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Visualizzazione post con etichetta su persona e comunità. Mostra tutti i post
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sabato 17 maggio 2025

75 anni dalla morte di Emmanuel Mounier

Post di Gian Maria Zavattaro 
Immagini tratte dal sito Les amis d'Emmanuel Mounier
 
Emmanuel Mounier
"Chiamiamo democrazia, con tutti i termini qualificativi e superlativi necessari per non confonderla con le sue minuscole contraffazioni, quel regime che poggia sulla responsabilità e sull'organizzazione funzionale di tutte le persone costituenti la comunità sociale. Solo in questo caso ci troviamo senza ambiguità dal lato della democrazia. Aggiungiamo che, portata fuori strada fin dall'origine dai suoi primi ideologi e poi soffocata nella culla dal mondo del denaro, questa democrazia non è mai stata attuata nei fatti e lo è ben poco negli spiriti. Ci teniamo soprattutto ad aggiungere che noi non propendiamo verso la democrazia per motivi puramente e unicamente politici o storici, ma per motivi d'ordine spirituale e umano." (E. Mounier, Rivoluzione personalista e comunitaria).
 
Quest’anno ricorre il 120° anniversario della nascita di E. Mounier e il 75° della sua morte (non ancora 45enne) per infarto. Mi sollecita la riflessione su di lui anche l’attuale contesto mondiale ben poco democratico (guerre, distruzioni ambientali, stragi di innocenti, odio, indifferenza, servilismo, ipocrisia, idolatria neo-tecnologica, subdole manipolazioni…): una collettiva fuga dalla libertà nel "pensiero unico”, ovvero nel non pensare. Tutto ciò dovrebbe suscitare in noi un corale irrefrenabile grido di invocazione: “riconciliamoci profondamente con la nostra umanità!.
Abbiamo scoperto che anche noi siamo vulnerabili, fragili: è finita da tempo l’illusione d’essere immuni dalla paura, dall’insicurezza, dalla guerra. Eppure continuiamo imperterriti a negare agli altri - i popoli più poveri e svantaggiati - il diritto di sedere alla tavola imbandita del nostro sempre più effimero benessere (1). 
Sapete che cosa scriveva Mounier a J. Guitton nel 1928?  “Io voglio accogliere e donare: è tutto”. E due giorni prima di morire ancora scriveva a l'abbé Depierre: "Io vorrei con mia moglie dare almeno un po', prepararmi al giorno in cui gli avvenimenti forse ci spingeranno a donare tutto". A questa istanza  è rimasto fedele per tutta la vita.
Dodici anni fa iniziava l’azzardo del nostro blog Persona e Comunità, richiamo al “personalismo comunitario” di Mounier (2) da me  scoperto quasi casualmente nei miei anni universitari: un'avventura iniziata con la mia tesi di laurea su Mounier, subito divenuto stimolo-guida a ricercare la mia strada di uomo e di credente. La testimonianza - scriveva - è “forma pura dell’azione”, legata alla condizione storica della nostra relazione con noi stessi e gli altri; è proiezione verso una società comunitaria sottratta ad ogni tirannia, società di creazione, non di consumo, perché la testimonianza è tale solo se è impegno responsabile, gratuito incontro agapico: (engagement, affrontement,  parole intraducibili in italiano). Nel mare magnum di internet il nostro piccolo blog (Rossana-Rosario-Gian Maria) è umile dimesso pervicace modo di questa presenza.

sabato 22 marzo 2025

Due orecchi ed una bocca sola. Ascoltare e ascoltarsi

 Post di Gian Maria Zavattaro
 
Henri Matisse, La conversazione, 1908-1912
“Per rendersi accessibili agli altri c’è un’arte che è necessario conoscere e che è meno facile di quanto si possa pensare: l’arte di sapere ascoltare. Pochissimi sono gli uomini e le donne che veramente sanno ascoltare; un dialogo nove volte su dieci non è altro che l’incrociarsi di due monologhi. […] Pochi sono quelli che ascoltano. Pochi ricordano d’aver due orecchi ed una bocca sola, quasi che la natura stessa li ammonisca ad ascoltare il doppio di quanto non parlino. E questo accade perché ognuno di noi è così ingombro delle sue particolari faccende, che non ha più posto per quelle dei suoi simili. È dunque indispensabile un’operazione di sgombero se si vuole che gli uomini diventino accessibili gli uni agli altri. […] Pochi lo sanno fare. I più ascoltano soltanto le parole, i suoni e non hanno orecchi per un’angoscia muta, per una mezza confidenza impacciata. Qualche volta occorre persino saper intendere “sì” quando l’altro ha detto “no”. […] Il maggior bene che possiamo fare ad una persona - disse Lavelle –- non è di farla partecipare della nostra ricchezza, ma farla consapevole di quella che possiede lei”. (Card. Suenens, Vita quotidiana Vita cristiana, ed, Paoline 1964, pp.23-25).
 
