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sabato 18 maggio 2024

Una favola d'altri tempi? La città rinata.

Le elezioni ad Albenga. Un augurio tra poesia e favola.
Post di Gian Maria Zavattaro
Fotografie di Rossana Rolando.

Albenga e le sue torri
Anche le città credono d’essere opera
della mente o del caso ma né l’una né l’altro
bastano a tener su le loro mura. D’una città non
godi le sette o settantasette meraviglie, ma la
risposta che dà alla tua domanda.
(Italo Calvino, Le città invisibili).
 
La città rinata: una favola d'altri tempi?
 
C’era una volta molto tempo fa una città, Erebo, in riva al mare, ad un tiro di schioppo dalle montagne - città accorata, con un che di oscura malinconia (nomen omen!) -, dove tutti, (uomini, donne, vecchi, bambini, gatti, cani e canarini) non facevano altro che lavorare, ammassare soldi e contare i loro guadagni alla faccia degli altri: rendite, stipendi, conti in banca(ovviamente in  paradisi fiscali), interessi, affitti e profitti,  vantaggi e svantaggi e tutta la serie di cavilli di elusione fiscale. Non solo. Animati da una furia contagiosa, in parossismo collettivo passavano il tempo a calcolare tutto: larghezza, lunghezza, peso, distanze, cibi, bevande, cielo terra e spiagge pubbliche diventate private, amici, conoscenti,  turisti e stranieri (non i "migranti", troppo diversi), figli, scuola, lavoro, ferie e festività sacre e profane, serre, fiori, carciofi, asparagi, pomodori, trombette…Tutto! Forse che la vita non è altro che un calcolo continuo? 
Albenga, Municipio
Così la gente trascorreva i suoi oscuri giorni ad Erebo e per svagarsi, in file interminabili, rivisitava - perché c’è sempre da imparare! - la mostra  permanente “contare è sognare, calcolare è vincere” e, ovunque ci si incontrava, gli sguardi non miravano l'anima delle persone ma scarpe-vestiti-gioielli-cellulari... e con fulmineo calcolo ognuno capiva quanto valeva (cioè contava) chi aveva di fronte e... beh, un’idea ve la siete fatta, no?
Così si susseguivano i giorni, i mesi, gli anni: i bimbi crescevano,  gli adulti invecchiavano, i vecchi morivano. E tutti sfoggiavano un’ipocrita allegria, cioè erano infelici, ma era la prassi (dicesi procedura abituale, consuetudine, in greco “praxis”).
Poi un giorno - l’antivigilia di Natale quando tutti erano a calcolare regali come pesi e contro-regali come contrappesi - il sindaco della città (poveretto, si impegnava strenuamente con la giunta ad aprire gli occhi ai suoi concittadini, ma era ormai  al termine del  mandato e... boh, è trascorso troppo tempo, non ricordo il nome, ma mi  pare avesse una qualche assonanza con la splendida e fragrante toma degli alpeggi liguri-piemontesi) all'improvviso, passando per v. dei Mille,  ebbe un lampo di genio e capì che c’era qualcosa che non andava: non erano mille nella spedizione di Garibaldi, lo sapevano tutti, eppure si continuava imperterriti a calcolarne mille e i conti non tornavano. Possibile che nessuno ci avesse fatto caso? Si presentava però una splendida occasione: una volta per tutte valersi della metafora dei mille per la resa dei conti dei conti e voltare pagina. 
Albenga, i caruggi
Convocò con procedura d'urgenza una seduta straordinaria del consiglio comunale e fu la fine. Arrivarono tutti ancora con i loro pacchetti e pacchettini in mano ed ognuno, gravemente assentendo con la testa, seguiva con la calcolatrice incorporata al cellulare i conti che il Sindaco snocciolava. Poi si aprì il dibattito. Che c’era da dibattere? Silenzio assordante. Ognuno faceva i suoi conti e buona notte. Sola, prese la parola - non so se spronata dal sindaco - una giovane consigliere (o si dice consigliera?), fresca della maturità al Liceo della città, eletta quasi per caso - la solita storia dell’asino che sostituisce il cavallo –, si guardò in giro impacciata, poi decisa iniziò tranquilla a declamare una poesia che ben conosceva. Una poesia? Sì, anche una invocazione che saliva dal cuore profondo della città. Questa:
 
