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Visualizzazione post con etichetta memoria. Mostra tutti i post
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domenica 30 marzo 2025

Alla Professoressa Anna Maria Tagliasacchi

 Albenga, 30 marzo 2025

Vincent van Gogh, Ramo di mandorlo fiorito, 1890
Alla professoressa Anna Maria Tagliasacchi

Quando se ne va un’insegnante che abbiamo molto amato, sentiamo che ci accompagnerà per sempre come parte di noi.

Questo, infatti, è il "miracolo" dell’insegnamento, la traccia che lascia in chi è segnato: sentirsi intimo, senza esserlo nella quotidianità del vivere, stare dentro un legame senza espliciti vincoli, essere in relazione per sempre.

Sì, perché con lei – Professoressa Anna Maria Tagliasacchi Bonfante – abbiamo sperimentato cosa può accadere nell’ora di lezione, proprio nel senso di ciò che cade, colpisce e cambia. Nel silenzio che avvolgeva le sue spiegazioni – indelebili letture dantesche – si accendeva il fuoco della poesia, si intrecciava un intimo dialogo, ci si appassionava della sua passione, si entrava affascinati nel tempio del sapere.

Forse proprio questo caratterizzava nel profondo la sua persona, almeno nella percezione di chi l’ha conosciuta come alunno o alunna: un’idea per cui vivere, cui dedicare tutto il proprio essere. E l’idea era questa: la Scuola come luogo di significati, la cultura come via per aprire mondi, per illuminare e liberare.

Grazie Professoressa, per essere passata tra noi, con eleganza, ironia, impegno.

Non la dimenticheremo,

Rossana Rolando.

martedì 15 ottobre 2024

Rachele

Post di Rossana Rolando

Oggi abbiamo fatto visita a Rachele, una ragazza di soli 16 anni, portata via da una malattia feroce.

Poteva essere mia alunna, l’avrei sicuramente molto amata, per quel sorriso luminoso, per il desiderio di imparare, per il gusto del bello, per il sentimento profondo dell’amicizia che in quell’età è legame genuino e travolgente.

Una bara bianca, del colore che si sceglie, come segno di pura innocenza, per i bambini morti. Sono angeli che passano tra noi e noi non li vediamo se non quando sono andati via. Così doveva essere Rachele.

Intorno a lei una famiglia piegata dal dolore – troppo forte e lacerante da portare – ma non distrutta dentro, sostenuta da rapporti che superano la semplice parentela e danno un’intima, segreta forza. E’ l’unione data  da una fede solidissima, eppure umanissima, non priva di lacrime, ma capace di cogliere - nelle trame di un evento giudicato comunemente insensato - tracce di luce, oltre il tempo e il limite del finito.

Ogni attimo è eterno – dicevamo oggi con la zia di Rachele – se è colmo di senso e valore. Perciò non è la lunghezza di un’esistenza a dirne la riuscita, ma l’intensità con cui la si è vissuta.

Rachele ha amato la vita, tanto più in questi mesi in cui si preparava in lei la morte. Ha coltivato la vita e ne ha lasciato eredità feconda alle amiche, ai conoscenti e a tutti i suoi cari.

Rimaniamo ammirati per tanta bellezza, in tempi di aridità spirituale, in cui spesso il dolore si consuma nella durezza del non senso.

sabato 20 aprile 2024

L'arte del dimenticare.

Post di Rossana Rolando.

Hieronymus Bosch, Il giardino delle delizie, uomo con topo
Funes, nel racconto di Borges. In un racconto di Borges, contenuto in Finzioni, si narra di un certo Ireneo Funes che, dopo essere stato travolto da un cavallo selvaggio, è rimasto paralizzato nel corpo e mutato nella mente, in particolare nella facoltà di ricordare. Prima della caduta è uno smemorato che dimentica tutto o quasi tutto.
Dopo, al contrario, la sua percezione del reale diviene quasi intollerabile, tanto è ricca e nitida, così come è particolareggiata la rimembranza degli eventi più antichi e banali. Ireneo ha più ricordi – lui solo – di tutti gli uomini messi insieme, in tutti i tempi. Non può nemmeno dormire, teso com’è a recepire il mondo. Ha imparato facilmente le lingue: l’inglese, il francese, il portoghese, il latino… Ma c’è qualcosa che non funziona in questa sua potentissima facoltà di ricordare. Nel suo mondo sovraccarico di dettagli - inutili come un “deposito di rifiuti” - manca l’attitudine al pensare, perché essa esige processi di selezione, generalizzazione, in una parola richiede la capacità di dimenticare piccole variazioni per unificare sotto un unico concetto: “Non solo gli era difficile comprendere come il simbolo generico «cane» potesse designare un così vasto assortimento di individui diversi per dimensioni e per forma; ma anche l’infastidiva il fatto che il cane delle tre e quattordici (visto di profilo) avesse lo stesso nome del cane delle tre e un quarto (visto di fronte).”¹

