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Visualizzazione post con etichetta etica. Mostra tutti i post
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martedì 15 luglio 2025

Disfunzioni della famiglia

 Post di Rossana Rolando
 
“Sàlvati, lasciami per sempre” 
(p. 113)
 

Vivo un’estate all’insegna della cura, tra ospedali e riabilitazioni di miei familiari. E’ l’esperienza della famiglia come luogo di affetti profondi e di sollecitudine. Eppure, vi può anche essere un vissuto opposto, come quello che racconta l’ultimo Premio Strega, L’anniversario, di Andrea Bajani. 
 
Esso presenta - come una liberazione – la ricorrenza di una separazione definitiva. Non stupisce di per sé: la nostra vita è costellata di distacchi, spesso dolorosi, altre volte necessari. Quel che rende però peculiare la svolta di cui il libro tratta è la sacralità dei legami che vengono recisi, quelli che da sempre sono avvertiti come segnati dal destino e quindi intoccabili. Sono i vincoli che si instaurano all’interno di quella cellula sociale da cui tutti proveniamo – la famiglia – che pure può diventare deposito di mille tensioni e disfunzioni, tenuta insieme da una vera e propria “malattia psichica” (p.122). Di questo l’autore si occupa, non solo con chiari tratti biografici, ma anche nella sua professione di insegnante universitario, in Texas.

sabato 22 marzo 2025

Due orecchi ed una bocca sola. Ascoltare e ascoltarsi

 Post di Gian Maria Zavattaro
 
Henri Matisse, La conversazione, 1908-1912
“Per rendersi accessibili agli altri c’è un’arte che è necessario conoscere e che è meno facile di quanto si possa pensare: l’arte di sapere ascoltare. Pochissimi sono gli uomini e le donne che veramente sanno ascoltare; un dialogo nove volte su dieci non è altro che l’incrociarsi di due monologhi. […] Pochi sono quelli che ascoltano. Pochi ricordano d’aver due orecchi ed una bocca sola, quasi che la natura stessa li ammonisca ad ascoltare il doppio di quanto non parlino. E questo accade perché ognuno di noi è così ingombro delle sue particolari faccende, che non ha più posto per quelle dei suoi simili. È dunque indispensabile un’operazione di sgombero se si vuole che gli uomini diventino accessibili gli uni agli altri. […] Pochi lo sanno fare. I più ascoltano soltanto le parole, i suoni e non hanno orecchi per un’angoscia muta, per una mezza confidenza impacciata. Qualche volta occorre persino saper intendere “sì” quando l’altro ha detto “no”. […] Il maggior bene che possiamo fare ad una persona - disse Lavelle –- non è di farla partecipare della nostra ricchezza, ma farla consapevole di quella che possiede lei”. (Card. Suenens, Vita quotidiana Vita cristiana, ed, Paoline 1964, pp.23-25).
 
Oggi ascoltiamo tante cose ma perdiamo sempre più la capacità di metterci veramente in ascolto di   noi stessi, degli altri e soprattutto dell’altrui dolore, magari facendo finta di non vedere la straripante dimensione sociale della sofferenza che la nostra indifferenza relega ad affare privato di ognuno. Eppure questo nostro tempo dovrebbe essere tempo di ascolto dell’Altro. L’Ascolto è tra gli atti umani il più significativo e impegnativo: mi pongo davanti ad una persona che mi interpella e attende che io sia  capace di scoprire la sua gioia o il suo tormento e sappia assicurarle parole, sentimenti e concreti atti coerenti. Non è atto passivo né malcelata sopportazione: è particolare attività che si esprime nel silenzio paziente (“primo precetto dell’ascolto”), privo di qualsivoglia pregiudizio o postgiudizio.

sabato 26 ottobre 2024

Avere un cuore pensante

Post di Gian Maria Zavattaro
Immagini di Moonassi (qui il sito instagram)
 