Ieri mi sono comportata male nel cosmo.
Ho passato tutto il giorno senza fare domande,
senza stupirmi di niente.
Ho svolto attività quotidiane,
come se ciò fosse tutto il dovuto.
Inspirazione, espirazione, un passo dopo l’altro, incombenze,
ma senza un pensiero che andasse più in là
dell’uscire di casa e del tornarmene a casa.
Il mondo avrebbe potuto essere preso per un mondo folle,
e io l’ho preso solo per uso ordinario.
Nessun come e perché –
e da dove è saltato fuori uno così –
e a che gli servono tanti dettagli in movimento.
Ero come un chiodo piantato troppo in superficie nel muro
oppure
(e qui un paragone che mi è mancato).
Uno dopo l’altro avvenivano cambiamenti
perfino nell’ambito ristretto d’un batter d’occhio.
Su un tavolo più giovane, da una mano d’un giorno più giovane,
il pane di ieri era tagliato diversamente.
Le nuvole erano come non mai e la pioggia era come non mai,
poiché dopotutto cadeva con gocce diverse.
La Terra girava intorno al proprio asse,
ma già in uno spazio lasciato per sempre.
È durato 24 ore buone.
1440 minuti di occasioni.
86.400 secondi in visione.
Il savoir-vivre cosmico,
benché taccia sul nostro conto,
tuttavia esige qualcosa da noi:
un po’ di attenzione, qualche frase di Pascal
e una partecipazione stupita a questo gioco
con regole ignote.
 
Albenga e le sue piazze
Fu come scoperchiare il vaso di Pandora e togliere il velo di Maia: reconditi bisogni, nascoste speranze, "regole ignote" represse e rimosse saltarono fuori. L'oscuro  divenne chiaro e ciò che prima era scontato invece stupido ed insignificante. 
La forza della poesia! Troppo spesso le parole sono vuoti rumori, ma a volte pietre vive che infrangono ogni barriera. Sorpresi, increduli, i consiglieri si accorsero che erano tante, troppe le cose che non si potevano calcolare: il silenzio, la solitudine, la tristezza, la gioia, la pace, la libertà, la comunione, l'anima e il cuore delle persone che si amano, la fede…, insomma i sentimenti, le emozioni, le scelte di vita che ti cambiano dentro e... il tuo incalcolabile sorriso di padre, madre nonno/a, figlio/a, amico/a, persino i vicini di casa...  Come si fa a calcolare le cose che ti cambiano dentro?  
Fu così che il consiglio comunale e la città si riscoprirono attraverso la poesia (dal greco “poiesis”, “creazione”, azione appunto che ti trasforma dentro). E dal consiglio comunale - come un’epidemia, una spirale inarrestabile, anzi travolgente valanga - la poesia/invocazione dell’ultima arrivata invase la città: tutti vedevano tutto in una luce diversa e si respirava un’aria musicale mai provata. C’era chi per strada scambievolmente leggeva (pensate: leggeva!!) "qualche frase di Pascal" o altre poesie, c’era chi cantava, chi interpellava di notte la luna e le stelle erranti con struggenti sonetti caudati, chi all’alba contemplava l’aurora del mare ed il sorgere del sole, qualcuno addirittura ad alta voce  confessava che aveva trascorso troppi giorni senza fare domande, senza stupirsi di niente, e invocava "regole ignote" di "partecipazione stupita" alla bellezza  e cominciava a capire - un semplice calcolo! -  che "ens, verum, bonum et pulchrum convertuntur in unum".                                                               
Albenga e le sue chiese
 
Il  bello era che non si era mai soli, ma insieme si gustava lo stupore e la gioia della vita. E non è che non si calcolasse più, anzi, ma era diverso: tutto sembrava cambiato, tutto e niente. I mali, i lutti, le sofferenze, i conti da pagare, l’imu e la tari continuavano come prima, i problemi rimanevano tali, ma era diverso: ad es. i conflitti trovavano soluzione, le incomprensioni potevano anche  svanire, tutti scoprivano che i "diversi" sono semplicemente differenti ma uguali, le rese dei conti si liquidavano con una risata e il sarcasmo nutrito di fake news era messo al bando. C’era l’aria festante di nuovi giorni che consacrassero il vivere tutti insieme nella concordia delle differenze. Era come la rinascita della città, il suo natale, l'attesa di  un’alba che suggellasse la crescita delle speranze di ognuno. 
Pensa e ripensa, l’idea venne ancora una volta al sindaco (per la verità su suggerimento dell’ultima arrivata, una patita del greco antico, oltre che di Wisława Szymborska!): basta con Erebo,  nome tetro e funereo, chiamiamo la città Albenga (contrazione di Alba venga), nome un po’ complicato  ma pregno di speranza. E così fu. E il sindaco venne rieletto.
 
(1) Wislawa Szymborska, La gioia di scrivere, Adelphi, Milano 2009, p. 670 e seg.
 
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