Iscriviti ai Feed Aggiungimi su Facebook Seguimi su Twitter Aggiungimi su Google+ Seguici tramite mail

Iscriviti alla nostra newsletter!

Visualizzazione post con etichetta psicologia. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta psicologia. Mostra tutti i post

mercoledì 12 giugno 2024

Rimanere vicino alla gioia.

Post di Rossana Rolando.
Immagini dei dipinti di Hilma af Klint, pittrice svedese vissuta tra il 1862 e il 1944.
 
Hilma af Klint, Evoluzione
💥 L’indizio della gioia. Coloro che cercano il significato della vita e indagano sul destino dell’uomo devono sapere che la natura avverte con un segno preciso, suggerendo – di volta in volta – che la meta è raggiunta: questo segno è la gioia.
E’ la tesi sostenuta da Henri Bergson, nella sua conferenza dal titolo La coscienza e la vita.¹ Essa porta con sé, implicitamente, alcune convinzioni niente affatto scontate: la prima riguarda l’affermazione secondo cui la vita non sarebbe un caos privo di senso, un susseguirsi frammentario di stati mentali e corporei senza alcun orientamento; la seconda stabilisce un legame tra la giusta direzione e il segno che la confermerebbe ovvero la gioia.
Come dire: quando la gioia è nell’animo o qualcosa procura gioia, allora si può essere sicuri di camminare verso la meta, quella per cui l’uomo è fatto, il suo senso e il suo destino.
 
💥 Piacere e gioia. 
Bergson si premura subito di operare la distinzione necessaria tra piacere e gioia, due stati d’animo ben diversi, i cui scopi sono differenti. Il primo è funzionale alla conservazione della vita, il secondo indica la direzione verso cui è lanciata la vita: “la gioia annuncia sempre che la vita ha avuto successo, che ha guadagnato terreno, che ha riportato una vittoria: ogni grande gioia ha un tono trionfale”.²

martedì 22 agosto 2023

Maleducazione civile.

Post di Rossana Rolando.
Illustrazioni di Sergio Ingravalle (qui il sito instagram).
 
Sergio Ingravalle, Incolpare
💥 L’ossimoro con cui sono uniti due termini opposti – maleducazione e civile – è già in se stesso una provocazione ed è il titolo di uno dei capitoli del libro di Nicoletta Gosio Nemici miei.¹ L’autrice non si addentra volutamente nel complesso dibattito filosofico relativo al segno positivo o negativo del processo di civilizzazione (da Hobbes a Rousseau), ma fa notare come l’abitudine a pensare uniti educazione e convivenza civile - tanto che esiste una materia scolastica dal titolo Educazione civica – sia messa oggi a dura prova.
 
💥 Luoghi esemplari. La maleducazione è stata sdoganata e si è diffusa in tutti gli ambiti, senza ossequio a ruoli, competenze, specializzazioni…
Il penultimo capitolo del libro è dedicato alla sanità, con riferimento alla cosiddetta “medicina difensiva”, che moltiplica strategie – esami e visite specialistiche… - per evitare di affrontare direttamente un paziente sempre più diffidente e minaccioso, infarcito del presunto sapere proveniente dal “consulto dell’onnisciente dottor Google”.² Ma non è solo la sanità ad essere coinvolta. Chi lavora con il pubblico sa bene che la rottura del rapporto fiduciario ha inquinato tutti i settori. L’aggressività dei genitori verso le/gli insegnanti in difesa del figlio/a, in ogni caso e comunque, è un’esperienza comune, ancorché irragionevole e diseducativa.
La psichiatra Nicoletta Gosio assume come esempio di questo diffusa maleducazione la strada, citando l’uso del clacson ad ogni piè sospinto, gli insulti e i gesti volgari all’ordine del giorno.

domenica 6 novembre 2022

Elogio della fuga.

Post di Rossana Rolando.
Immagini dei dipinti di Ivan Kostantinovič Ajvazovskij (1817-1900).
 
