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venerdì 12 luglio 2024

Settimane sociali triestine.

Post di Rosario Grillo.
 
Settimana sociale dei cattolici
La settimana sociale della Chiesa, che ha una ricorrenza pluriennale, si sta tenendo quest’anno a Trieste con un entusiasmo ed una partecipazione notevoli. Purtroppo, a dirla tutta, senza una cassa di risonanza adeguata dentro “il teatrino dell’informazione italiana”. Eppure, il tema che è sotto esame è: “al cuore della democrazia”.
 
💥 Una microstoria
La Chiesa cattolica ha cominciato ad organizzare le settimane sociali a partire dal 1907, con la guida di Giuseppe Toniolo, sulla scia della stagione aperta dall’enciclica Rerum novarum di Leone XIII. Fu quindi momento del costituendo impegno politico dei cattolici, dopo aver raccolto l’esperienza compiuta dall’Opera dei congressi, disponendosi al superamento della scissione tra “cattolici transigenti” e “cattolici intransigenti”.
Le anime poco armoniche del movimento cattolico avrebbero provocato diverse interruzioni, prima che il totalitarismo fascista, negli anni trenta, portasse ad un lungo silenzio. Il riavvio avverrà quindi nel dopoguerra, intrecciandosi con le problematiche della ricostruzione. Già determinante, attraverso ispirati esponenti politici (La Pira, Dossetti, Moro), fu, però, il contributo portato alla Costituzione repubblicana, imperniato sul principio del Personalismo. Era l’avvio di un “fermento” che, per i lati teologico ed ecclesiologico, avrebbe dato i primi frutti nel Concilio Vaticano II.

sabato 25 agosto 2018

Pellegrini di ieri e di oggi.

Post di Rosario Grillo.
Immagini delle opere fotografiche di Jamie Heiden (qui il sito) per gentile autorizzazione.

Jamie Heiden
Non sono tempi di pellegrini, i nostri!
Eppure una figura esemplare di pellegrino manda ancora i suoi “diari di viaggio” e in tanti li leggiamo con interesse e con amore.
Parlo di Paolo Rumiz, instancabile “globe-trotter” sulle strade dell’Europa, dell’Asia, dell’Appia antica, dei fronti della Grande Guerra, della rete delle abbazie medievali.
I suoi quaderni possiedono una pratica di fabulazione non comune: hanno capacità miste di meraviglia, di scandaglio, di denuncia, di amore frugale e di piena condivisione dei ritmi di un tempo. Senza nostalgia retrò, con la consapevolezza dell’appartenenza al tempo presente.
Pellegrino: era un personaggio tipico del periodo antico, in ispecie di quello medievale.

sabato 23 giugno 2018

L'arte di correre. Murakami.

Post di Rossana Rolando
Immagini delle illustrazioni di Pia Valentinis (qui il sito).

Pia Valentinis, 
Cavallo e cielo
“…le cose che meritano di essere fatte, vanno fatte con tutto il nostro ardore, anche a rischio di esagerare” (Murakami, L'arte di correre, Einaudi, 2007, Torino, p. 84).

🌟 Confesso di non aver mai letto nulla di Murakami e di aver acquistato il suo libro “L’arte di correre” attratta semplicemente dal titolo, dal momento che la corsa è stata una scoperta della mia vita adulta e una passione che ancora perdura. Per me, correre lungo il mare, nelle prime ore del mattino, in ogni stagione, ma specialmente in quella mite e odorosa della primavera, è un modo impagabile per dare inizio ad una nuova giornata.

🌟 Il testo è rimasto abbandonato un po’ di tempo tra i ripiani della libreria (è uscito nel 2007) e solo recentemente mi è ricapitato tra le mani ed ho iniziato a leggere.

martedì 30 giugno 2015

Il senso della vista e il significato del "vedere".



L'uso del verbo vedere nel linguaggio.
Hai visto? Fammi vedere! Ma guarda dove vai! Ma dove guardi? Guarda in  te stesso! Non guardare, girati dall’altra parte! Non guardarmi storto! Non chiudere gli occhi di fronte alla realtà! Occhio non vede, cuore non duole! Che bel vedere! Visione paradisiaca! Che brutto spettacolo!