Oggi ascoltiamo tante cose ma perdiamo sempre più la capacità di metterci veramente in ascolto di   noi stessi, degli altri e soprattutto dell’altrui dolore, magari facendo finta di non vedere la straripante dimensione sociale della sofferenza che la nostra indifferenza relega ad affare privato di ognuno. Eppure questo nostro tempo dovrebbe essere tempo di ascolto dell’Altro. L’Ascolto è tra gli atti umani il più significativo e impegnativo: mi pongo davanti ad una persona che mi interpella e attende che io sia  capace di scoprire la sua gioia o il suo tormento e sappia assicurarle parole, sentimenti e concreti atti coerenti. Non è atto passivo né malcelata sopportazione: è particolare attività che si esprime nel silenzio paziente (“primo precetto dell’ascolto”), privo di qualsivoglia pregiudizio o postgiudizio.

giovedì 27 luglio 2023

Corresponsabilità.

Post di Gian Maria Zavattaro.
Immagini di Lesley Oldaker (qui il sito instagram).

Lesley Oldaker, Vortice
“Questa è forse l’unica reale possibilità che abbiamo …avere una vocazione
noi stessi, conoscerla, amarla e servirla con passione:
perché l’amore alla vita genera amore alla vita”
(Dalla lettera a Natalia Ginzburg di Maria D’Asaro, Una sedia nell’aldilà, p.135, ed. Diogene Multimedia, giugno 2023).
 
“La libertà senza assunzione di responsabilità è una patetica farsa” (M. Buber).
 
Questo post ha senso solo se insieme ci sforziamo di liberarci dai nostri preconcetti- pregiudizi (“concepiti- formulati prima di effettiva conoscenza”): luoghi comuni dispensati dagli orchestratori e le truppe cammellate dei social. Viviamo nella “società globale complessa” ricca di ambivalenti possibilità e promesse, incertezze e insicurezze: frantumazione delle ideologie forti ed IA supertecnologica; ridondanza delle informazioni, incomunicabilità; solitudine, social; nuove libertà, fuga dalla libertà; nuove ricchezze (a seguito del covid e delle guerre) e nuove povertà (non solo i diseredati, ma tutti coloro che non reggono il vortice della neotecnologia); un nuovo rapporto con il tempo, la storia, la memoria, il tutto condensato dal febbrile ritornello “non ho tempo”.
Nel tumulto estivo delle guerre e delle migrazioni forzate, della globalizzazione dell’indifferenza estiva, dell’afa e sconquasso climatico, vorrei provocare con 3 ridicole domande: Pensiamo? Accogliamo? Viviamo da corresponsabili?

giovedì 3 novembre 2022

1 milione di visualizzazioni!

👉 3 Novembre 2022: 
1 milione di visualizzazioni sul nostro blog!
Grazie a tutti!! 🙏
 
Gian Maria, Rossana, Rosario
Sono nove anni che con mia moglie Rossana ho iniziato l’avventura del blog Persona e Comunità (le visualizzazioni dei post hanno raggiunto oggi, 3 novembre 2022, 1 milione). Da dieci sono in pensione, dopo 42 anni di lavoro nella scuola pubblica statale.  Mia moglie - ancora attiva nella scuola - ed io non possiamo rassegnarci a rinchiuderci nel nostro orticello.
Sentiamo il bisogno di sempre: continuare a rinnovare ogni giorno,  insieme con coloro che incontriamo virtualmente e fisicamente, la speranza nel principio di alterità, ovvero nella responsabilità verso l’altro come criterio essenziale di orientamento delle scelte personali e politiche.
Senza presunzioni e ben consapevoli della nostra piccolezza, non intendiamo rinunciare a pensare in libertà pensieri che meritano meditate riflessioni per dare senso e valore al tempo e spazio in cui tutti viviamo, a sentire nella nostra carne la reale esistenza di tutta un’umanità dolorante che non può lasciarci indifferenti, a denunciare in particolare il pericolo impercettibile ed inarrestabile della crescente uniformità acritica dell’opinione pubblica nelle piazze virtuali e reali, ad annunciare possibili nuovi modi di essere, di fare, di interagire. Su tutti i fronti: religioso, culturale, sociale, politico.

mercoledì 31 agosto 2022

Perché e per che cosa votare?