“La fuga è spesso, quando si è lontani dalla costa, il solo modo di salvare barca ed equipaggio” 
(Henri Laborit, Elogio della fuga).¹
 
Ivan Kostantinovič Ajvazovskij, La nona onda, 1850
Nel dialogo platonico intitolato “Lachete”
², Socrate pone una delle sue tipiche domande, brevi e dirette. Chiede proprio a Lachete, un generale esperto in cose militari, che cosa sia il coraggio. Egli risponde sicuro che coraggioso è “chi , durante la battaglia, mantenendo la propria posizione, si difende dai nemici e non si dà alla fuga”. L'atto del fuggire è immediatamente associato alla viltà, secondo una concezione molto comune. Ma Socrate non rimane soddisfatto della risposta scontata e frettolosa. Riprende con il suo solito stile, sgretolando le certezze dell’interlocutore - spesso frutto di stereotipi non sottoposti al vaglio critico - e suggerendo un altro pensiero: ci può essere chi, indietreggiando, non rimanendo fermo al proprio posto, combatte tuttavia contro i nemici e mostra così il proprio coraggio. Alla perplessità di Lachete, Socrate aggiunge che si può continuare a combattere fuggendo. C’è una fuga che non è vigliaccheria, ma è strategia difensiva che permette di continuare a battersi.

lunedì 7 giugno 2021

Narcisismi.

 Post di Rossana Rolando.

💥 Mito e psiche.
Gyula Benczúr, Narciso, 1881
Il prezioso libro di Vittorio Lingiardi, Arcipelago N. Variazioni sul narcisismo, aiuta ad entrare nel mondo vasto e molteplice dei narcisismi, a partire dal mito, per arrivare ad analizzare il caso clinico.
¹
Non riprendo qui il racconto molto conosciuto di Narciso. Piuttosto sottolineo la ricchezza inesauribile della narrazione mitologica, archetipo da cui attingono la letteratura, l’arte e, in questo caso, lo studio della mente.²
Dopo lo scritto di Freud del 1914, Introduzione al narcisismo, la psicoanalisi, la psichiatria e la sociologia si sono occupate largamente del tema, attraverso numerosi lavori, risalenti in particolare alla seconda metà del ‘900. Ad essi è dedicata l'ultima sezione del libro.³ Il disturbo narcisistico della personalità si trova invece definito nel Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali (DSM) a partire dalla terza edizione del 1980.
Nel contesto odierno può sembrare difficile distinguere semplici stili narcisistici dal disturbo della personalità. L’esibizione di sé, l’autocelebrazione, l’esposizione sono i modi più caratteristici della comunicazione social (in particolare instagram, ma anche facebook, twitter…) e non solo.
Eppure il confine esiste ed il libro di Lingiardi aiuta ad individuarlo.

venerdì 9 aprile 2021

Scuola, linguaggio verbale e non verbale. Anche in Dad.

Post di Gian Maria Zavattaro
Immagini delle illustrazioni di Fabio Magnasciutti (qui il sito instagram).
 
Fabio Magnasciutti
Possono-debbono i docenti coltivare la loro vocazione di educatori e non solo di trasmettitori di nozioni culturali anche nella Didattica a distanza (cosiddetta Dad)? Possono ravvivare con autorevolezza autentici legami relazionali con gli studenti? 
Sì, e proprio in questo tempo segnato da covid e da tante contraddizioni inquietudini tensioni disagi sofferenze e speranze. 
Giorno per giorno il docente può confermare-ravvivare la sua autorevolezza non solo grazie alla padronanza della materia che insegna ma al modo di in-segnare e di comunicare, nel remoto, la relazione con la classe e con ogni singolo alunno. Relazione strutturata su modelli non autoritari: vocazione che rispetta ogni diversità, accoglie e valorizza la pluralità di capacità conoscenze fragilità carismi di ciascuno.
 
✴️ Chi è il docente autorevole?
- il testimone di autenticità e di congruenza, propositore di un inedito modello esperienziale che lui/lei stesso/a vive, intriso del gusto di promuovere criticamente autentiche relazioni nel remoto contesto scolastico.
- colui/lei che conosce e rispetta la pluralità dei comportamenti, ideologie, valori manifesti o sottesi di ogni studente nella sua irripetibile identità e sa decifrarne le invocazioni tacite o dichiarate.
- colui/lei che facilita relazioni autentiche, persuade, non seduce, non manipola, semplicemente metacomunica, cioè continuamente comunica sulla comunicazione.

sabato 20 marzo 2021

Unicità. Vocazione.