Moonassi, Per piacere prenditi cura di questo, particolare
Viviamo in un tempo dove tutti fanno appello alla corresponsabilità e non so quanti poi la praticano, soprattutto per quanto riguarda la pace. Scrivo perciò con molta titubanza, consapevole della responsabilità che mi assumo proprio a parlare di corresponsabilità in questo tempo segnato da inimicizie, odio, guerre insensate, speculazioni vergognose di profittatori-predatori senza scrupolo e da innumerevoli sofferenze individuali e collettive anche se in parte lenite da sorprendenti gesti di solidarietà collettiva e generosità individuale.
Il destino di ogni parola “forte” come corresponsabilità è fatalmente legato all’amore per essa: in base a ciò che davvero io sono o voglio essere posso praticarla. Mi guarderò perciò dal fare discorsi astratti. Voglio parlare della mia tua vostra nostra corresponsabilità, quella che ci coinvolge ogni giorno su tutti i fronti, che ci impegna ci ha impegnato e ci impegnerà nelle scelte di vita decisive e nella vita quotidiana: quella che la coscienza di ognuno/a di noi liberamente assume perché cittadino/a del mondo, persona in relazione con altre persone vicine e lontane sia nello spazio sia nel tempo, indipendentemente da etnia età condizione scelta religiosa e politica.

giovedì 27 luglio 2023

Corresponsabilità.

Post di Gian Maria Zavattaro.
Immagini di Lesley Oldaker (qui il sito instagram).

Lesley Oldaker, Vortice
“Questa è forse l’unica reale possibilità che abbiamo …avere una vocazione
noi stessi, conoscerla, amarla e servirla con passione:
perché l’amore alla vita genera amore alla vita”
(Dalla lettera a Natalia Ginzburg di Maria D’Asaro, Una sedia nell’aldilà, p.135, ed. Diogene Multimedia, giugno 2023).
 
“La libertà senza assunzione di responsabilità è una patetica farsa” (M. Buber).
 
Questo post ha senso solo se insieme ci sforziamo di liberarci dai nostri preconcetti- pregiudizi (“concepiti- formulati prima di effettiva conoscenza”): luoghi comuni dispensati dagli orchestratori e le truppe cammellate dei social. Viviamo nella “società globale complessa” ricca di ambivalenti possibilità e promesse, incertezze e insicurezze: frantumazione delle ideologie forti ed IA supertecnologica; ridondanza delle informazioni, incomunicabilità; solitudine, social; nuove libertà, fuga dalla libertà; nuove ricchezze (a seguito del covid e delle guerre) e nuove povertà (non solo i diseredati, ma tutti coloro che non reggono il vortice della neotecnologia); un nuovo rapporto con il tempo, la storia, la memoria, il tutto condensato dal febbrile ritornello “non ho tempo”.
Nel tumulto estivo delle guerre e delle migrazioni forzate, della globalizzazione dell’indifferenza estiva, dell’afa e sconquasso climatico, vorrei provocare con 3 ridicole domande: Pensiamo? Accogliamo? Viviamo da corresponsabili?

martedì 3 dicembre 2019

Domande sull’etica civile.

Post di Gian Maria Zavattaro
Immagini delle sagaci vignette di Mauro Biani, noto illustratore di numerose testate italiane (qui il sito instagram), con gentile autorizzazione.

Mauro Biani, 2019
Riprendo da un’angolatura diversa e complementare il tema morale sviluppato con passione dall’amico Rosario nell’ultimo suo post (qui). Lo faccio senza pretese, come uno che sa di essere “debole in filosofia, ma non nell’amore per essa” e che non ama respirare l’aria irridente di coloro per i quali l’etica civile è obsoleto residuato e inciampo ai propri affari.
Forse è opportuno capire subito di che cosa stiamo parlando. Provo a partire dall’etimologia: “etica” dal gr. ἔθος ethos, lat. mos=abitudine, costume, consuetudine, pratica di vita, usanza. Ma anche “etica”  dal gr. ἦθος (con la e lunga,eta): norma, regola di vita, convinzione-comportamento pratico delle persone nella società, insieme di valori implicanti decisioni valide per sempre, a prescindere da qualunque conseguenza. A quest’ultimo significato intendo fare riferimento. L’aggettivo “civile” - termine introdotto da M. Vidal, “teologo di frontiera” - denota, tramite la connessione e l’apporto di elementi fondanti le buone pratiche ovunque presenti, un possibile paradigma morale fondato sul convivio delle differenze, come dovrebbe essere per la stessa vita democratica.
Nel disincanto delle ideologie, nella frammentazione degli egoismi e nella diaspora dei valori è possibile oggi un’etica civile e - suo corollario - del servizio sociale? E’possibile insieme costruire e riconoscere un minimo morale condivisibile e condiviso in cui coniugare diverse istanze morali e attraverso cui salvaguardare la convivenza civile in una società democratica e  pluralista?

mercoledì 8 aprile 2015

Primavera e cura della terra.