venerdì 8 settembre 2023

Storia di Lorenzo, che salvò Primo Levi.

Post di Rossana Rolando.
Immagini di Adrià Fruitόs (qui il sito instagram)
 
💥 I senza nome.
Immagine di copertina di Adrià Fruitόs
Chi è affezionato all’opera di Primo Levi e ne ha letto le pagine, si immerge nel libro di Carlo Greppi dedicato a Lorenzo Perrone, il muratore fossanese che ha salvato la vita del grande chimico e scrittore, con commozione e gratitudine. Non solo per l’enorme rilevanza dell’amicizia di Primo Levi con Lorenzo – tanto che i due figli di Levi ne portano il nome – ma per Lorenzo stesso, vero protagonista del testo.¹
A questo proposito vorrei sottolineare la scelta operata da Carlo Greppi, nella sua ricerca storica, particolare perché rivolta ad un uomo “marginale”, di cui si sapeva ben poco e di cui era arduo scrivere una biografia.² Un operaio civile, non internato, non ebreo, libero, che lavorava per una ditta di costruzioni – la I.G. Farben – presso Auschwitz III (Monowitz). Di molti altri, come lui, non è rimasto nulla, non una riga nei libri di storia, sono tutti passati senza lasciare traccia nella memoria collettiva. Così è stato, è e sarà per la gran parte degli uomini e delle donne che solcano le strade di questo mondo e sono dimenticati nella “fisiologica dispersione della storia”.³

martedì 25 luglio 2023

In memoria di Marc Augé.

Riportiamo, in questo post, tre interventi di Gian Maria Zavattaro, pubblicati in diverse date su questo blog, riguardati testi di Marc Augé, il filosofo e antropologo francese morto ieri all'età di 87 anni.
 
Marc Augé, fotografia di Charles Mallison
Secondo M. Augé “le nuove paure” non sono poi tanto nuove se non per il fatto che si diffondono istantaneamente e dappertutto ed ognuno di noi si trova ad essere ovunque e da nessuna parte. I motivi per avere paura sono diversissimi, legati a mille variabili individuali e collettive. Altrettanto eterogenea è la tipologia delle paure: indotte dall'ignoranza (la più temibile per Augé), dedotte dalla conoscenza (“o più esattamente dal fatto di sapere di non sapere”) (1), paure da ricchi e paure da poveri, dettate dalle enormi divergenze di interessi sul piano sociale ed economico, che “incutono paura le une alle altre: paure delle paure, paure al quadrato in un certo senso” (2). E tutte si contagiano, si sommano, si influenzano a vicenda generando panico e angoscia: il “groviglio della paura”. (3)
 
Ho letto in questi giorni, anzi ho finito di rileggere, due saggi di M. Augé. Dico subito che molte cose non mi hanno convinto, men che meno la sua fastidiosa pregiudiziale ostilità verso la religione ed in particolare la fede cristiana (qualcuno ricorderà il suo parodistico e dissacrante pamphlet “Le tre parole che cambiarono il mondo”, edito lo scorso anno...). 
 
Parlare della bicicletta in molte città è come gridare nel deserto. In un articolo  de “La Stampa” del 12 gennaio scorso, a firma di F. Amabile,  si narrava quanto sta succedendo nella  caput mundi, dove l’inquinamento è alle stelle, le targhe alterne non risolvono nulla e l’unica soluzione sarebbe quella di non prendere l’auto ma la bici. E così alcune persone anonime hanno deciso di fare qualcosa che la legge considera reato penale: la domenica mattina, quando il traffico è poco, nei tratti di strada più pericolosi – strettoie,  tunnel, cavalcavia – dipingono percorsi ciclabili, a salvaguardia dei ciclisti. Il comune cancella le strisce e loro le ridipingono... Eppure ciò che  fanno non costerebbe molto all’amministrazione, evidentemente troppo distratta da ben altri problemi.

sabato 1 ottobre 2022

Lo stretto di carta e di ricordi.

