Di Gian Maria Zavattaro
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Robert William Buss, Il sogno di Dickens, 1875 |
Gian Maria procedeva titubante verso
l’appuntamento conviviale con i vecchi compagni di classe di tanto tempo prima. Aveva accettato l’invito
con fatica: erano anni che non li vedeva e chissà la faccia di tutti nello scoprire quanto il
tempo aveva segnato ciascuno: barbe
bianche, capelli laddove sopravvivevano, pance e pancette ecc.ecc.
“Che fine avranno fatto i trascorsi
pseudorivoluzionari? Finiti i trastulli della giovinezza, quanti si erano convertiti al soffiar dei venti dei potenti di
turno, ombrello protettivo dei propri affari e scalate sociali, politiche,
culturali?”
Lui no, lui puro (fino a un certo punto!),
coerente (non sempre…) con le sue idee di impegno sociale ed accoglienza. Travèt sino in fondo (quello sì), aveva combattuto nel profondo per anni ogni giorno la sua battaglia. L’amore, la famiglia, l’amicizia, il lavoro, l’impegno
per gli altri - specie gli ultimi e penultimi - erano stati la sua forza motrice. Sicuro? Sperava di sì…