Un racconto riferisce di un eremita cui uno zelante visitatore chiese:
“Tu cosa fai veramente?”.
L’eremita rispose:
“Vivo qui”.
Vivere qui è una chiamata, l’opera di una vita,
ma anche la cosa più basilare che si possa immaginare.
Prima di ogni altra cosa noi viviamo sulla terra;
viviamo nell’ambiente che ci attornia.
(E. Theokritoff, Abitare la terra).

Il risveglio ...
... della primavera.
La natura ogni anno, ogni primavera, si risveglia umile e silenziosa. Si ripresenta nella sua veste più delicata: splendore di gemme, di fiori, di intensi colori. Vorremmo trattenerla questa stagione in cui tutto rinasce e germoglia, vorremmo fermarla, rimanere in questo incanto. Ma è come un battito d’ali.

La terra si ammanta ...
... della sua veste più bella.
Ci ricorda che questa terra è luogo in cui soggiornare, è casa da abitare, ma è anche transito e passaggio. Ci dona bellezza, ma ci dice che questa bellezza non ci appartiene. E’ tutta per noi, ma non è nostra.

Tutta per noi ...
... ma non è nostra.
Ci richiama alla fraternità universale con tutte le creature: con gli animali, con le piante, con tutti gli esseri.
Per gli spiriti religiosi è rimando alla Trascendenza. Per chi avverte il dono della vita  è sorella e madre. Per chi conosce il senso del dovere è luogo di cui essere responsabili, un giardino da custodire e da coltivare.

Un giardino da custodire ...
... e da coltivare.
Eppure questo giardino lo abbiamo violato e ferito. Sappiamo oggi tutta la prepotenza dell’azione umana, la nostra arroganza nei confronti della natura e della terra. Ci chiediamo se è possibile fermare questa opera distruttiva. Ci domandiamo se possiamo educarci ad un nuovo senso di responsabilità individuale e comunitaria per consegnare alle generazioni future una terra ancora abitabile.

Per un battito d'ali.
Proponiamo questo video che ci ha molto colpito e ci ha indotto ad elaborare questo breve post.
Si consiglia di mettere in pausa la musica del blog prima di avviare il video.



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venerdì 4 aprile 2014

Gioia e grandezza del pensare.



... la gioia del pensare ...

Pensare è guardare:
osservare dentro e fuori,
intelligere o intus legere,
capire,
interpretare.

... pensare è guardare ...
Pensare è bucare la superficie:
togliere il velo,
non nascondere,
non nascondersi,
oltrepassare.

Pensare è bucare la superficie ... 
come una goccia ...
Pensare è essere liberi:
da ogni sudditanza,
da pregiudizi e stereotipi,
da condizionamenti sociali,
da frontiere.

... pensare è essere liberi da condizionamenti ... 
dalle seducenti ragnatele del vivere sociale ...
Pensare è esser scomodi:
essere critici,
non adattarsi,
non conformarsi,
non appiattirsi.

... pensare è non omologarsi ...
Pensare è essere inquieti:
è interrogare e interrogarsi,
è sapere di non sapere,
è cercare,
è dubitare.
 
... pensare è essere inquieti ...
Pensare è ascoltare:

è mettersi dal punto di vista dell’altro,
è assumere il dolore dell'altro,
è accogliere,
è riconoscere i propri limiti.
  
... pensare è ascoltare ...
Pensare è un cammino:
richiede silenzio e solitudine,
avviene nella lentezza,
comporta fatica,
è una  conquista. 

... pensare è un cammino ...
Pensare è rispondere delle proprie azioni e delle loro  conseguenze:
di fronte alla propria coscienza,
di fronte al mondo e al prossimo,
di fronte alle nuove generazioni,
di fronte al futuro.

....pensare è rispondere delle proprie azioni 
di fronte al futuro ....
Pensare è privilegiare l'essere:
piuttosto che l'avere,
l'apparire,
il mostrare,
l'esibire.

... pensare è privilegiare l'essere ...
Pensare è vivere il tempo:
oltre l’immediatezza del presente,
nella memoria del passato,
nell’attesa del futuro,
nella speranza.

... pensare è vivere il tempo ...
... pensare è sognare ....

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