Post di Rosario Grillo.

Stretto di Messina, Nasa
Chi scelse di battezzare “Caronte” uno dei traghetti che fanno la spola tra la sponda calabra e la sicula, avrà agito senza malizia, per uno sfoggio di memoria classica o, addirittura, per scaramanzia. Certo è che, senza volere, ha finito col ricordare al turista che, non solo stata varcando le soglie di un paradiso, ma anche di un luogo d’ombra e di pena. È qui, al cimento di questa contraddizione, che la Sicilia vi aspetta.
(Bufalino).
 
Sicilia Trinacria, il simbolo adottato dalla stessa regione esplicita le tre gorgoni insediate sui tre promontori nel triangolo geografico. È già una tragica indicazione.
Sulla punta orientale insiste il capo Peloro, che dà il nome a tutta l’area peloritana: la corona spetta a Messina, città tutta particolare nella storia della Sicilia (ed anche nel novero delle tradizioni etno-culturali che caratterizzano l’isola).
Al capo opposto, occidentale, insiste Palermo, Panormus. Tra Messina e Palermo rivalità. Forse oggi, dietro adaggiunte molto superficiali, si dà maggior peso alla rivalità Catania Palermo, che discende da fattori semplicemente di tifoseria sportiva. Tra Messina e Palermo resiste invece il retaggio profondo della storia, caratterizzato dai Sicani e dai Siculi/Elimi, progenitori di diversi rami di insediamento nell’isola.
In crescendo, la differenziazione porterà a scelte politico dinastiche difformi nelle due aree e indicherà in Messina, più avanti, la città più legata ai Borboni.
Messina, la città dello stretto, prende, perciò, il ruolo della città che possiede le chiavi del mare, perché quel tratto di mare, lo stretto, era ed è frequentatissimo: sito strategico di itinerari e viaggi, di spostamenti, di commerci… di guerre. Nella mitologia, arcana depositaria di molteplici destini, luogo di Scilla e Cariddi, i due mostri che rendevano perigliosa la navigazione (1), è presente la chiave del “contrasto”, del conflitto mai sopito, scissione tra opposti orientamenti e, se vogliamo, specchio del dualismo indicato da molti, tra cui Sciascia e Bufalino, di luce e lutto”.

mercoledì 26 gennaio 2022

Babele e Auschwitz.

 Post di Rossana Rolando.

Gustave Doré, Confusione delle lingue, 1865
“Comunicare” è il titolo del quarto capitolo de I sommersi e i salvati di Primo Levi.¹ Il tema vero, in esso trattato, è però l’opposto: l’impossibilità della comunicazione. Già dalla prime righe si capisce inoltre che non si intende parlare dell’incomunicabilità come dimensione interna alla stessa comunicazione, strutturale rispetto all’umano essere-con-altri.
² Levi non si propone neppure di affrontare il tema da un punto di vista psicologico o sociologico, laddove la privazione del comunicare non è imposta, ma è – in qualche modo – voluta e scelta.
Egli cala immediatamente il lettore nella condizione estrema del lager, in cui il bisogno di comunicazione – nel senso elementare del comprendere ciò che viene comandato e urlato, pena la vita stessa – urta contro una barriera linguistica totale.

domenica 9 maggio 2021

Memorie. Diari.

Post di Rosario Grillo
Immagini di Carl Vilhelm Holsøe (1863-1935).

Carl Vilhelm Holsøe, Aspettando alla finestra

Una domanda che mi inquieta: quale differenza divide una biografia, registrata diaristicamente, da una consegnata con lo strumento delle “memorie”? È necessaria una risposta più analitica che quella fissata nella troppo consapevole raccolta delle vicende esemplari tradotta in memorie predestinate a captare l’attenzione del lettore.

Il criterio guida non può che essere il riconoscimento del preponderante fattore soggettivo onnipresente nella gestazione dell’opera diaristica. Ne discende che dai “diari” sortisce una autentica autobiografia, mentre, nella forma memoriale, pesa in misura massiccia la messa in ordine o in funzione o letteralmente la pianificazione, nemica della immediatezza.

