Post di Rossana Rolando.
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Craiyon, immagine codificata automaticamente
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Nell’articolo di Alessandro D’Avenia su scuola e intelligenza artificiale (ChatGPT)¹ si prende così sul serio l’introduzione di questa tecnologia informatica, da ipotizzare, sui banchi di scuola, una vera rivoluzione metodologica, tutta volta a promuovere il pensiero creativo e innovatore rispetto al processo di raccolta, sintesi, memorizzazione che la macchina sa fare bene e in fretta, molto meglio di qualsiasi umano. La sfida è saper produrre un capolavoro, piccolo o grande che sia, generare quel novum che la macchina – interrogata al proposito - dichiara di non poter fare. D’Avenia cita il bel passo del musicista Rick Rubin: «Creare vuol dire portare all’esistenza qualcosa che prima non c’era. Potrebbe essere anche solo una conversazione, la soluzione a un problema, un biglietto per una persona cara, una nuova disposizione dei mobili, una strada diversa per tornare a casa».
Ho letto con interesse. Ho riflettuto e mi son chiesta se sia possibile promuovere l’intuizione, la creatività, fin’anche la genialità, senza passare attraverso la regola del pensiero che prima impara a raccogliere, selezionare, ordinare. La creatività – come sa bene D’Avenia – non è spontaneità, ma è frutto maturo di una crescita faticosa e disciplinata.
Utilizzo - per formulare la mia obiezione - due concetti che la psicoanalisi di Jung e di Hillmann ha approntato,² teorizzando le due figure archetipiche e complementari di senex e puer. Non si tratta solo di una polarità presente in tutte le fasi della vita – se l’eterno bambino che è in noi non viene soffocato da cronos – o, ancora, di una classificazione sociologica – giovani vecchi – ma, per quel che conta qui, di una doppia categoria pedagogica.