Vedere è atto e segno conoscitivo.
Il senso della vista segna in modo irripetibile il nostro stare al mondo e i significati di fondo con cui, consapevoli o passivi, lo abitiamo: è segno conoscitivo centrale per eccellenza. Per Platone è «filosofo» chi ama «lo spettacolo della verità», chi esercita la visione del bene culmine della conoscenza, liberandosi dalla zavorra delle opinioni inautentiche. 


Certo la vista può essere offuscata da una luce eccessiva,  (“troppa luce abbaglia”, ci ricorda Pascal), oppure può essere sedotta dal proprio egotismo, come attesta il mito  di Narciso che nel proprio riflesso nell'acqua rivela tragicamente il cortocircuito del suo ego. E ancora la vista di Medusa, bellissima quanto perversa, è talmente fatale nel suo fascino da trasformare in pietra gli uomini che si voltano a guardarla, mentre la moglie di Lot, che non sa trattenersi dal mirare il  fascino malsano di Sodoma in fiamme, diventa statua di sale. E che dire del mito del  prigioniero nella caverna che Platone fa risalire alla luce o della cecità tragica di  Edipo o di quella di Tiresia che proprio perché cieco ha preveggenza aperta al futuro, mentre gli è negata la visione del presente?



Insomma il primato della vista  si identifica da sempre con il conoscere  sia come apertura prima di tutto a se stessi (intus-legere) sia  alla realtà esterna degli altri e del mondo: conoscere in ogni caso sempre irto di rischi. 

La deformazione dello sguardo. 
Oggi infatti viviamo in un contesto sociale  e culturale dedito alla fobia della vista, alla miopia, dove guardare non è mai vedere.

Vediamo solo quello che vogliamo vedere  - non vidi  ergo non est! -  oppure ci fanno vedere solo quello che vogliono e c’è chi si industria  a non farci vedere e a chiudere gli occhi di fronte  alla realtà, a distrarci, ad impedirci la consapevolezza dei drammi in cui siamo immersi e la meraviglia che muove ed incita lo sguardo. Se chiudere un occhio significa complicità, chiudere gli occhi vuol dire vigliaccheria, codardia, paura, servilismo.


Lo sguardo e l'altro. 
Per strada continuamente mi capita di incrociare persone mai viste prima; per una breve frazione di tempo ci si scambia uno  sguardo esplorativo (Chi sei? Cos'è la tua vita? Ami, speri, soffri?), mentre ognuno prosegue il suo cammino. Fugaci incontri, come infiniti altri, ognuno dei quali lascia un segno, come infiniti altri, e mi sollecita a riflettere che il miglior specchio per il mio sguardo, "il più sicuro rivelatore di me stesso" (E. Mounier), è lo sguardo di un’altra persona quando si posa su di me.


Vi sono sguardi che agiscono lentamente, altri che in un colpo mi rivelano a me stesso. Mediocrità, preoccupazioni, convinzioni, abitudini, pregiudizi che prendevo sul serio ecco che, visti con lo sguardo degli altri, mi appaiono per ciò che sono: sempre relativi, spesso inessenziali, a volte grotteschi.


Lo sguardo degli altri – sia esso rimprovero o appello o promessa - è l’inaudito che mi può rischiarare, mi rivela nelle mie giuste proporzioni, mi scuote dalla mia sufficienza diventata zavorra: molla salutare, “turbamento delizioso di mescolarsi a una vita sconosciuta” che potrebbe essere “l’inizio della saggezza”, del cambiamento, del perdono, dell'accoglienza. 

Il vedere della fede.
La fede come si concilia con il “vedere”? GV 20, 1-9 (Vangelo del giorno di Pasqua) ci attesta, attraverso il lessico greco, che  l’azione del  “vedere” della fede si esprime in un itinerario che comprende un crescendo discontinuo.


Ci si può fermare a guardare: “blepo” (βλέπω), vedo carnalmente con gli occhi, materialmente percepisco un volto, un evento, un oggetto.  Si può procedere oltre, osservare: “theoreo” (θεωρέω), vedo  con la testa, cerco di capire che cosa sta accadendo dentro e fuori di me, vedo le cose, ne ricerco  le spiegazioni, mi interrogo. Infine si può giungere a “vedere”: “orao” (ὁράω), vedo con il cuore, contemplo il significato nascosto in quello che materialmente appare e nel non-nascondimento scorgo la verità (a-letheia).