Si danno i casi di “memorie” rappresentate come “confessioni” ed il caso di Rousseau.

In questa dimensione sono precostituiti i “passaggi destinali”: per Rousseau, la colpa (episodio del pettine rotto). Comparata, essa, ad una specie di peccato originale che allontana dall’Eden (lo stato di natura, luogo del buon selvaggio: paradigma della filosofia roussoiana).

Altra specie nelle Confessioni di Sant’Agostino: itinerario di una ricerca della verità che si conclude con l’illuminazione divina. Una pietra miliare: l’opera di Sant’Agostino! Perché, per primo, rende protagonista il soggetto, condividendone tormento errori e trionfo.

sabato 20 febbraio 2021

Memoria - Testimonianza.

Post di Rosario Grillo
Immagini dei dipinti di Ciro D'Alessio (qui il sito).
 
Ciro D'Alessio, Cos'è il tempo?
Il 27 gennaio abbiamo ricordato la Shoah: memoria del crimine, per antonomasia, contro l’Umanità.
Si fa intervenire la memoria per tenere lontana la passione politica che divide.
La memoria, la vera memoria, la memoria correttamente intesa, unisce nel ricordo, crea il momento universale di pacificazione, nell’impegno a respingere la ricaduta nella barbarie.
 
✴️ La memoria.
In diverse occasioni, con Rossana e Gian Maria, siamo tornati a questo tema. Per sondarne la natura, per calibrarne le funzioni, per vagliare le proprietà imbevute di filosofia, teologia, letteratura, fisiologia.

sabato 5 maggio 2018

Il '68 minore.

Post di Gian Maria Zavattaro.


“Io non difendo qui la nostra giovinezza, non quella determinata dall’età della carne, ma quella che trionfa sulla morte delle abitudini ed alla quale accade che si pervenga se non lentamente, con  gli anni. E’ questa che fa il pregio dell’altra giovinezza, che  ne giustifica, di quando in quando, la sua irruzione un po’ violenta nei ranghi calmi degli adulti. […] Se a quest’età l’uomo che nasce non nega con tutte le sue forze, non s’indigna con tutte le sue forze, se si preoccupa  di note critiche e un po’ troppo di armonie intellettuali prima di aver sofferto il mondo in se stesso, fino  al grido, allora è un povero essere, un’anima bella che già odora di morte”. (E. Mounier, Rivoluzione personalista e comunitaria, Milano, edizioni di  Comunità 1945, pp-8-9).

“Questo è un libro a tesi. La tesi è questa: sul Sessantotto sono state dette un sacco di bugie. E’ esistito un Sessantotto Minore che tutti hanno snobbato. […] quel Sessantotto Minore “che non ha mai avuto l’attenzione che ha meritato, e che invece ha rappresentato nei confronti delle categorie deboli un modo di stare con di carattere assolutamente innovativo, e ha anche contribuito a bonificare certe zone equivoche del volontariato.”” (A. M. Fanucci, IO PADRE SESSANTOTTINO NON PENTITO il sessantotto minore, Cittadella ed., Assisi,1999, p.5).

In questi ultimi mesi, in cui i media di ogni colore e parte ci bombardano continuamente di rievocazioni, demonizzazioni ed esaltazioni  del ‘68, ero incerto se valesse davvero la pena aggregarci al coro mediatico. Poi l’amico Rosario  (che dopo questo post mi seguirà con la sua “memoria del ‘68”) mi ha convinto ed ho deciso di narrare della mia partecipazione alla contestazione 68ina e soprattutto fare riferimento ad un libro provocatorio di p. Fanucci, edito nel 1999 (citato in epigrafe). Ne condivido innanzitutto la tesi di fondo: le rievocazioni hanno ignorato“il sessantotto minore, contestazione che da subito si saldò all’impegno radicale con i poveri, più che per loro. “Minore”: quando il tempo avrà cancellato del tutto i volti inutilmente pensosi dei capocomici del Sessantotto che si presume maggiore, allora risplenderà il contributo forte e discreto che nell’associazionismo, nelle grandi battaglie civili, nel rinnovamento delle più tradizionali tra le scelte di vita, la militanza di milioni di persone serie ha dato alla storia di questo paese”(1). Pur con qualche riserva sull’eccessiva  ed a volte liquidatoria semplificazione delle vicende 68ine, condivido le sue riflessioni graffianti, senza sconti eufemistici per nessuno, in alcuni casi forse ingenerose, controbilanciate e temperate dal “controcanto” nella postfazione critica di G. Pinna, al quale rimando in nota (2).

mercoledì 18 aprile 2018

20 aprile, 25 anni dalla morte di don Tonino Bello.

