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La pace appare oggi una meta irragiungibile... |
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Gerusalemme, la città santa per l'Ebraismo, il Cristianesimo e l'Islam... (Tivadar Kosztka Csontváry, Il monte degli ulivi in Gerusalemme) |
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... oggi luogo di divisione e di morte... (Francesco Hayez, La distruzione del tempio, particolare) |
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...possiamo pregare ... per chi sa pregare... (Tivadar Kosztka Csontváry, Gerusalemme all'entrata del muro del pianto) |
E poi c’è il rischio della nostra
saturazione, assuefazione, rassegnazione fatalistica: sì, siamo nell’era
della globalizzazione, ma sono loro ad essere là, non noi. Le immagini che
vediamo in tv o su facebook provocano immediate reazioni
emotive, effimere se non inducono a capire, ad interpellare la
nostra coscienza, pur nella consapevolezza che nessuno di noi possiede al
riguardo certezze apodittiche, offuscati come siamo dalla violenza-spettacolo
dei media, dall’impossibilità di informazioni non manipolate, dall’innalzamento
di muri tra oriente ed occidente, tra mondo del dominio e dei dominati, dai
nuovi e antichi squilibri nazionali ed internazionali, dal verminaio di
contrastanti interessi nel Medio Oriente, noti ed ignoti.
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... noi siamo qui... (Tivadar Kosztka Csontváry, Mandorli in fiore a Taormina) |
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... e loro sono là... (Tivadar Kosztka Csontváry, La distruzione del tempio) |
E’ molto difficile, oggi come
ieri, assumere una posizione univoca e netta a favore dell’una o dell’altra
parte del conflitto arabo israeliano. La crisi di queste ore si inserisce in
una storia di odio e violenze che ha avuto inizio fin dal 1948, nel momento in
cui si è costituito lo stato di Israele in quei territori anticamente
abitati da ebrei e successivamente – dopo la diaspora e l’avvento del
cristianesimo - da arabi cristiani e musulmani.
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... nel mezzo di odi e violenze ... (Francesco Hayez, La distruzione del tempio, particolare) |
Quello che in questo post
vorremmo proporre non è una ricostruzione dei fatti concernenti il
conflitto arabo israeliano, ma una serie di possibili diverse chiavi di
lettura, espresse su giornali o su siti da varie personalità.
La responsabilità del mondo arabo.
La responsabilità del mondo arabo.
Padre Samir Khalil Samir, gesuita
arabo, in un suo intervento segnalato da Paolo Tavaroli su facebook, interpreta
la recentissima proclamazione del califfato da parte di Abu Bakr come segno di
decadenza del mondo arabo ed islamico. L’unica via per riconquistare la dignità
e ricostruire culturalmente l’uomo arabo e musulmano è, secondo lui, ripensare
le leggi, applicare i diritti umani, rafforzarli, andare nel senso di una
cultura aperta, che solidarizzi con tutto il mondo e non, al contrario, che
diffonda una cultura della divisione. Se si guarda al califfato abbaside e ci
si domanda da dove sia venuta la sua grandezza, la risposta è che essa è venuta
dall'unione fra tutte le parti dell'antico impero musulmano. Dal punto di vista
culturale, più che gli arabi, vi hanno contribuito iraniani, afghani,
balkh, cristiani di lingua siriaca: una visione aperta che dava spazio a tutti,
pur privilegiando il mondo arabo islamico.
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Il mondo arabo - secondo P. Samir - deve ritrovare le radici di una cultura aperta ... (Francesco Hayez, Incontro tra Esaù e Giacobbe) |
P. Samir,
per quanto riguarda la convivenza tra israeliani e palestinesi e la
ricerca di una giusta soluzione, anche se mai perfetta, ricorda che
entrambi hanno ricevuto torti e procurato ferite e, così si
pronuncia:
«Se davvero vogliamo ricostruire la società araba, sono necessarie alcune scelte fondamentali. Noi arabi dobbiamo imparare a convivere sulla base di valori comuni, senza fare guerre a motivo di differenze religiose. […]. Ad un altro livello, c'è anche da collaborare in tutta la regione, soprattutto con Israele, per la pace coi palestinesi. Ogni passo verso la pace in questo senso potrà facilitare i rapporti anche con l'Occidente. Un'altra urgenza è che i Paesi arabi stilino delle costituzioni ispirate alla giustizia, all'uguaglianza, ai diritti umani, alla pace, senza fare distinzioni tra sessi o religioni. […] Fuori di questo, il mondo arabo non farà che regredire, e - ciò che è peggio - lo farà in nome della religione, cioè dell'Islam. E' tempo di salvare l'Islam, lottando contro il fanatismo religioso».