Post di Gian Maria Zavattaro
Disegni di Eugene Ivanov (qui il sito).
 
“Può darsi che non siate responsabili della situazione in cui vi trovate, ma lo diventerete se non fate nulla per cambiarla”. (M.L.King)
“Chi mente abolisce la società”. (I.Kant)
 
Eugene Ivanov, Riflessioni sulla vita, particolare
Il mio identikit: cittadino del mondo, italiano ed europeo; non rappresento nessuno; sono laico cattolico, fedele al magistero della Chiesa e del Vaticano II; cerco con tutte le mie fragilità d’impegnarmi a servizio degli altri; non mi rassegno alle ingiustizie e squilibri sociali guerre fame povertà; non ritengo ineludibili fatalità le discriminazioni divisioni odio pregiudizi sopraffazioni indifferenza. Con Mounier sono convinto che “vi sono cattolici di destra e di sinistra: è un fatto ed è un fatto opportuno e ciò prova che il cattolicesimo supera tutte queste vicende politiche”.
Provo a riflettere sulle prossime elezioni. Non celerò le mie opinioni, ma eviterò di proposito esplicite indicazioni di voto, problema di coscienza di ognuno di noi.
Seguo poco i social ed i mille salotti virtuali. Mi interessa documentarmi, leggere, “pensare”, e magari far pensare, a quale futuro democratico porterà il voto di ognuno di noi, a tutti augurando un voto “innocente”, nel senso etimologico che non contribuisca a recare la rovina del bonum commune.

sabato 20 novembre 2021

Singolare plurale.

Post di Rossana Rolando.
Immagini dei dipinti di Francis Cadell, pittore scozzese vissuto tra il 1883 il 1937.

Francis Cadell, Interno con sedia rossa
💥 Il titolo di questo blog
è debitore della concezione filosofica alla quale è particolarmente legato mio marito, che in Emmanuel Mounier ha trovato sempre riferimento e ispirazione. L’impostazione mouneriana cerca di coniugare due poli: quello soggettivo della persona e quello collettivo della comunità.
La storia del pensiero, infatti, da Cartesio in poi, ha oscillato nella sottolineatura dell’una o dell’altra prospettiva: da una parte, ponendo come oggetto della riflessione, il soggetto, l’uomo nella sua individualità e dall’altra parte, concentrando l’attenzione sulla comunità, intesa in vario modo, come società, classe, popolo, stato.
In questo post vorrei fare cenno al pensiero del filosofo francese Jean-Luc Nancy, morto lo scorso agosto. Nel suo libro “Essere singolare plurale”¹, egli riprende questa duplicità io-noi, chiarendo proprio l’esigenza di superare l’astratta considerazione di un soggetto separato dalla rete di relazioni in cui da sempre vive e, nello stesso tempo, di evitare la visione della comunità come totalità in cui l’individualità si perde.
Mi pare lo faccia in modo nuovo, meritevole di essere ascoltato.
 

martedì 10 agosto 2021

E' possibile costruire comunità oggi?

Post di Gian Maria Zavattaro
Immagini di Ottorino Stefanini (qui il sito).

Ottorino Stefanini, Singolare collettivo
In un mondo dove tutto è visto come provvisorio, dove si chiede disponibilità e flessibilità, dove ci vogliono sempre pronti con la valigia in mano per adattarsi ai bisogni del lavoro, per cogliere nuove opportunità, è possibile "Costruire comunità"? Quali spazi vi sono per prendersi cura degli altri, per assumersi la responsabilità di collaborare a costruire una comunità? La società liquida è la fine delle comunità? Segna il tramonto dell'Uomo come persona e il trionfo dell'Uomo come individuo? Un individuo senza comunità quali punti di forza può sviluppare e a quali debolezze e povertà va incontro? Cosa si può fare per permettere agli uomini di essere persone, parti di comunità dove ci si prende cura gli uni degli altri? Quale ruolo della fede? quale ruolo della cultura? quale ruolo della politica? Quale ruolo delle associazioni? Qual é il nostro ruolo di persone che credono ancora che una vita "ricca" debba essere vissuta nelle comunità degli uomini?”
(Prof. Paolo Gallana, Biella 2013).
 