Don Tonino Bello 
(1935-1993)
In occasione dell'anniversario dei 25 anni dalla morte di don Tonino Bello - il 20 aprile 2018 - pubblichiamo l'articolo del professore e amico Leonardo Lestingi, scritto 3 anni fa (per ricordare gli 80 anni dalla nascita di don Tonino, 18 marzo 1935), ma ancora molto vivo ed efficace.

Le immagini, inserite di seguito, riproducono opere fotografiche di Jamie Heiden (qui il sito).




La memoria e il ricordo di don Tonino Bello, insieme alla nostalgia e alla commozione, sono ancora oggi vivi, e non solo in chi ha avuto il privilegio d’averlo conosciuto e incontrato, ma anche in chi lo ha “scoperto” solo di recente e che attraverso la lettura dei suoi testi, i racconti e le testimonianze di molti, riesce a dialogare nuovamente con lui e ad aprirsi a inattesi orizzonti di speranza.    
Jamie Heiden, 
Tornando a casa
Gli scritti di don Tonino continuano ad essere ristampati e raggiungono  un pubblico sempre più vasto, insieme a numerosi testi inediti o pubblicati molti decenni addietro su riviste e periodici oramai scomparsi, come nel recente e corposo La terra dei miei sogni (Ed Insieme ed., pp. 677, Euro 25), un’antologia bellissima, rigorosa e illuminante che raccoglie i suoi scritti antecedenti l’episcopato molfettese: diari, omelie, relazioni, articoli, cronache, appunti e schemi di lavoro, che confermano l’idea che nella vicenda di don Tonino non ci sia un prima e un poi, ma una sostanziale e sorprendente continuità.

martedì 29 agosto 2017

La bottega di mia madre.

🖊Post di Rosario Grillo

George Sommer (1834-1914), 
Bottega di Palermo
Mi​ ​è​ ​consentito​ ​almeno​ ​una​ ​volta​ ​ schierarmi​ ​tra​ ​i​ ​“​​laudator​ temporis​ ​acti​”? Oggi​ spezzo​ ​una ​ ​lancia​ ​in​ ​favore​ ​dei​ ​negozietti sotto​ casa,​ ​assediati​ ​dai​ ​ mega​ ​Store​ ​ed infine​ ​scomparsi. Bisogna​ dire​ che​ ​il​ ​cambiamento​ ​ha​ ​già​ ​manifestato​ ​i ​ ​suoi​ ​limiti,​ raggiungendo​​​ uno​ ​stato​ ​di cortocircuito.​ ​Si​ ​sta ​ ​andando​ ​verso​ ​il​ negozio​ ​di​ qualità,​ ​specializzato​ ​e ​ ​specifico, possibilmente​ capolinea​ ​della​ vendita​ ​a​ ​km​ ​zero​ ​e, ​ ​comunque,​ ​in​ ​grado​ ​di​​ intercettare l'innovazione​ ​agro​​economica ​e​ ​quella​ ​gastronomica. Sarà​ ​in ​ ​grado​ di​ riprodurre​ ​quel​ ​microcosmo​ ​di​ ​relazioni​ ​umane​ ​​che​ era​ ​un​ negozietto​ ​degli anni​ ​'50​ ​'60​? La​ ​premessa,​ ​più​ ​o​ ​ meno,​ introduce​ un​ ​affresco​ ​che​ ​voglio​ dedicare​ ​a​ ​mia ​ ​madre. Lei​ ​gestiva​ un​ negozio ​ ​di​ ​alimentari​ ​nel​ ​centro​ ​di​ Castroreale,​ ​il​ ​paesino​ ​di​ collina, ​ ​dove​ ​sono nato.
La​ ​parabola​ ​di​ ​Castroreale​ ​ha ​ ​seguito​ ​il​ ​decorso​ ​dei​ ​centri​ ​montani,​ medio-montani, (su​ ​cui ho​ ​ scritto​ ​un​ ​post​ ​all'occasione​ ​del​ terremoto​ ​dell'Italia ​ ​centrale). Da​ ​paese​ ​pulsante,​ ​ popolato,​ ​ricco​ ​di​ una​ ​vita​ ​economica,​ semplice​ ​ma​ ​molto ​ ​ben​ ​articolata,  è​ ​passato​ ad ​ ​essere​ ​spopolato,​ ​con​ pochissimi​ ​servizi,​ ​però​ ​ricco​ ​di ​ ​storia​ ​e​ monumenti. La​ ​sua​ ​ricchezza:​ ​gli​ spettacolari ​ ​prospetti​ ​panoramici​ sulle​ ​isole​ ​Eolie, incastonate​ ​nel​ ​Mar Tirreno,​ ​e​ ​sui​ ​campi​ agricoli​ ​con​ ​difficoltà​ ​ed​ ​abilità​ ​ coltivati​ ​dai​ ​cittadini​ ​residenti,​ fedeli​ ​al borgo​ ​natio.