La responsabilità di Israele.
Le parole che a nostro parere meglio la esprimono sono quelle di Enzo Bianchi, priore di Bose, pronunciate addirittura nel 2002 (Avvenire, 3 aprile), in occasione della invasione israeliana di territori palestinesi, attualissime:
«Se davvero vogliamo ricostruire la società araba, sono necessarie alcune scelte fondamentali. Noi arabi dobbiamo imparare a convivere sulla base di valori comuni, senza fare guerre a motivo di differenze religiose. […]. Ad un altro livello, c'è anche da collaborare in tutta la regione, soprattutto con Israele, per la pace coi palestinesi. Ogni passo verso la pace in questo senso potrà facilitare i rapporti anche con l'Occidente. Un'altra urgenza è che i Paesi arabi stilino delle costituzioni ispirate alla giustizia, all'uguaglianza, ai diritti umani, alla pace, senza fare distinzioni tra sessi o religioni. […] Fuori di questo, il mondo arabo non farà che regredire, e - ciò che è peggio - lo farà in nome della religione, cioè dell'Islam. E' tempo di salvare l'Islam, lottando contro il fanatismo religioso».
La responsabilità di Israele.
Le parole che a nostro parere meglio la esprimono sono quelle di Enzo Bianchi, priore di Bose, pronunciate addirittura nel 2002 (Avvenire, 3 aprile), in occasione della invasione israeliana di territori palestinesi, attualissime:
«Come sperare la pace, una
coesistenza tra ebrei e palestinesi su quella terra ormai segnata da una
spirale di terrorismo e rappresaglie e vendetta? Sì, questa è un’ora buia per
tutta l’umanità, un’ora di tenebra in cui prende corpo una vera “guerra alla
pace”, in cui vince una logica che vuole l’annientamento dell’altro. Proprio in
questi giorni pasquali per i cristiani latini e per gli ebrei, proprio oggi,
Yom ha Shoah, “giorno della catastrofe”, Israele, nella ferma intenzione di
bloccare il terrorismo, invade territori palestinesi ben al di là di interventi
di legittima difesa, anche preventiva. Così, di fronte a queste operazioni
belliche, il mondo arabo non si sentirà obbligato a una risposta
armata?».
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Israele - secondo Enzo Bianchi - non può continuare ad avvitarsi in una spirale di rappresaglie e vendette ... (Francesco Hayez, La vendetta è decisa) |
«Ci resta solo la preghiera?
L’invocazione “Signore, disarmaci e disarmali!” gridata dai monaci trappisti al
cuore dei massacri algerini? I cristiani presenti in Terrasanta, i patriarchi e
i capi delle chiese cristiane presenti a Gerusalemme, alla preghiera uniscono
un grido che si fa voce delle vittime, un appello urgente a chi può “fermare
immediatamente l’inumana tragedia” in cui avvengono “uccisioni gratuite e
indiscriminate”, e un fermo impegno a mediare “per la pace e la sicurezza di
tutti i popoli di questa Terra, israeliano e palestinese”. Anche a noi resta il
grande compito della preghiera che, se autentica intercessione, significa
“prendere posto tra”, interporsi compiendo un passo in una tenebra in cui è
all’azione il mistero dell’iniquità che miete vittime tra uomini e donne
innocenti. L’amore che noi cristiani oggi nutriamo per il popolo di Israele e
che ci impedisce qualsiasi sentimento antisemita, ci impone però di chiedere a
Israele di fermare questa invasione e di non umiliare oltremodo il popolo
palestinese».
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Il mondo occidentale... i cristiani... devono chiedere ad Israele di fermarsi... (Tivadar Kosztka Csontváry, La volontà di Maria a Nazaret) |
Le nostre complicità
con l’ingiustizia.
