Laddove vince la maternità che libera, lì ha la meglio la vita.
Post di Rossana Rolando
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Odilon Redon, Due giovani donne tra i fiori, 1912 |
Un giorno andarono dal re due prostitute e si presentarono innanzi a lui. Una delle due disse: «Ascoltami, signore! Io e questa donna abitiamo nella stessa casa; io ho partorito mentre essa sola era in casa. Tre giorni dopo il mio parto, anche questa donna ha partorito; noi stiamo insieme e non c'è nessun estraneo in casa fuori di noi due. Il figlio di questa donna è morto durante la notte, perché essa gli si era coricata sopra. Essa si è alzata nel cuore della notte, ha preso il mio figlio dal mio fianco - la tua schiava dormiva - e se lo è messo in seno e sul mio seno ha messo il figlio morto. Al mattino mi sono alzata per allattare mio figlio, ma ecco, era morto. L'ho osservato bene; ecco, non era il figlio che avevo partorito io». L'altra donna disse: «Non è vero! Mio figlio è quello vivo, il tuo è quello morto». E quella, al contrario, diceva: «Non è vero! Quello morto è tuo figlio, il mio è quello vivo». Discutevano così alla presenza del re. Egli disse: «Costei dice: Mio figlio è quello vivo, il tuo è quello morto e quella dice: Non è vero! Tuo figlio è quello morto e il mio è quello vivo». Allora il re ordinò: «Prendetemi una spada!». Portarono una spada alla presenza del re. Quindi il re aggiunse: «Tagliate in due il figlio vivo e datene una metà all'una e una metà all'altra». La madre del bimbo vivo si rivolse al re, poiché le sue viscere si erano commosse per il suo figlio, e disse: «Signore, date a lei il bambino vivo; non uccidetelo affatto!». L'altra disse: «Non sia né mio né tuo; dividetelo in due!». Presa la parola, il re disse: «Date alla prima il bambino vivo; non uccidetelo. Quella è sua madre». Tutti gli Israeliti seppero della sentenza pronunziata dal re e concepirono rispetto per il re, perché avevano constatato che la saggezza di Dio era in lui per render giustizia.
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Odilon Redon, L'armatura, 1891 |
L’una, infatti, ha ucciso il proprio bambino coricandovisi sopra. Il verbo greco ἐπίκειμαι indica proprio l’azione dell'essere disteso sopra. L’immagine è potente e suggerisce una concezione del materno che soffoca con la propria presenza, sovrapponendosi al figlio con il peso di tutto il corpo. Interessante notare come, nella concezione biblica, non vi sia la distinzione platonica tra anima e corpo, ma la persona venga concepita come un intero, una fusione di aspetti spirituali e materiali. Dentro questo “coricarsi sopra” si delineano dunque tutte le forme dello schiacciamento: per troppa protezione, per eccesso di aspettativa, per proiezione di sé… Sono i mille volti del narcisismo che si nascondono anche dietro atteggiamenti apparentemente altruistici (nel brano rappresentati dal seno che cura e accudisce).
E’ la madre che non è in grado di uscire da sé. Il figlio è un suo prolungamento, un suo strumento, deve averlo per conservare la propria identità: preferisce che muoia piuttosto che farlo vivere come altro da sé.
Odilon Redon, La signora dei fiori, 1890-1895 |
Il racconto biblico insegna a decifrare il materno nel suo significato simbolico (σύμβολον da συμβάλλω, inteso come mettere insieme), oltre il senso semplicemente fisico dato dalla generazione biologica. La madre, infatti, simbolicamente, si riconosce nella capacità di aprire gli spazi della vita, di mettere da parte l’ingombro dell’io, per liberare la dimensione dell’alterità.
Nel suo libro Le mani della madre, Massimo Recalcati prende in considerazione questo stesso brano e interpreta le due figure in modo speculare e contraddittorio: è la stessa e unica donna che porta in sé la duplicità. Laddove vince la maternità che libera, lì ha la meglio la vita.
Sublime e vitale il senso materno e qui è perfettamente rappresentato. Grazie Rossana da Rosario 🤗👏
RispondiEliminaCiao Rosario, grazie a te, come sempre. Buona domenica.
EliminaHo un certo imbarazzo circa l'uso del termine "possesso" riferito a un figlio. Il figlio è un dono ed è vero che normalmente i doni che ci vengono fatti diventano "nostri" e sono quindi in nostro possesso. Ma si parla normalmente di doni inanimati. Qui c'è un lattante che ha già però inscritti carattere, tendenze, desideri, ecc. presumibilmente diversi da quelli della genitrice. In che modo può essere considerato un "possesso"?
RispondiEliminaInfatti, il brano biblico insiste sulle espressioni "mio", "tuo" (con cui viene rivendicato il figlio vivo, come se si trattasse di un possesso), per sottoporle a critica. Alla fine, la vera madre è quella che si "espropria" del figlio, non considerandolo un suo "possesso" e gli ridona vita. Metaforicamente la maternità è descritta come capacità di lasciar crescere, di non divorare, di far vivere un altro da sé. Nel linguaggio del dono: è un dono di cui non si è proprietari.
EliminaMi viene in mente un bellissimo componimento di Kahlil Gibran:
"I figli"
… e una donna che aveva al seno un bambino disse: parlaci dei figli. Ed egli rispose:
I vostri figli non sono figli vostri ...
sono i figli e le figlie della forza stessa della Vita.
Nascono per mezzo di voi, ma non da voi.
Dimorano con voi, tuttavia non vi appartengono.
Potete dar loro il vostro amore, ma non le vostre idee.
Potete dare una casa al loro corpo, ma non alla loro anima, perché la loro anima abita la casa dell'avvenire che voi non potete visitare nemmeno nei vostri sogni.
Potete sforzarvi di tenere il loro passo, ma non pretendere di renderli simili a voi, perché la vita non torna indietro, né può fermarsi a ieri.
Voi siete l'arco dal quale, come frecce vive, i vostri figli sono lanciati in avanti.
L'Arciere mira al bersaglio sul sentiero dell'infinito e vi tiene tesi con tutto il suo vigore affinché le sue frecce possano andare veloci e lontane.
Lasciatevi tendere con gioia nelle mani dell'Arciere, poiché egli ama in egual misura e le frecce che volano e l'arco che rimane saldo.
grazie
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