venerdì 30 giugno 2017

Il profumo del pane.

🖋Post i Rosario Grillo 
🎨Immagini dei dipinti del pittore francese Henri-Horace Roland Delaporte (1724 circa- 1793) 
📹Il video, sul ciclo del pane, rappresenta le opere dell'artista italiano Giovanni Becchina (Gianbecchina), vissuto tra il 1909 - 2001.

Henri-Horace Roland Delaporte, 
Natura morta con frutta e pane, particolare
Mio padre era un panettiere e la mia infanzia porta il profumo del pane.
Lontani ricordi sentono una sveglia che suona in piena notte e rumori al piano di sotto, dov'era il forno e dove si affaccendavano mio padre con mia sorella Maria e mio fratello Cesare.
Al mattino, verso le sette, il pane era già pronto per andare nella bottega di mia mamma e in altre botteghe del paese.
Un lavorio tutto attorno: la preparazione del lievito madre  e nei primi anni addirittura la carica alla fonte di una necessaria cisterna d’acqua, che si riportava a casa, rotolando.
Il prelievo in falegnameria della legna  necessaria per scaldare il forno, poi, con la meccanizzazione, l'alternarsi di giorni  favorevoli e  altri no alla buona combustione, alla liberazione dei fumi attraverso la ciminiera. La dotazione, nel tempo, dei primi macchinari che dovevano alleviare la fatica fisica dell'impasto e della preparazione delle forme.

venerdì 10 febbraio 2017

Giorno del ricordo... dei ricordi.

🖊 Post di Gian Maria Zavattaro.

Foiba di Basovizza (1)
“Quello ricordato come 'Le Foibe' è uno dei momenti più drammatici della storia italiana del secolo scorso. Il 10 febbraio è il giorno che in Italia si dedica alla memoria di tutte le vittime delle Foibe e dell’esodo dalle loro terre di Istriani,  Fiumani e Dalmati. Con il termine 'foibe' (dialettale di derivazione latina) vengono indicati alcuni 'pozzi' naturali tipici della regione carsica, nei quali vennero occultate molte fra le vittime degli eccidi dei partigiani dell’allora Jugoslavia comunista ai danni di fascisti e simpatizzanti (spesso solo ritenuti tali). Il numero delle vittime non è ben riscontrato, ma gli studiosi parlano di cifre tra i 5.000 e gli 11.000 uccisi, sia militari che civili.  Coloro che furono gettati nelle foibe non sono la maggioranza  (che invece morì di stenti o per malattia nei campi di concentramento slavi), benché ormai si tenda ad indicare come 'foibe' le località dell’eccidio” (da: Agenda della Famiglia 2016, 10 febbraio  – ed. Famiglia Cristiana).

Schema di una foiba 
(illustrazione tratta da una pubblicazione del CNL istriano, 
datata 1946)

martedì 24 gennaio 2017

Che cosa significa pensare dopo Auschwitz.

Post di Gian Maria Zavattaro
Le immagini riproducono opere di Paolo Pennisi (per una sua presentazione  cliccare qui).

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Paolo Pennisi, 
Venti donna gessi
Nessuno lo dimentichi, nessuno lo contesti. Auschwitz rimanga luogo di raccoglimento e di monito per le future generazioni” (Marta Ascoli, ex-deportata, Auschwitz è  di tutti, ed. Lint, Trieste, 1999, p.71).