Post di Rossana Rolando
Immagini di Carlo Brenna (qui il sito instagram).

Carlo Brenna, In cerca di luce
Ci sono momenti in cui, improvvisamente, intuitivamente, può apparire chiaro “il motivo” per cui si vive o si potrebbe vivere¹, la “cosa che si fa con gioia, come se si avesse il fuoco nel cuore”, la tensione verso “ciò che è proprio”. In questa intuizione, capace di raccogliere tanti segnali in un lampo, si comprende il significato della “vocazione”.

Daimon, angelo, eredità, destino, chiamata… sono alcuni dei termini utilizzati da James Hillman (1926-2011) in Il codice dell’anima per indicare la spinta di fondo della vita di ciascuno, il desiderio che fa vivere. Quelle parole, a ben vedere, rimandano ad una attrazione non voluta, ma trovata, indicano un comando che supera chi lo riceve: essere chiamati a pensare, a suonare, a dipingere, a costruire, a danzare.., essere destinati, aver ereditato un compito. Vi è per tutti una vocazione profonda che caratterizza l’unicità di ciascuno: essa non si sceglie, ad essa si aderisce, si risponde.

Nelle persone eccezionali appare con chiarezza la vocazione, la lealtà nel raccoglierne gli indizi, la convinzione di fondo nel lasciarsi guidare e proprio questo fa sì che tali personalità presentino un fascino particolare. Nei grandi musicisti, per esempio, il richiamo risulta particolarmente esplicito, fin dall’infanzia: da Mozart a Mendelssohn, da Mahler a Verdi. Lo stesso vale per i grandi pensatori, scienziati, artisti.

lunedì 28 dicembre 2020

Elogio dei rimpianti.

Post di Rossana Rolando.

Immagini delle illustrazioni di Anna Parini (qui il sito instagram).


Anna Parini, Abbraccio
Mentre scorrono gli ultimi giorni di questo anno difficile e, per molte persone, doloroso - segnato da malattia, lutti, perdite -, l’atteggiamento dominante sembra essere quello della fuga verso un tempo migliore, capace di cancellare e portare via questo annus horribilis. Nel futuro si proietta un passato idealizzato, felice, libero da costrizioni. Si attua una sorta di ribaltamento della leopardiana operetta morale dedicata al venditore di almanacchi: il parametro della vita bella non sta nel tempo che non si conosce - un futuro immaginario, carico di speranze, potenzialmente e, per Leopardi, illusoriamente migliore del presente - ma nel passato che si conosce.

I limiti di questo approccio sono da molti osservatori individuati: il virus non è stato la causa di tutti i mali, ma l’acceleratore di situazioni critiche già in atto. Un esempio su tutti: l’individualismo esasperato della seconda ondata di covid ha semplicemente messo in luce una tendenza caratterizzante la società contemporanea. Ed altri temi si potrebbero evocare: le situazioni drammatiche della scuola, della sanità, dei servizi pubblici hanno evidenziato le carenze di una politica e di una mentalità collettiva che non hanno saputo investire risorse in settori determinanti per il bene comune e per il futuro delle giovani generazioni.

Se si tiene conto di tali analisi, l’atteggiamento verso il passato diventa forse più critico, nutrito di fecondi rimpianti, capaci di generare nuove prospettive culturali e sociali.

mercoledì 5 agosto 2015

Un pensiero mattutino, con Carl Rogers e l'immagine del pesce. Riassumere i pensieri di un altro.