Quello che oggi noi di “Persona e Comunità” vorremmo comunicare è chiarire, senza pretese astrattive, innanzitutto a noi stessi, il significato di comunità in questo tempo di covid e riflettere  non su che cosa fare ma su come fare per essere-diventare persone e perseverare nel costruire comunità.
È un cammino in atto - per lo più silenzioso - ovunque nel mondo, laddove abitano tenerezza e agape, si lenisce il dolore, si vive la fraternità e sororità. La comunità esiste ed è esistita nella mente e nel cuore di tanti e, anche se realizzata in modo incompiuto in tempi-luoghi circoscritti, rappresenta un'aspirazione fattibile per quanto imperfetta, per il credente anticipazione-presagio del Regno. E tanto per essere concreti chiediamoci allora se la viviamo in famiglia a scuola nel lavoro nel sociale nella fede che professiamo. 

domenica 8 novembre 2020

Lo sguardo al tempo del covid.

Post di Gian Maria Zavattaro.

Antoon van Dyck (1599-1641), Autoritratto (1613), dettaglio

Nel tempo delle mascherine obbligatorie e delle metriche distanze pare tramontato il faccia a faccia (vis à vis, face to face) che era sancito dalle strette di mano oggi poste al bando. Che cosa rimane della irruenza non verbale dello sguardo, adesso che è estrapolato dal volto ed esiliato dal tatto? Le mascherine non nascondono gli occhi ma celano i tratti individuali identificativi del viso (mento labbra bocca gote colorito naso), contesto che immediatamente connota lo sguardo e lo rende decifrabile.

Ma è ancora possibile nella situazione attuale decifrare ed essere decifrati?

domenica 26 luglio 2020

Post virus.

Post di Rosario Grillo
Immagini delle illustrazioni di M Gloria Pozzi, con gentile autorizzazione (qui il sito instagram).

M Goria Pozzi, Apriamo alla speranza 
e alla solidarietà
Si sta ripensando il lavoro del bricoleur: il suo lavoro di recupero accende il sogno di un’economia lenta, non più al passo del consumismo, ma frutto cooperativo di diverse artigianalità, orientabile, oltretutto, verso un abitare più sano, meno accentrato nelle città, più diffuso nei borghi.
Vorrei provare ad impiegarlo per un’operazione filosofica, rispettando le guide  proprie della filosofia: curiosità ed amore.
PERCHÉ BRICOLAGE?
Assumo la tecnica nella sua veste più immediata. Primo: raccolta del materiale, ridotto in pezzi o frammenti, dispersi qua e là. Secondo: valutazione, ideazione e ricomposizione, con intervento decisivo della immaginazione. Terzo: messa in opera.
I frammenti hanno a che vedere con postumi di tradizioni alterate, ora disfunzionali. Con radici problematiche, produttrici di soluzioni collocate nel tempo, via via decadute, rimaste però intatte nell’istanza. Con bolle del presente a carattere catastrofico, di dimensione globale. Con l’esigenza critica antitetica al riduzionismo e alla fagocitazione totalitaria.

venerdì 20 marzo 2020

70 anni del genetliaco di Emmanuel Mounier (22 marzo 1950).

Post di Gian Maria Zavattaro
Le immagini sono riprese dalla pagina facebook dedicata a Mounier (qui).

Emmanuel Mounie

“Bisogna salvarsi insieme; bisogna arrivare insieme dal buon Dio, bisogna presentarsi insieme; non bisogna arrivare a trovare  il buon Dio  gli uni senza gli altri. Dovremo tornare tutti insieme nella casa del padre. Bisogna anche pensare un poco agli altri; bisogna lavorare un poco gli uni per gli altri. Che si direbbe se arrivassimo, se tornassimo gli uni senza gli altri?” (Ch . Péguy, Il mistero della carità di Giovanna d’Arco, AVE, Roma, 1966, pag. 35).

Nel pieno della virulenza del coronavirus in Italia e nel mondo ricorre  il 70° della morte - notturna improvvisa  per infarto - di E. Mounier non ancora 45enne. Indubbia casualità che tuttavia mi consente qualche riflessione correlata con il nostro smarrimento in questo inquietante ed incerto interregno temporale che ci sollecita a “riconciliarci profondamente con la nostra umanità”: “non pensavamo di essere anche noi vulnerabili e così tremendamente fragili”, convinti del “privilegio di una sostanziale e durevole immunità dalla paura e dal senso così umano di insicurezza […] tanto da sentirci in dovere di negare agli altri - i popoli più poveri e svantaggiati - il diritto a sedere al banchetto della nostra felicità” (1). Ebbene scriveva Mounier a J. Guitton nel 1928 “Io voglio accogliere e donare: è tutto”; due giorni prima di morire ancora scriveva a l'abbé Depierre:"Io vorrei con mia moglie dare almeno un po', e prepararmi al giorno in cui gli avvenimenti forse ci spingeranno a donare tutto". A questa istanza  è rimasto fedele per tutta la vita.

mercoledì 18 settembre 2019

Persona e festival della filosofia.