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Paolo Pennisi, 
Senza titolo
Nei tre giorni natalizi trascorsi a Firenze, mia moglie ed io ci siamo imbattuti a Palazzo Medici Riccardi (Galleria delle Carrozze), praticamente per caso, nella mostra “Ebrei in Toscana  XX/XXI secolo” (dal 20 dicembre al 26 febbraio), che ci ha subito conquistato. Nei singoli padiglioni abbiamo contemplato fotografie, letto didascalie, meditato, sofferto, discusso tra noi quanto veniva proposto; abbiamo guardato ed udito le molteplici testimonianze che il video ci offriva. Abbiamo incontrato generazioni di persone (volti non numeri), italiani come noi, gruppi parentali ed amicali, storie personali e familiari che nell’impegno diuturno civile economico sociale politico hanno contribuito alla crescita della Toscana e dell’Italia tutta; e poi il lungo calvario della riduzione nei ghetti e della discriminazione sino alla tragedia dell’olocausto; infine una serie di riflessioni sul “processo del secolo”, la memoria dei sopravvissuti, la memoria della Shoah oggi e  gli Ebrei in Toscana oggi.

sabato 21 gennaio 2017

Memoria: bagaglio o valanga.

🖊 Post di Rosario Grillo
🎨 Tutte le immagini riproducono illustrazioni di Franco Matticchio (le didascalie in parentesi sono nostra libera invenzione con adattamento al contenuto dell'articolo). Per una breve presentazione dell'illustratore, con rimando a diversi link cliccare qui.

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Franco Matticchio, 
(Stati psichici)
“Io constato anzitutto che passo di stato in stato. Ho caldo ed ho freddo, sono lieto o triste, lavoro o non faccio nulla, guardo ciò che mi circonda o penso ad altro. Sensazioni, sentimenti, volizioni, rappresentazioni: ecco le modificazioni tra cui si divide la mia esistenza e che di volta in volta la colorano di sé. Io cambio, dunque, incessantemente. Ma non basta dir questo: il cambiamento è più radicale di quanto non sembri a prima vista. Di ciascuno dei miei stati psichici parlo, infatti, come se esso costituisse un blocco: dico sì che cambio, ma concepisco il cambiamento come un passaggio da uno stato al successivo e amo credere che ogni stato, considerato per se stesso, rimanga immutato per tutto il tempo durante il quale si produce. 
Franco Matticchio, 
(Valanga)
Eppure, un piccolo sforzo di attenzione basterebbe a rivelarmi che non c'è affezione, rappresentazione o volizione che non si modifichi di continuo: se uno stato di coscienza cessasse di cambiare, la sua durata cesserebbe di fluire. Il mio stato d'animo, avanzando sulla via del tempo, si arricchisce continuamente della propria durata: forma, per così dire, valanga con se medesimo. Se la nostra esistenza fosse costituita di stati separati, di cui un Io impassibile dovesse far la sintesi, non ci sarebbe per noi durata: poiché un Io che non muti non si svolge, come non si svolge uno stato psichico che resti identico a se stesso finché non venga sostituito dallo stato successivo” (Bergson, L'evoluzione creatrice).

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Franco Matticchio
(Tempo e scrittura)
Si avvicina la data della commemorazione della Shoah e inevitabilmente ci si domanda se essa saprà prescindere dalle diatribe polemiche, che da qualche decennio inesorabilmente la caratterizzano. La ragione scatenante è facile da individuare: la commistione tra storiografia e politica. Gli italiani non sono manifestamente un popolo propenso al sereno giudizio storico. Sono invece “pronti  attori” di conflitti politici, succubi di una tara ben insediata nel costume di popolo fin dal tempo degli Orazi e Curiazi. Lo slogan nasconde la metafora di un viscerale antagonismo sociale che trascura di andare a fondo alle reali connotazioni socio economiche, basilari motivazioni della conflittualità. Orazi e Curiazi, più avanti guelfi e ghibellini, più avanti ancora repubblichini di Salò e partigiani antifascisti sono stati il sottinteso di diverse appartenenze sociali e/o opposti programmi di futuro riscatto.

venerdì 4 novembre 2016

Una riflessione personale sul 4 novembre.