“ogni persona non può parlare francamente per difendere le proprie idee che dopo aver riesposto le idee ed i sentimenti della persona che ha parlato prima di lei, esattamente e con piena soddisfazione di quest’ultima… Vedreste che cosa ciò significherebbe. Significherebbe semplicemente che prima di esprimere il vostro punto di vista, sarebbe necessario assimilare il quadro di riferimento dell’altra persona, comprendere i suoi pensieri ed i suoi sentimenti sino al punto di riassumerli in vece sua. Ciò sembra facile e semplice, non è vero? Ma se farete questo tentativo, scoprirete che è una delle cose più difficili che abbiate mai tentato di fare. Tuttavia quando sarete stati capaci di vedere il punto di vista dell’altro i vostri ulteriori commenti dovranno essere rivisti radicalmente” (CARL ROGERS).
Caro Carl, temo  che Lei abbia ragione...
Ognuno ha il suo mondo 
(come questo pesce 
che vive nella sua ampolla).

domenica 12 aprile 2015

“Vincere la depressione”.

A cura di Rossana Rolando.
“Il cuore umano è fragile e vulnerabile”
(Jean Vanier).

Jean Vanier, 
Vincere la depressione

Un librettino per tutti. “Vincere la depressione” è il titolo di un librettino della Qiqajon. Mi ha colpito il tema, l’ho sfogliato velocemente, l’ho comprato. L’ho letto in poche ore. E’ uno scritto che forse potrebbe fare bene a tutti.
Certo, la depressione viene raccontata per quello che è: una malattia dalle molteplici forme, che richiede cure, anche farmacologiche, che ha radici genetiche e non solo psicosociali, che va trattata in modo specifico e con competenza.
Premesso questo, continuo a pensare che potrebbe essere utile a tutti, perché in qualche forma, in qualche momento, per qualche motivo, tutti possiamo essere sfiorati, se non travolti, dalla condizione depressiva, specialmente oggi.
Acedia... 
paralisi esistenziale
L'acedia”. C’è una parola antica – come si dice nella bella introduzione al libro, curata da Enzo Bianchi – che richiama la condizione oggi definita di depressione ed è la parola acedia, uno stato psichico di paralisi esistenziale in cui viene meno la voglia di vivere, in cui tutto perde senso e significato, un taedium vitae che corrode ogni iniziativa e possibilità di azione o di impegno. 

venerdì 20 febbraio 2015

Il sentimento della gratitudine. Video.


Grazie alla danza 
di una foglia d'autunno...
“Io sosterrò sempre che il ringraziamento è la più alta forma di pensiero
 e che la gratitudine non è altro che una felicità raddoppiata dalla sorpresa…
Tu ringrazi prima dei pasti. Bene. Ma io dico grazie
 prima del concerto e dell’opera, prima del gioco e della commedia,
quando apro un libro, disegno, dipingo, nuoto, faccio scherma e pugilato,
 cammino, gioco, ballo e dico grazie quando tuffo la penna nell’inchiostro”.
(G.K. Chesterton)
 
“Alziamoci in piedi per ringraziare per il fatto
 che se non abbiamo imparato molto, almeno abbiamo imparato un po’,
 e se non abbiamo imparato un po’, almeno non ci siamo ammalati,
e se ci siamo ammalati, almeno non siamo morti.
Perciò siamo grati. Ci sarà sempre qualcosa
per cui vale la pena di ringraziare “.
(Buddha).


Il segno di un grazie...
(J. Miró, Danzatrice)
Grazie [s. f. pl.di grazia (lat. gratia; gr. χάρις) e interiez.], gratitudine  [dal lat. tardo gratitudo-dĭnis, der. di gratus «grato, riconoscente»]: parole oggi per molti desuete se non insignificanti, che meritano  una riflessione. Che cosa è mai la gratitudine, questa sconosciuta? Che cosa significa veramente “grazie”? Secondo i dizionari “gratitudine” evoca riconoscenza e ringraziamento, indicando però un sentimento positivo più intimo e profondo, che si esprime di solito verbalmente attraverso il “grazie”: tante grazie! mille grazie! grazie di cuore!