Post di Gian Maria Zavattaro.

Festival della filosofia, 2019
✴️ E’ appena terminato il festival della filosofia di Modena-Carpi-Sassuolo (13, 14 e 15 settembre 2019), sul tema della Persona, visto da numerose angolazioni (a riprova della preganza e dellurgenza filosofica del tema). 
Insieme ad alcuni video relativi all'evento, riproponiamo una breve riflessione su Mounier, padre di una tra le molteplici prospettive personaliste, e alcune sue citazioni.

✴️ Per Mounier ogni  persona è costitutivamente aperta al mondo ed agli altri, tanto che, al limite, essere significa amare e  la comunità è propriamente “persona di persone”. La vita personale è raccoglimento di sé, intimità, conversione; ma insieme è apertura al “tu”, impegno che  vive con realismo ed “ottimismo tragico” sia il polo profetico sia il polo politico. Solo la scelta fedele per qualcosa che valga la pena della vita  caratterizza la libertà di ognuno. La tensione della civiltà personalista e comunitaria è l’invenzione di un’avventura in cui ogni persona, sotto volti sempre inattesi, vive ed è compresa come unica ed insostituibile, in cui  esiste solo nella misura in cui esiste per gli altri: società di cui oggi  intravediamo appena i contorni.

domenica 7 luglio 2019

La persona e l’io profondo per Hannah Arendt.

Post di Rossana Rolando.

Hannah Arendt (1906-1975), 
Premio Sonning 1975
«Lasciate che vi rammenti l’origine etimologica della parola “persona”, che deriva dal latino persona e rimane pressoché immutata in tutte le lingue europee… Persona definiva originariamente la maschera che ricopriva il volto “personale” dell’attore e serviva a indicare agli spettatori quale fosse il suo ruolo nel dramma. Nella maschera, imposta dal dramma, c’era però una vasta apertura, più o meno all’altezza della bocca, attraverso cui la voce dell’attore poteva passare e risuonare, nella sua nuda individualità. Ed è proprio da questo “risuonare attraverso” che deriva il termine persona: il verbo per-sonare, “risuonare attraverso” è quello dal quale deriva infatti il sostantivo persona, “maschera” […] I romani furono i primi a usare il termine in un senso metaforico: nel diritto romano persona indicava chiunque fosse in possesso di diritti civili, a differenza del semplice homo» usato per designare chi non godeva di protezione giuridica  (Hannah Arendt, Responsabilità e giudizio)¹.

Questo passo è ricavato dalla prolusione tenuta da  Hannah Arendt, nel 1975, a Copenaghen, in occasione del premio Sonning (vedi qui), conferitole per il contributo dato alla cultura europea. Il discorso, oggi pubblicato come prologo a Responsabilità e giudizio, diventa l’occasione per riflettere sul rapporto tra la persona – maschera, ruolo – e l’io profondo.

mercoledì 22 maggio 2019

Emmanuel Mounier e il fascismo, ieri o oggi.

Post di Gian Maria Zavattaro
Video a cura di Giovanni Grandi, professore di Filosofia Morale presso Università di Padova (qui il sito).
Rileggendo 
Emmanuel Mounier
Su segnalazione di mia moglie, giorni fa ho visto-rivisto e soprattutto ascoltato il video (pubblicato su youtube) del prof. Giovanni  Grandi “pseudo valori spirituali fascisti. Leggendo Emmanuel Mounier 1933”.
Per noi, che sei anni fa, iniziando la nostra avventura digitale, abbiamo voluto denominare il nostro blog “Persona e Comunità” come  costante richiamo al “personalismo” di Emmanuel Mounier (1), è stata spontanea l'istanza d’invitare chi ci legge alla visione del filmato.
Non aggiungiamo considerazioni alla grazia efficace delle parole del prof. Grandi.
Solo ci permettiamo, a mo’ di cornice, due citazioni tratte entrambe da Cos’è il personalismo?”. 
La prima richiama la debolezza storica e morale di una posizione attendista che ha lasciato crescere la potenza della bestia hitleriana (e con questo ci ricorda di non rimanere inerti di fronte al riemergere dei fascismi).
La seconda mette in guardia dal pericolo di essere trattati come uomini oggetti, manipolati da un potere che sfrutta, ai fini della propria affermazione, la nostra distratta inerzia (tanto più oggi, attraverso i social, vere macchine per creare consenso).

