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Visualizzazione post con etichetta Fabrizio De André. Mostra tutti i post
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martedì 22 maggio 2018

Inno alla primavera.

Post di Gian Maria Zavattaro
Immagine del dipinto di Claude Monet, Tempo di primavera. 

Primavera non bussa, lei entra sicura, 
come il fumo lei penetra in ogni  fessura. 
Ha le labbra di carne, i capelli di grano
che paura, che voglia che ti prenda per mano, 
che paura, che voglia che ti porti lontano
 (Fabrizio De André, Un chimico).

Claude Monet. Tempo di primavera, 1872.

“Tu cosa fai veramente?”.
L’eremita rispose:
“Vivo qui”.
Vivere qui è una chiamata, l’opera di una vita,
ma anche la cosa più basilare che si possa immaginare.
Prima di ogni altra cosa noi viviamo sulla terra;
viviamo nell’ambiente che ci attornia.
(E. Theokritoff, Abitare la terra).

La natura ogni anno, ogni primavera, si risveglia umile e silenziosa. Si ripresenta nella sua veste più delicata: splendore di gemme, di fiori, di intensi colori. Vorremmo trattenerla questa stagione in cui tutto rinasce e germoglia, vorremmo fermarla, rimanere in questo incanto. Ma è come un battito d’ali.

venerdì 17 marzo 2017

Fabrizio De André, La cattiva strada, "esegesi".

🖊 Post di Rossana Rolando.

🎸 La cattiva strada. 

(brano e musica di Fabrizio De André e Francesco De Gregori, Album Volume 8, 1975). 

Per leggere il testo cliccare qui.

Fabrizio De André, Concerto (1980)
Nell’esegesi che intendo suggerire la cattiva strada non è un’espressione ironica, è proprio una strada cattiva, anzi “captiva”, nel senso latino del termine: una sequenza di prigioni” in cui sono simbolicamente raccolte tutte le schiavitù che attanagliano l’umanità sofferente.
Il personaggio misterioso (il soggetto di tutti gli incontri) è colui che la percorre fino in fondo. La “cattiva” strada è divenuta la sua strada, quella in cui ha scelto di  rendersi visibile.
Non rimprovera e non fa prediche, compie invece gesti che stupiscono e provocano un sicuro effetto, tanto che tutti lo seguono affascinati, come se fossero risvegliati ad una nuova vita:
🔵 al militare che non ha ancora sparato e lo farà in obbedienza ai comandi (innocente perché inconsapevole o autoassoltosi nell'obbedienza al dovere) getta in faccia uno sputo (e gli ricorda che questo è niente in confronto all'orrore della guerra);

giovedì 18 dicembre 2014

Figure del Natale. Seconda figura, la madre.

Post di Rossana Rolando.

Filippo Lippi, Vergine delle rocce.
Filippo Lippi, Annunciazione.
La seconda figura del Natale che proponiamo - dopo Giuseppe - è quella della madre. Ci affidiamo, per raccontarla, a Fabrizio De André,  poeta, sognatore e spirito profondamente religioso, che molti di noi conoscono e amano. Non ci illudiamo quindi di proporre qualcosa di nuovo, semplicemente ci sembra bello riascoltare questi due brani, contenuti nell'Album La buona Novella, del 1970. Soprattutto pensiamo sia interessante l'accostamento.
Nel primo brano  si narra la giovane Maria che sta per diventare madre. Il tono è dolce, tenero, fiducioso, appena velato da una leggera malinconia.
(Si consiglia di mettere in pausa la musica del blog prima di avviare il video).

 

E te ne vai, Maria, tra l’altra gente/che si raccoglie intorno al tuo passare,/siepe di sguardi che non fanno male/nella stagione di essere madre.//Sai che fra un’ora forse piangerai/poi la tua mano nasconderà un sorriso:/gioia e dolore hanno il confine incerto/nella stagione che illumina il viso.// Ave Maria, adesso che sei donna, Ave alle donne come te, Maria,/femmine un giorno per un nuovo amore/ povero o ricco, umile o Messia.// Femmine un giorno e poi madri per sempre/nella stagione che stagioni non sente.

Pontormo, Deposizione, dettaglio.

Pontormo, Deposizione, dettaglio.
Il secondo brano presenta invece una scena di grande potenza e drammaticità. Tre madri sul Golgota. De André immagina un colloquio tra Maria, madre di Gesù, e le madri dei due ladroni, Tito e Dimaco. Colpisce l'idea di guardare la crocefissione dalla parte delle madri e del loro immenso, seppur diverso, dolore. Le madri dei due ladroni piangono i loro figli perché perduti per sempre. Anche Maria è afflitta. Le due madri le rivolgono la parola. Le fanno notare che suo figlio - a differenza dei loro - risorgerà, perché figlio di Dio. Ma Maria è avvolta nel dolore tutto umano della perdita di Gesù, quasi schiacciata dal peso di quel disegno sovrumano che l'ha scelta e coinvolta nel sacrificio supremo del proprio” figlio. E la conclusione del brano getta uno sguardo discreto su quel dolore intimo, indicibile, appena sussurrato: non fossi stato figlio di Dio t'avrei ancora per figlio mio.

(Si consiglia di mettere in pausa la musica del blog prima di avviare il video).




Madre di Tito:/ “Tito, non sei figlio di Dio,/ ma c’è chi muore nel dirti addio”.//Madre di Dimaco:/ “Dimaco, ignori chi fu tuo padre,/ ma più di te muore tua madre”.//Le due madri:/ “Con troppe lacrime piangi Maria,/ solo l’immagine di un’agonia:/ sai che alla vita, nel terzo giorno,/ il tuo figlio farà ritorno:/ lascia noi piangere, un po’ più forte,/ chi non risorgerà più dalla morte”.//Madre di Gesù:/ “Piango di lui ciò che mi è tolto,/ le braccia magre, la fronte, il volto,/ ogni sua vita che vive ancora,/ che vedo spegnersi ora per ora.// Figlio nel sangue, figlio nel cuore,/ e chi ti chiama – Nostro Signore –,/ nella fatica del tuo sorriso,/ cerca un ritaglio di Paradiso.// Per me sei figlio, vita morente,/ ti portò cieco questo mio ventre,/ come nel grembo e adesso in croce,/ ti chiamò amore questa mia voce.// Non fossi stato figlio di Dio,/ t’avrei ancora per figlio mio”.
Pontormo, Deposizione.