Il perché della gratitudine ... 
(R. Magritte, Il riconoscimento infinito)
Diciamo  così tante volte grazie nella nostra vita quotidiana che spesso questa parolina rischia di diventare un flatus vocis abitudinario, inconsapevole come un riflesso condizionato o, peggio, un inavvertito stereotipo che intenzionalmente  non comunica nulla. E’ il grazie anche spesso ipocrita delle buone maniere o dell’automatismo professionale (penso al “prego”- la cui ricchezza semantica si perde nel buio dei manierismi - del cameriere quando serve un piatto, prima ancora del mio “grazie” che segue precipitosamente a ruota).

Il grazie come frutto 
di una convenzione sociale 
(Juan Gris, Pierrot)
No, la gratitudine è ben più che un rituale delle buone maniere: è  sentimento più profondo di ogni possibile parola, che spesso risulta del tutto inadeguata, e allora sentiamo prepotente il bisogno di comunicare in termini non verbali, con il calore di una stretta di mano, il sorriso di uno sguardo, il gesto più personale dell’abbraccio e più intimo del bacio; è il rendere grazie che presuppone uno stile, un orientamento di amabilità verso il mondo e le persone che lo abitano, un benedire che è bene – dire.

Il grazie verso il mondo... 
(M. Chagall, Violinista sul tetto)
Io credo che tutti noi – e sfido chiunque a contraddirmi – abbiamo provato o proviamo o potremmo comunque provare gratitudine per chi ci ha dato la vita, per chi ci ha educato e preso cura di noi,  per chi ci ha protetto e fatto dono del suo tempo e del suo amore, per chi ci ha aiutato a divenire autonomi e perciò quelli che siamo, per chi ci ha sorretto nelle difficoltà,  confortato anche solo con un gesto uno sguardo un sorriso.

Il grazie "naturale", 
verso chi ci ha amato e protetto 
(P. Picasso, Maternità)
Eppure la gratitudine è molto più che un sentimento reattivo di riconoscenza-riconoscimento per un gesto, un dono o un evento particolare. Può (o dovrebbe?) essere un sentimento permanente, una disposizione d’animo, un abito virtuoso, un atteggiamento di fondo.

La gratitudine come atteggiamento di fondo 
(R. Delaunay, La gioia di vivere)
Giuliani nel suo aureo libretto sulla “responsabilità di essere grati e riconoscere che l’essenziale nella vita è dono”, dichiara che “la virtù della gratitudine non è né religiosa né laica, semplicemente umana; imparare a dire grazie rafforza la nostra dignità e rafforza il grado di giustizia della società in cui viviamo” (cfr. De Benedetti–Giuliani, Dire grazie l’hallelujah della gratitudine, Morcelliana, Brescia, 2014, pagg.77-78). Gratitudine dunque per la vita e il tempo che ogni giorno trascorriamo, per ciò che abbiamo e non abbiamo,  per ciò che siamo e desideriamo,  per le persone a noi care e le infinite persone a noi sconosciute, per la bellezza del mare e dei monti, ”il cinguettio degli uccelli e lo sbocciare dei fiori” (De Benedetti!),  per lo stupore delle albe e dei tramonti,  per la verità e la bontà che con fatica ricerchiamo in ogni incontro e relazione umana.

Gratitudine per la vita ... 
(P. Klee, Paesaggio con uccelli gialli)
Ma anche indubbiamente gratitudine del credente: inno di lode al Creatore per il dono della vita, della luce, dell’amore, nel riconoscimento della finitezza come sentiero di salvezza; inno di lode che si eleva nel “Gloria” della messa domenicale, nel “Te Deum laudamus” di fine anno, negli innumerevoli osanna ed alleluia ripetuti nel tempo, nel “Cantico delle creature” di  S. Francesco; inno di lode infine del “Nunc dimittis servum tuum”  a Colui che fa tornare in vita i morti, “grato per il mio passato ed il mio futuro ed anche per il passato e il futuro degli altri, il cui destino io metto con la preghiera, per così dire,  nelle mani di Dio. Sono poi grato anche al mio prossimo, umano e non umano, penso anche agli animali domestici, che hanno condiviso la nostra casa, i nostri cani e i nostri gatti…” (De  Benedetti, pagg. 77-78).