✴️ 1. “Noi abbiamo cura che le nostre adesioni si conservino vigili e  non trapassino nel sonno conformista: ma la vigilanza ha per scopo l‘assiduità dell’impegno, non lo scoraggiamento. A ogni svolta sta in agguato la tentazione dei né-né: né fascismo né comunismo, né dittatura né anarchia, né questo né quello, né capra  né cavoli. Il non-intervento, sotto questo aspetto pacifico, è un’arma camuffata. Noi sosteniamo che ci sono quelli che hanno tradito col nazismo e quelli, come Chamberlain o Daladier, che hanno tradito di fronte al nazismo; ed è una debolezza della coscienza europea non averli citati al medesimo tribunale (2).

✴️ 2. “Uomo, svegliati! Il vecchio appello socratico, sempre attuale, è il nostro grido di allarme a un mondo che si assopisce nelle sue strutture, nei suoi comodi, nelle sue miserie, nel suo lavoro e nel suo ozio, nelle sue guerre, nella sua pace, nel suo orgoglio e nel suo accasciamento.  […]  Bisogna pur giungere a distinguere oggi gli uomini-oggetti, padroni e schiavi, dagli uomini d’umanità. Il secolo tende sempre più, attraverso le più diverse dottrine, a instaurare un universo di uomini-oggetti. Noi prepariamo, traversando tutte le audacie politiche, sociali o economiche che si vorrà, un mondo di uomini di umanità. Ma proprio qui sta forse la massima audacia, quella che accumula contro di sé il massimo di odio. Poiché essa vuole un mondo di uomini liberi, e quando l’uomo non ama la propria libertà più di ogni cosa al mondo, nulla egli detesta di più.”  (3)

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Note.
1 . “Questo nome risponde al dilagare dell’ondata totalitaria:  da essa è nato e contro di essa, e accentua la difesa della persona contro l’oppressione delle strutture. Sotto  quest’angolo visuale corre il rischio di trascinare con sé vecchie reazioni individualistiche, felici di adornarsi di un nuovo blasone: di deliberato proposito l’abbiamo fin da principio associato a “comunitario”; ma un’insegna non è una qualificazione completa; e, quando noi ricorderemo le vie maestre della nostra filosofia dell’uomo, vedremo che la persona non è una cellula, nemmeno in senso sociale, ma un vertice, dal quale partono tutte le vie del mondo” (E. Mounier, Che cos’è il personalismo?, Einaudi, 1948, pp.13-14). E’ illuminante la premessa di Mounier all’ edizione del 1948 , in cui precisa che  il personalismo “non sarà mai un sistema né una macchina politica“,  ma una  prospettiva per la soluzione dei problemi umani.  “Respingo pregiudizialmente ogni tentativo di utilizzare “il personalismo”  in favore dell’ignavia storica, in difesa delle forme di civiltà che la storia condanna. Respingo la tentazione, molto forte in alcuni, di chiamare “personalismo” la loro incapacità a sopportare una lunga disciplina di azione.   Mi auguro che queste pagine aiutino a pensare e a creare, e non a difendersi contro i richiami del mondo. La miglior sorte che possa toccare al personalismo è questa: che dopo aver risvegliato in un sufficiente numero di uomini  il senso totale dell’uomo, si confonda talmente con l’andamento quotidiano dei giorni da scomparire senza lasciar traccia”. cfr.o.c., pp. 9-10.
2.o.c., pp.99-100.
3. o.c. pp. 79 e 81-82.

giovedì 21 febbraio 2019

Fare comunità oggi.

Post di Gian Maria Zavattaro.
Immagini delle illustrazioni Francesco Bongiorni (qui la pagina instagram), per gentile autorizzazione.

Quaerere veritatem in dulcedine societatis”
(S. Alberto Magno)

Francesco Bongiorni, 
Un milione di passi
C’è parola e chiacchiera. La chiacchiera è quella dilagante che ogni giorno subiamo, ci stordisce, obnubila il pensiero, clona  i nostri cuori.
La Parola è la grazia che ci scuote dalla sonnolenza, ci eleva alla “vertigine della profondità”, coniuga la solitudine con la solidarietà, ci distoglie dall’egocentrismo vegetativo facendoci vivere l’avventura con l’altro, il “tu che “l’io” accoglie.  E’ l’unica ricchezza a portata di tutti. Può liberarci dalla nostra paralisi relazionale e culturale,  aprire il cuore, costringerci a “pensare” con la nostra testa, a resistere alla cooptazione subliminale orchestrata e pianificata da assoldati professionisti dell’inganno mediatico.

martedì 4 luglio 2017

Marc Augé, Le nuove paure.

