 10 Corea del Nord): basta un calcolo sbagliato, un incidente, un errore nella gestione degli ordini e salta tutto…. cfr. il  Simposio Internazionale “Prospettive per un mondo libero dalle armi nucleari e per un disarmo integrale”, organizzato dal dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale del Vaticano, svoltosi il 10 e l’11 novembre di cui i media hanno dato ben poco risalto, in cui  è emersa l’inadeguatezza della deterrenza nucleare a rispondere efficacemente alle sfide del terrorismo, ai conflitti, alla sicurezza informatica, alla povertà, alle problematiche ambientali (devastanti effetti  indiscriminati e incontrollabili nello spazio e nel tempo, conseguenze umanitarie e ambientali  derivanti dall’utilizzo degli ordigni nucleari;  spreco di risorse per il nucleare a scopo militare, che potrebbero invece essere utilizzate per priorità più significative, quali la promozione della pace e dello sviluppo umano integrale,  la lotta alla povertà e l’attuazione dell’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile.
(3) “La pace non è assenza di guerra, è una virtù, ma è una virtù che nasce dalla forza d’animo: così scriveva  Spinoza nel suo Trattato politico  (trad. it. a cura di A. Montano, ed. Il Tripode, 2000, cap.5, p.76).
(4) R. Mancini, La scelta di accogliere, ed. Qiqajon, 2016, p.8. 
(5) Byung-Chul Han (coreano, insegna a Berlino) è uno dei più influenti filosofi contemporanei. Han è anche un personaggio singolare: concede pochissime interviste, tiene molto alla riservatezza della sua vita personale.  Si sa che è laureato in teologia cattolica e che ha scritto un libro sulla filosofia del buddhismo zen, ma non si sa quale sia la sua religione e se ne abbia una. Cfr. La società della stanchezza, 2012 – Eros in agonia, 2013 – L’espulsione dell’altro, 2017: tutte editi da Nottetempo. 
(6) cfr.  A. Fabris, Senso e indifferenza. Un cluster book di filosofia, Pisa, Ets 2007. 
(7)  cfr. R. Kapuściński,   L’altro” (Feltrinelli/Saggi, 2015,4 ed.). 
(8) A tutti gli uomini di buona volontà spetta un compito immenso: il compito di ricomporre i rapporti della convivenza nella verità, nella giustizia, nell’amore, nella libertà: i rapporti della convivenza tra i singoli esseri umani; fra i cittadini e le rispettive comunità politiche; fra le stesse comunità politiche; fra individui, famiglie, corpi intermedi e comunità politiche da una parte e dall’altra la comunità mondiale” (n. 87).
(9) Traggo le riflessioni sul fondamentalismo da p. Giancarlo Bruni: cfr Jesus n. 9, settembre 2004 La mansueta follia della croce contro il male del fondamentalismo, rinvenibile anche su internet. 
(10) Il cristianesimo è vangelo, lieto annuncio rivolto  al mondo intero tramite la parola ed il  dialogo. Dialogare è impegnarsi a capire “sentire” i pensieri, la mentalità, il punto di vista dell’altro; è ascoltare  quanto egli sente il bisogno di comunicarci.  Non c’è dialogo senza la dimensione dell’ascolto, perché è nell’ascolto. Ascoltare significa riconoscere ed accogliere l’altro in quanto altro e meta comunicare la disponibilità a liberarci dei pregiudizi che impediscono la comprensione dell’altro,  pregiudizi numerosi e persistenti nel dialogo tra credenti di fedi diverse. Cfr. ad es. Fuad Allam, Islam e Cristiani: conoscersi e costruire la pace, in AA.VV., Francesco un pazzo da “slegare”, Cittadella ed.1997, pp.213- 221. Tra Islam e Cristianesimo esistono differenze fondamentali che nella ricerca della pace dobbiamo superare, ma senza dimenticare quello che non siamo l’uno per l’altro. Per esempio, l’unità divina per i musulmani significa anche un legame stretto tra temporalità e spiritualità, che la coscienza occidentale comprende con difficoltà; nello  stesso tempo è difficile per i musulmani capire che Dio possa essere uno  in tre persone.
(11) Conferenza tenuta presso il Monastero benedettino di San Benedetto a Milano il 28.11.2011 da  Guido Dotti, monaco di Bose “I monaci di Tibhirine e il dialogo con i musulmani. La presenza di monaci trappisti in un giardino di Islam”. Il gruppo "Legame di pace" tra cristiani e musulmani, gruppo di ascolto e di studio,  “prende apertamente le parti contro l'odio e la violenza”;  “riconosce la differenza di ognuno, ma anche le affinità, pur con significati diversi”, per es. nella preghiera, nell’elemosina, digiuno, ospitalità, pellegrinaggio, conversione del cuore.…  “La  vita quotidiana – spiega Guido  Dotti– è stato il luogo in cui i monaci di Tibhirine hanno imparato a conoscere la presenza dell’altro, come musulmano, dell'altro che è credente e vive accanto a te, e vive un’esperienza di fede. Questo è avvenuto in modo molto spontaneo attraverso la condivisione anche della terra. Sul terreno che avevano mantenuto i monaci hanno creato una cooperativa i cui soci erano alcuni monaci e alcuni capifamiglia del villaggio vicino, i quali continuano anche adesso a coltivare la terra e a ricavarne i prodotti per dare da mangiare alle loro famiglie. Poi avevano messo a disposizione una stanza nel loro grande monastero perché fosse usata come luogo di preghiera, dove regolarmente la comunità musulmana del villaggio poteva trovarsi a pregare ai suoi ritmi”. 
(12) Per R. Mancini l’attuale globalizzazione, estensione a livello mondiale dell'economia ad egemonia finanziaria, è un “inganno” che si rivela in  una “triplice verità: “l'Europa colonialista ha un grande debito storico nei confronti dei paesi excoloniali; il sistema neoliberistico dei poteri finanziari non è in grado di governare le contraddizioni del mondo attuale (conflitti bellici, migrazioni, terrorismi, fondamentalismi armati, nazionalismi, disastri ambientali, esaurimento delle risorse, diseguaglianze abissali, sviluppo mondiale delle mafie); l'Europa si sta disgregando in una ridda di ideologie dominanti “immorali e antidemocratiche” (nazionalismo, localismo, individualismo, populismo, neofascismo, neoliberismo). L’alternativa è la  “globalizzazione dialogica e democratica di interdipendenza tra i popoli: pratiche di accoglienza, intese interreligiose, diffusione della conoscenza dell'arte e del pensiero delle diverse culture, accordi per la pace, processi di cooperazione equa e solidale, movimenti transnazionali per la difesa dei diritti umani e della natura, giornalismo d'inchiesta su scala internazionale, lotta coordinata contro la grande criminalità”: o.c., pp. 52-54. 
(13) Estratto dell’omelia pronunciata dal card. Martini nel 2003: cfr. articolo apparso sul Corriere della Sera il 27.08.2003 “Ogni popolo guardi il dolore dell’altro e la pace sarà vicina”.

