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mercoledì 13 agosto 2025

Gli anni dell'abbondanza

 Post di Rossana Rolando

“Non approfittare del dono, non speculare sull’abbondanza.
Un miracolo è tale ed è gratuito, guai a farsi pagare!”
(p. 330)
 
Copertina
Il libro d’esordio di Maria Costanza Boldrini, dal titolo Gli anni dell’abbondanza (Casa Editrice Nord, gennaio 2025), convince perché non è costruito con lo scopo di essere venduto, come accade per la produzione “artistica” asservita alle logiche del mercato, ma perché risponde alla vocazione profonda della scrittura e all’autentica volontà di saldare il debito di riconoscenza verso la propria famiglia e la terra d’origine.
Per questo non indulge a mode, ma respira nell’ampio filone dei classici, dal romanzo storico al realismo magico.
E’ la saga di una famiglia, con particolare riferimento alle figure femminili, lungo il corso di diverse generazioni, dalla fine dell’Ottocento agli anni ’80 del Novecento. La microstoria, in primo piano, si staglia sullo sfondo della grande Storia, con gli eventi drammatici in cui è coinvolta l’Italia, dalla Prima alla Seconda guerra mondiale, fino agli anni del terrorismo. Come nella tradizione del grande romanzo storico, le vicende e i ricordi legati ai singoli individui si innestano sulla trama della memoria collettiva.

L’abbondanza. Il titolo richiama una tematica che si snoda in tutta la narrazione. Così si legge nel blog “Una parola al giorno” che vede come collaboratrice la stessa Boldrini:

venerdì 8 agosto 2025

Se non è una trama, vi assomiglia

 Post di Rosario Grillo
 
«Sino a che questo oblio di una possibile alternativa avrà il sopravvento, contro la cecità allapocalisse (di cui scrisse Günther Anders, ) non ci sarà niente da fare». (Christof Türcke)
“è restata, infatti, la guerra senza il principio del conflitto […] una guerra ormai allo stato puro, come non s’era mai vista prima nella storia, una guerra con distruzione e morte ma, senza sangue né conflitto” (A. Asor Rosa, Fuori dell’Occidente )
 
Rosa dei venti, 1650
Ritorna in pompa magna il protezionismo.
Cala il sipario sul lungo periodo cominciato con la fine delle due guerre mondiali, intonato al libero commercio. Ne sono state tessute le lodi più sperticate, spesso sfiorando la retorica, in modo da combattere il fronte dei paesi comunisti, raccolti sotto l’insegna della URSS.
La polvere ideologica con la quale si è rivestito il fronte occidentale, nel quale gli Stati Uniti prendevano il testimone del comando, si serviva addirittura di un’impegnativa voce: democrazia. Contrapposta ad autocrazia.
In conseguenza, addirittura, fu coniato l’apposito marchio di Occidente: ne scaturì una dualità inconciliabile con l’oriente (ed i paesi orientali). Certo, sfuggiva ai più che la geografia non è scienza apodittica, anzi chiede il relativismo e se ne serve.
In esempio pratico, certi paesi che al nostro sguardo risultano ad oriente, ad uno sguardo diverso (prospettiva) sono terre d’Oriente. La terra non è piatta e la carta geografica è una rappresentazione strettamente convenzionale.
La democrazia, resa topos dell’Occidente, fu dichiarata figlia della Grecia antica (età di Pericle) e fu stretta in unione con il liberalismo dando origine alla liberaldemocrazia.
Essa si faceva forte dello spirito liberale con gli annessi diritti civili e partoriva, in integrazione, la sovranità popolare con il bagaglio dei diritti sociali. La relazione sembrò armonica: tra liberismo liberalismo democrazia sembrava correre una fluidità ineccepibile. La maglia si poteva stendere fino a comprendere la socialdemocrazia tanto che, in un certo angolo, fu anche imbastito il welfare (non universale, per carità!).
Fu decantato il piano Marshall, senza sospettare l’incipiente egemonia degli Stati Uniti. Si permise (accordi, contrattazione, concessioni) una certa decolonizzazione, sotto attenta vigilanza, con dentro la fumosità di un incombente neo colonialismo (mutatis mutandis: sempre colonialismo).

domenica 3 agosto 2025

Siamo tutti nomadi. Verso dove?

Post di Gian Maria Zavattaro
Immagini di Patrik Svensson (qui il sito instagram)
  
Patrik Svensson
“Saremmo fuori dalla civiltà e dalla stessa fede, se stabilissimo che è “naturale” far pagare agli “ultimi” la nostra voglia di vivere […]. L’Occidente è ad un bivio: o smette di dirsi umano e cristiano oppure “condivide” ciò che è ed ha: cultura, tradizione umanistica, diritti umani, fino a questa terra che è di Dio e dunque di tutti, questo pane che la terra ancora ci dona. Nessuno pensa che sia cosa da poco, ovvia e di immediata attuazione. Non è follia, è l’unica saggezza (F. Scalia SJ, Adista n.17, 9.5.2015).
 
Un ben pensare è più che pensare: così scriveva Morin a proposito della visione di Pascal circa la marginalità della nostra terra, terzo satellite di un sole astro perduto in una galassia periferica fra miliardi di galassie di un universo in espansione. Ciò dovrebbe ridimensionare il nostro incredibile gigantismo, sollecitarci a vivere la nostra precarietà con serena gioia, condividendo amore amicizia stupore tenerezza verso i nostri fratelli e sorelle (d’ogni razza età lingua ,d’ogni religione o nessuna) e verso ogni forma vivente. Sarebbe liberarci dalla frammentazione del nostro esistere per cogliere l’essenziale, magari fino a giungere alle soglie del Mistero.
Insomma semplicemente dovremmo “ben pensare”: non il pensare “prosaico” (esclusivamente dedito a compiti utilitaristici) ma il pensare “poetico” (dal greco poiesis) processo attraverso cui viene all'esistenza qualcosa che non c'era, azione che porta dal non-essere all'essere. Nel linguaggio comune si chiama poesia, votata alla gratuità, al kalòs kai agathòs, cioè al "bello e buono" .
Siamo tutti pellegrini, tutti nomadi, di passaggio, in viaggio. Il nostro è un pianeta nomade ed ognuno di noi è contrassegnato dalla sua “identità nomadica”, ognuna diversa, divergente, spesso anche opposta rispetto alle altre ….