🖋Post di Gian Maria Zavattaro
🎨Immagini dei dipinti del pittore tedesco Paul Klee (1879-1940).

Paul Klee, 
Attacco di paura
Secondo M. Augé “le nuove paure” non sono poi tanto nuove se non per il fatto che si diffondono istantaneamente e dappertutto ed ognuno di noi si trova ad essere ovunque e da nessuna parte. I motivi per avere paura sono diversissimi, legati a mille variabili individuali e collettive. Altrettanto eterogenea è la tipologia delle paure: indotte dall'ignoranza (la più temibile per Augé), dedotte dalla conoscenza (“o più esattamente dal fatto di sapere di non sapere”) (1), paure da ricchi e paure da poveri, dettate dalle enormi divergenze di interessi sul piano sociale ed economico, che “incutono paura le une alle altre: paure delle paure, paure al quadrato in un certo senso”(2). E tutte si contagiano, si sommano, si influenzano a vicenda generando panico e angoscia: il “groviglio della paura”.(3) Se le paure non hanno lo stesso significato, non hanno neppure le stesse connotazioni emotive: io posso avere paura della guerra, delle tensioni internazionali, degli stranieri, dell'inquinamento ambientale ed altro ancora... e non provare alcuno “choc corporeo”. Altra cosa è l'angoscia immediata, la preoccupazione intima personale, la disperazione di chi ha paura del domani per il suo lavoro precario, per la sua pensione, per la futura sopravvivenza dei figli.

sabato 8 ottobre 2016

Il terremoto del volontariato.

Di Gian Maria Zavattaro.

“Noi non siamo degli oppositori qualunque oggi e dei conviventi qualunque domani.
Prima, dopo e sempre siamo ”oppositori” e”conviventi”dei liberali, dei socialisti, dei comunisti
e dei democristiani. Ci pieghiamo solo alla verità e alla carità”.
Don P. Mazzolari, in  Adesso, luglio 1954 (rivista quindicinale da lui fondata nel 1949)

Beppe Giacobbe, 
 Giovani
(Segui i tuoi sogni)
Quanto don Mazzolari diceva della sua rivista penso si possa estrapolare ed applicare anche al “volontariato”: prima, dopo e sempre convivente” con la società attuale, di cui condivide le contraddizioni cercando di porvi rimedio, e “prima, dopo e sempre oppositore”, in permanente mobilitazione per un’alternativa al modo di vivere la vita sociale,  di comunicare e di relazionarsi.
Il 29 agosto 2016 su “Repubblica” I. Diamanti  in “Terremoto, le due facce del volontariato” discorreva del “ritorno del volontariato, che ha partecipato, attivamente, ai soccorsi. E continuerà anche domani e dopo. Nelle aree colpite, in modo tanto violento e doloroso. Ma anche intorno. E per intorno intendo l'intero Paese”. 
Beppe Giacobbe, 
Identità italiana
Secondo lui il volontariato è “un modello di azione, individuale e sociale, orientato allo svolgimento di attività gratuite a beneficio di altri o della comunità. Citava due indagini statistiche: l’Istat 2014 per cui i volontari in Italia, circa il 13% della popolazione, sono 6.500.000, di cui 4 milioni inseriti in associazioni o gruppi  ed il resto in forme non organizzate; il Rapporto Demos 2015 su Gli italiani e lo Stato per il quale nell'ultimo anno quasi 4 persone su 10 avrebbero partecipato  ad attività di volontariato, in base a necessità o emergenze nazionali e locali. Il volontariato avrebbe due facce: organizzata e non. Progressivamente la prima si è istituzionalizzata in impresa, spesso surrogando  l'azione degli
Beppe Giacobbe, 
Prospettive
Enti locali e dello Stato per rispondere al disagio giovanile, alle povertà vecchie e nuove e, in misura oggi  crescente,  agli immigrati e rifugiati. E’ “Il volontariato di professione
che rischia però la dipendenza dai finanziamenti pubblici e la sottomissione a logiche istituzionali e politiche, non sempre limpide e trasparenti. L'articolista si guarda bene dal demonizzarlo, non solo perché risorsa preziosa sul mercato del lavoro e dei servizi, ma anche perché offre riferimento e sostegno alla seconda “faccia”, “il popolo del volontariato involontario”, fuori dalle imprese istituzionali. Fin qui Diamanti.

martedì 9 agosto 2016

Il bisogno di sicurezza.