6 commenti:

  1. Mariapaola Benedetti4 febbraio 2018 alle ore 17:25

    .."Ogni incontro - sappiamo bene - non si improvvisa: occorre prepararsi interiormente perché sia il contrario del nostro quotidiano ed indifferente incrociarsi in mezzo alla folla. Non c’è scampo, scrive Kapuściński: lo svolgimento e la qualità dei nostri rapporti con il nuovo altro definiscono e definiranno il clima del mondo nel quale viviamo e vivremo..".

    RispondiElimina
  2. Grazie Mariapaola Benedetti per la sottolineatura quanto mai opportuna.

    RispondiElimina
  3. Profonda ed accurata, come tua abitudine. Sempre piena del tuo spirito profetico. Già sai che condivido da cima a fondo. Eppure bisogna esprimerlo alla maniera di padre Turoldo, con l’entusiasmo del folle e con la leggerezza del sussurro ( musica di sottofondo nell’universo) che : La pace sia!

    RispondiElimina
  4. Caro Rosario lo so, altro che lo so (il tuo condividere “da cima a fondo”). E non bisogna stancarsi di gridare (in silenzio!) ai quattro venti “la pace sia” e testimoniare sempre nel silenzio del quotidiano quanto si proclama. Buona notte.

    RispondiElimina
  5. Risposte
    1. E’ ciò che ci unisce: una sintonia di orizzonti che cogliamo noi quando leggiamo il suo blog. Temo i ristretti orizzonti che stanno dividendo, lacerando il mondo, compresa la nostra Italia. Buona giornata.

      Elimina