E così la fede del credente “vede” anche il non-visibile che è venuto nella sua vita, sperimenta come la luce vinca il buio della vita e comprende che l’essere dell’Invisibile è la ragione necessaria dell’esistenza del visibile.


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martedì 24 marzo 2015

Colpa ed espiazione.

Il tema dell'espiazione come liberazione ... 
(Misha Gordin)
... nasce dalla consapevolezza 
delle proprie catene... 
(Misha Gordin)
Oggi il tema dell’espiazione è inattuale e da alcuni considerato addirittura innaturale o incomprensibile, dal momento che è venuta meno la distinzione–separazione tra bene/male, giusto/ingiusto, ed  in termini religiosi si è perduto il senso del peccato. Ancor più si è ben lontani dalla consapevolezza socratica del rispetto della legge, anche quando essa pare iniqua, perché è meglio subire che commettere ingiustizia.

Riscoprire la potenza del negativo ... 
(Misha Gordin)
Eppure riscoprire la potenza del negativo è il presupposto per il riscatto, per ritrovare il volto dell’uomo.
Ecco il senso della proposta di tre figure grandiose dostoevskijane. RASKOLNIKOV, DMITRIJ, IL VISITATORE MISTERIOSO sono grandi perché capaci di ammettere il proprio male, di riconoscere che anch’esso ha una possibile apertura al bene; grandi, perché capaci di vivere l’espiazione della pena come redenzione e nascita dell’uomo nuovo.

Raskolnikov e la figura del rimorso
(Misha Gordin)
RASKOLNIKOV   
e la progressiva coscienza del proprio male  (1)
Ha compiuto un  delitto ed  ha avuto  la punizione del carcere e della settennale deportazione in Siberia. Raskòlnikov non giunge subito al pentimento. Il delitto da lui commesso avrebbe dovuto rivelargli e confermagli che non era un uomo comune, “un pidocchio”, ma un superuomo, alla pari di  tanti uomini di potere, “benefattori dell’umanità”,  che avendo avuto successo non sono stati mai fermati e “perciò avevano ragione.  In prigione  si considera criminale solo in quanto non ha saputo sopportare il proprio delitto e si è indotto  ad autodenunciarsi. E’ pieno di tormenti e sofferenza, ma è  ancora ben lungi dal rimorso di coscienza.  Solo in ultimo emerge la consapevolezza del proprio fallimento, della propria bassezza e miseria. La dedizione di Sònja gli apre la via verso il  pentimento redentore “e nella sua coscienza doveva elaborarsi qualcosa di assolutamente diverso”.

Il visitatore misterioso 
e la figura della confessione 
(Misha Gordin)
IL VISITATORE MISTERIOSO 
e la pubblica confessione   (2)
Sposo e padre di famiglia, rispettato ed onorato  da tutti, ha commesso anni prima un  insospettabile omicidio, senza  alcun rimorso. Ma né una vita onorata né una costante beneficenza riescono a lenire un  tormento che lo invade progressivamente,  sempre più insopportabile. Dopo l’incontro con lo stariez Zòsima, decide di rivoltarsi contro se stesso  e di punirsi da sé, facendo  pubblica confessione del suo delitto. Nessuno gli crede, anzi lo considerano improvvisamente impazzito. Ma  la prova è stata così straziante che egli cade mortalmente malato.

Dmitrij e la figura della pena... 
(Misha Gordin)
DMITRIJ 
e l’espiazione per tutti   (3)
Pur non avendo commesso il parricidio, è ingiustamente punito dalla legge. Accetta volentieri l’immeritata pena come espiazione della colpa che egli sente d’aver commesso per aver desiderato la morte del padre, per lui colpa non minore che se avesse realmente commesso il parricidio. Se ne pente amaramente, vuole la sofferenza dell’espiazione, spiritualmente meritata anche se giuridicamente iniqua, perché sa che solo attraverso il dolore si redimerà dalla colpa e nascerà in lui l’uomo nuovo.

... per trovare una via di riscatto... 
(Misha Gordin)
(1) RASKOLNIKOV. “Sette anni, solo sette anni! Nei primi tempi della loro felicità vi erano alcuni momenti  in cui i due giovani erano disposti a considerare quei sette anni come sette giorni. Raskòlnihov però ignorava che la nuova vita non gli sarebbe stata donata per nulla, che bisognava acquistarla a caro prezzo, pagarla con una futura grande opera. Ma ora comincia una nuova storia, la storia del graduale rinnovamento di un uomo, la storia della sua graduale rigenerazione, del suo graduale passaggio da un mondo ad un altro, dei suoi progressi nella conoscenza di una nuova realtà, fino allora completamente ignorata”. 