Post di Rosario Grillo 
Iconografia di Rossana Rolando
Arianna Papini, 
Abisso, 
quadro, 2007
Cedo  per una volta alla moda corrente ed entro subito in media re” senza preamboli.
Le società umane, per naturale spirito di conservazione, hanno da sempre scelto la sicurezza. 
Il loro fine è stato raggiunto ogni volta, compatibilmente i nemici e/o i pericoli da tenere sotto controllo. Parzialmente o totalmente. 
Gli strumenti utilizzati, passati per il crogiolo dei sentimenti e della ragione, possono classificarsi sotto l’etichetta dell’ostilità o de l’ospitalità.
Nella prima, chiaramente, vanno distinti l’offesa (attacco) e la difesa. 
L’ospitalità, il più delle volte, nasce dall’accortezza di mitigare il pericolo ricorrendo alla diplomazia dell’adattamento fino al limite dell’accoglienza. Celebre in tal senso il realismo politico con cui gli imperatori romani distribuirono la cittadinanza ai popoli delle province per tenerli a bada e per averne appoggio, talvolta giungendo ad assimilarne alcuni caratteri.
Arianna Papini, 
La guerra divora il mondo, 2013
Machiavelli ha sintetizzato alla perfezione la delega necessaria che il cittadino deve dare, in questa materia, al consorzio sociale, di cui è parte, entro cui è riconosciuta, per il resto, l’autorità istituzionale. “Sopra a che dico come, essendo questa [l’arte militare] una arte mediante la quale gli uomini di ogni tempo non possono vivere onestamente, non la può usare per arte se non una repubblica o uno regno, e l’una e l’altro di questi, quando sia ben ordinato, mai non consenta ad alcuno suo cittadino o suddito usarla per arte” (citato in M.Viroli - Scegliere. Il principe - Laterza).
Paradigmatico l’argomento di Hobbes, che dalla paura della morte fa originare lo scarto razionale finalizzato ad  unificare  le volontà di tutti nella sottomissione al Leviatano.

venerdì 29 luglio 2016

Lo sguardo limpido e lucido: insegnare è imparare.

Post di Gian Maria Zavattaro 
Iconografia di Rossana Rolando

Arianna Papini, 
Riconoscersi 
(particolare)


Eppure lo sapevamo anche noi l’odore delle stive
l’amaro del partire
lo sapevamo anche noi
e una lingua da disimparare
 e un’altra da imparare in fretta…
lo sapevamo anche noi…
e l’onta di un rifiuto
lo sapevamo anche noi
questo guardare muto…
(Gianmaria Testa, Ritals)


Tre volte la settimana  da mesi incontro alcuni amici rifugiati, ospiti della Caritas, cui cerco di insegnare (verbo forse pretenzioso) un po’ di italiano, con molto realismo da entrambe le parti.
Tre volte la settimana ritrovo e riscopro il gusto dello sguardo limpido e lucido.
Nel primo incontro ci siamo soppesati con gli occhi. E’ così che abbiamo esaurito la prima comunicazione, scoprendo che era possibile accoglierci ed accettarci reciprocamente.  Poi, solo dopo, sono intervenuti a conferma i gesti e qualche stentata parola. 
Arianna Papini, 
Riconoscersi 
(particolare)
Ed ogni volta prima di tutto con lo sguardo giudichiamo i nostri progressi, esprimiamo le nostre perplessità, ci incoraggiamo, sorridiamo, ridiamo dei nostri reciproci sbagli, ci ospitiamo e procediamo avanti. Dopo vengono i gesti, le parole, di volta in volta un po’ meno approssimate, e soprattutto l’ascolto, faticoso e problematico, ma  essenziale, fondamentale.
Lo sguardo limpido: quello che, senza nulla nascondere, si apre all’altro,  lo  prende su di sé,  letteralmente com-muove,  ossia con lui si muove  per creare  com-unità  nelle  (e delle) differenze.
Lo sguardo lucido: quello  del rispetto, del garbo empatico  che consente di vedere di più e meglio, perché è proprio la mancanza di rispetto che non fa vedere ed oscura gran parte di ciò che si offre a noi.