Gratitudine per il nostro prossimo, 
umano e non umano ... 
(F. Marc, Il cane bianco)
Tuttavia anche la gratitudine, come ogni ambivalente aspetto umano, può essere contraffatta, contrabbandata, tradita, banalizzata in operazioni di trasformismo: da assertiva espressione di libero (gratuito!) consenso, da moto spontaneo e sorprendente di ringraziamento e lode può trasmutarsi nell’ironico sarcasmo di certi grazie (grazie tanto!...), può rivelarsi strumento per accattivarsi l’altro o per pareggiare e saldare conti e debiti con gli interessi.

Gratitudine senza maschere 
(G. de Chirico, Le maschere)
Il grazie della gratitudine non è dunque di tutti e per tutti: è un segno di profonda umanità, di sguardo amorevole verso  chi  è prossimo, di esaltazione della loro esistenza, della loro diversità, del loro lavoro e servizio; è partecipazione al bene che è la vita di tutti;  è il contrario del risentimento perché sintomo di benessere interiore, di empatia, di congruenza con se stessi, condizioni indispensabili per il suo esprimersi; è il grazie del malato e del sofferente, il volto di una solitudine non più sola, la consapevolezza che l’amicizia l’amore la solidarietà sono più forti della morte.

La gratitudine presuppone armonia, 
benessere interiore 
(H. Matisse, Armonia in rosso)
Molti psicologi sono convinti che dire “grazie” non significa solo rispettare le buone maniere, ma fare del bene a noi stessi, migliorare il nostro benessere psicofisico e rafforzare le nostre relazioni sociali. Diciamolo chiaro con le parole della psicanalista Melanie Klein, citata da Giuliani: non tutti possono vivere nella dimensione della gratitudine, se permangono chiusi in se stessi ed incapaci di centrarsi sull’altro.

Gli aculei dell'ingratitudine... 
(V. Kandinskij, Punte nell'arco)
Tre blocchi psichici impediscono loro la possibilità di riconoscere e dunque provare gratitudine: l’invidia (sentimento di rabbia perché un’altra persona possiede qualcosa che desideriamo e ne gode), la gelosia (timore e angoscia di perdere ciò che abbiamo, una persona o un oggetto amati), l’avidità (desiderio imperioso e insaziabile). Forse la lista potrebbe  essere anche più lunga, ma è certo che ”il sentimento di gratitudine è una delle espressioni più evidenti della capacità di amare. La gratitudine è un fattore essenziale per stabilire il rapporto con l’oggetto buono e per poter apprezzare la bontà degli altri e la propria” (M. Klein, Invidia e gratitudine, Giunti, Firenze, 2012, pag. 26-27, citata da Giuliani a pag. 24).

La gratitudine è vietata 
agli invidiosi, ai gelosi e agli avidi 
(E. Munch, Gelosia)
Forse non ha torto Maestro Eckhart quando afferma che “se la sola preghiera che dirai mai nella tua intera vita è “grazie”, quella sarà sufficiente”.

Si consiglia di mettere in pausa la musica del blog prima di avviare il video.

                                   

Chi desidera intervenire può andare qui sotto su "commenta come", nel menù a tendina selezionare "nome/URL", inserire solo nome e cognome e cliccare su continua. Quindi può scrivere il proprio contributo sul quale rimarrà il suo nome ed eventualmente, se lo ritiene opportuno, può lasciare la sua mail.



mercoledì 1 ottobre 2014

L’empatia nella relazione interpersonale.


Parliamone...
L’empatia (lett. “sentire dentro l'essere con l’altro”) non è una tecnica, anche se si  vale di tecniche, ma un atteggiamento diversamente vissuto da ognuno di noi, perché diversa è in ognuno la storia, la cultura, l’intelligenza, la sensibilità.

... empatia è capacità di ascolto...
Capacità ed abitudine ad ascoltare ne sono il segno. Ascoltare significa far tacere i propri pregiudizi (sia negativi sia positivi) per  esporci al rischio di lasciarci invadere dall’altro; significa silenzio in noi stessi  per incontrare l’altro,  per fare posto alla  sua parola, al suo volto, al suo sguardo, alla sua voce, al suo corpo, ai suoi gesti.