(F. Dostoevskij, Delitto e castigo, ed Paoline, Catania, 1965, pp. 809 - 810).
 
... per liberarsi ... 
(Misha Gordin)
(2) IL VISITATORE MISTERIOSO. So che, quando avrò confessato, spunterà per me il paradiso, spunterà immediatamente. Da quattordici anni sono all’inferno. Voglio soffrire. Accetterò la sofferenza e comincerò a vivere. Con la menzogna puoi fare il giro del mondo, ma non torni indietro. […] Dio ha avuto pietà di me e mi chiama a sé.  So che muoio, ma per la prima volta conosco la gioia e la pace dopo tanti anni.  Appena ebbi compiuto quello che bisognava,  di colpo mi sono sentito nell’anima il paradiso. Ormai oso amare i miei bambini e baciarli”.
(
F. Dostoevskij, I Fratelli Karamàzov, ed. Garzanti, 1981, vol. 1°, pp. 321 – 333, memorie dello stàrets Zòsima, in “Il visitatore misterioso”).


... per uscire fuori... 
(Misha Gordin)
(3) DMITRIJ. Fratello, in questi ultimi due mesi  mi sono sentito dentro un uomo nuovo, un uomo nuovo è risuscitato in me! […] Perché tutti sono colpevoli per tutti… E io andrò per tutti loro, perché bisogna pure che qualcuno si sacrifichi per gli altri. Io non ho ucciso nostro padre,  ma bisogna che vada.  Accetto!  […]  Tu non puoi credere, Aljòša, quanto adesso io voglia vivere, quanta sete di esistere e di sentire sia radicata in me appunto tra queste mura scalcinate! […] Sono alla gogna, ma esisto anch’io, vedo il sole, e, se non lo vedo so che esiste. E sapere che c’è il sole è già tutta la vita. Aljòša, cherubino mio, le filosofie mi uccidono, che il diavolo le porti!”
(F. Dostoevskij, I Fratelli Karamàzov, ed. Garzanti, 1981, vol. 21°, pp. 622 - 623, libro undecimo, IV – “L’inno e il segreto”).

... per tutti ...  
(Misha Gordin)

Le immagini riproducono opere di Misha Gordin - maestro nel campo della fotografia concettuale - e sono tratte dalla pagina facebook dell'autore stesso. 

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sabato 13 settembre 2014

Inno alla montagna. Una gita nella Valle Gesso.



Inno alla montagna
luogo di stupore
tempio di bellezza
memoria di gratuità

Lode alla montagna
simbolo della fatica
proiezione del desiderio
ricordo dell’infinito

Canto alla montagna
profondità dei cieli
biancore delle cime
traccia del silenzio

Grazie alla montagna
immensità antica
altezza  inaccessibile
sentimento del limite


Le splendide montagne di Entracque 
e della val Gesso...
... belle e maestose...
... si parte...
... di buona lena... 
per il rifugio Valasco...
... acque limpidissime ...
... circa 2 ore e 1/2 di cammino...
... le acque del Gesso...
... specchi di luce...
... riflessi di colori...
... amare la montagna...
... è immergersi nel mistero 
della bellezza ...
... guardare dentro...
... con il prezioso cannocchiale 
regalatomi dall'amico Franco....
... è sentire il silenzio...
...è camminare insieme ad altri...
... ecco il rifugio Valasco, metri 1764,
casa di caccia di Vittorio Emanuele II...
... siamo finalmente arrivati 
(siamo sopra il rifugio Valasco, 
verso il rifugio Questa)...
... in buona compagnia...
... contempliamo...
...lo splendore...
...la magnificenza della natura...
... riprendiamo il cammino...


Concludiamo con un piccolo, poetico pensiero di Cesare Pavese:
“Basta un colle, una vetta, una costa.
Che fosse un luogo solitario e che i tuoi occhi risalendo si fermassero in cielo.
L’incredibile spicco delle cose nell’aria oggi ancora tocca il cuore.
Io per me credo che un albero, un sasso profilati sul cielo,
fossero dei, fin dall’inizio” 
(Dialoghi con Leucò).


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