Su questa linea si è mosso papa Francesco quando ha invitato il presidente israeliano Peres e il presidente palestinese Abbas ad invocare insieme la Pace. Scelta profetica e non politica che vede nella riconciliazione e nel perdono reciproco l’unica possibilità di risoluzione del conflitto.
Su questa linea si è mosso papa Francesco quando ha invitato il presidente israeliano Peres e il presidente palestinese Abbas ad invocare insieme la Pace. Scelta profetica e non politica che vede nella riconciliazione e nel perdono reciproco l’unica possibilità di risoluzione del conflitto.
Ci sembra di risentire il card.
Martini quando nel 2001 poneva alcune domande:
«... ci siamo noi tutti davvero
resi conto nel passato, rispetto ad altre persone e popoli, quanto grandi ed
esplosivi potessero a poco a poco divenire questi risentimenti e quanto nei
nostri comportamenti potesse contribuire, e contribuisse di fatto, ad attizzare
nel silenzio vampate di ribellione e di odio? […] Ciò che si è fatto e si sta
facendo contro il terrorismo rimane nei limiti della legittima difesa, o
presenta la figura, almeno in alcuni casi, della ritorsione, dell’eccesso di
violenza, della vendetta? […] Sembra questo in particolare il caso, è doloroso
dirlo, di quanto continua a succedere in Medio Oriente» (Omelia tenuta in S.
Ambrogio a Milano il 6.12.0, che si può leggere in estratto su La Repubblica
del 7.12.01).
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Il mondo occidentale non può chiudersi di fronte al dolore che viene dai popoli del Medio Oriente ... (Tivadar Kosztka Csontváry, Il cedro solitario) |
E nel 2003 invitava a guardare al dolore
dell’altro come premessa di un processo politico di pace:
«Per superare l’idolo dell’odio e della violenza è molto importante imparare a guardare al dolore dell’altro. La memoria delle sofferenze accumulate in tanti anni alimenta l’odio quando essa è memoria soltanto di se stessi, quando è riferita esclusivamente al sé, al proprio gruppo, alla propria giusta causa. Se ciascun popolo guarderà solo al proprio dolore, allora prevarrà sempre la ragione del risentimento, della rappresaglia, della vendetta. Ma se la memoria del dolore sarà anche memoria della sofferenza dell’altro, dell’estraneo e persino del nemico, allora essa può rappresentare l’inizio di un processo di comprensione. Dare voce al dolore altrui è premessa di ogni futura politica di pace» (“Ogni popolo guardi il dolore dell’altro e la pace sarà vicina”: estratto dall’articolo apparso sul Corriere della sera il 27.08.2003, il cui testo, molto più ampio, si può leggere in questo blog nella ”pagina” dedicata al card. Martini).
Chi desidera intervenire può andare qui sotto su "commenta come", nel menù a tendina selezionare "nome/URL", inserire solo nome e cognome e cliccare su continua. Quindi può scrivere il proprio contributo sul quale rimarrà il suo nome ed eventualmente, se lo ritiene opportuno, può lasciare la sua mail.
«Per superare l’idolo dell’odio e della violenza è molto importante imparare a guardare al dolore dell’altro. La memoria delle sofferenze accumulate in tanti anni alimenta l’odio quando essa è memoria soltanto di se stessi, quando è riferita esclusivamente al sé, al proprio gruppo, alla propria giusta causa. Se ciascun popolo guarderà solo al proprio dolore, allora prevarrà sempre la ragione del risentimento, della rappresaglia, della vendetta. Ma se la memoria del dolore sarà anche memoria della sofferenza dell’altro, dell’estraneo e persino del nemico, allora essa può rappresentare l’inizio di un processo di comprensione. Dare voce al dolore altrui è premessa di ogni futura politica di pace» (“Ogni popolo guardi il dolore dell’altro e la pace sarà vicina”: estratto dall’articolo apparso sul Corriere della sera il 27.08.2003, il cui testo, molto più ampio, si può leggere in questo blog nella ”pagina” dedicata al card. Martini).
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... deve aiutare il Medio Oriente a ricostruire il Tempio ... a camminare verso la pace ... (Tivadar Kosztka Csontváry, Vista del Mar Morto dalla piazza del Tempio di Gerusalemme) |
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... questa è la ricostruzione del tempio... |
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