Di Gian Maria Zavattaro.
La virtù che amo di più - dice Dio - è la speranza.
 La fede non mi stupisce. Non è stupefacente. Sì, io risplendo a tal punto
nella mia creazione, che, per non vedermi, questa buona gente dovrebbe essere cieca.
 L’amore  - dice Dio -  non mi stupisce.  Queste povere creature sono così infelici:
 come potrebbero non avere pietà l’una dell’altra, a meno che non abbiano un cuore di pietra.
  Che questi poveri figli vedano come vanno le cose e credano che domani andrà meglio.
 Questo è stupefacente”
 (Ch .Pèguy)
Ripropongo  una riflessione personale su ciò che la prima
guerra mondiale ha rappresentato per tante famiglie, come la mia.

Redipuglia, Cimitero Militare
(Collezione Umberto Fabiani)
Il 4 novembre è per me un giorno di trepida mestizia, unita ad una pervicace speranza. Non riesco a provare altri sentimenti. Questo post vuole essere un tributo, tenero come un abbraccio fraterno, alle miriadi di morti, in ogni parte del mondo, a causa delle guerre di ieri e di oggi.
Secondo le stime della gran parte degli storici il totale dei morti nella prima guerra mondiale, tra militari e civili, è compreso tra i 15 e i 17 milioni, di cui circa 1.200.000 italiani (militari e civili).
Dalle doline del Carso 
(Collezione Claudio Granella)
Tra loro anche mio nonno paterno, morto sul Carso cent’anni fa (dicembre 1916), lasciando una vedova ventiquattrenne, mia nonna, e due bimbi piccoli, mio padre e mio zio. Da allora la mia famiglia è stata segnata per decenni, e lo è per certi versi ancora oggi, da questo tragico e per noi assurdo e inconcepibile lutto. Così è stato per centinaia di migliaia di famiglie in Italia e per milioni nel mondo.
Non ho nessuna voglia di celebrare il 4 novembre sotto altra forma se non quella di ricordare il pianto di vedove ed orfani prematuramente privati degli affetti più cari da un’ inutile strage”, che  nulla sembra insegnare a noi  uomini e donne del 2016. Non è questione di essere o non  essere pacifisti. Certo, mi dichiaro e voglio essere pacifico (operatore di pace, dal lat. pacifĭcus, comp. di pax-pacis ‘pace’ e il suffisso -ficus,  der. di facĕre ‘fare’), ma non pacificato dalle guerre di ieri e di oggi.

venerdì 16 settembre 2016

I borghi d'Italia e il terremoto.

Di Rosario Grillo.
Sugli Appennini si arriva seguendo la bussola del cuore. Non si capita per caso sulla spina dorsale dell’Italia. Non ci sono autostrade, né aeroporti, né treni veloci. S’impiega meno ad arrivare a Parigi con un low cost”.

Giuseppe De Nittis, 
La traversata degli Appennini
Così scrive Melania Mazzucco in una lettera inviata ad un giornale il 28 agosto scorso, sulla scia della commozione suscitata dal terremoto che ha colpito l’Italia centrale.
Ciò che lei scrive di questi luoghi si può ripetere per migliaia di centri montani minori, distribuiti per tutta l’Italia. Per essi una denominazione: Italia minore.
Essi, meta di un pellegrinaggio, quasi devoto, di quanti annualmente ricercano la “magia” de l’incontro con le origini.
“Alla casa del padre, della madre, dei nonni, dei bisnonni. E’ un legame ancestrale, una fedeltà peculiarmente italiana” (M. Mazzucco).

sabato 25 giugno 2016

Gli odori mnemagoghi, con Chardin.


Chardin, 
Donna che prende il tè
(particolare)

Gli odori si stratificano in noi e il corpo ne porta il ricordo. Noi non rammentiamo perfettamente un odore – come nozione – ma il corpo ricorda le sensazioni di “soddisfazione” e di “benessere fisico” legate a certi odori. Questa è la tesi del filosofo Salvatore Natoli contenuta in una bella pagina di I nodi della vita, ed. La Scuola, Milano 2015 (pp. 91-107), e dedicata al come “diventare felici”. Egli definisce “felicità immemorabile” quella costellazione di percezioni gradevoli connesse allo star bene che trova nel corpo la sua traccia inconscia ed arriva alla mente in un secondo momento, quando ci capita per esempio di avvertire e di riconoscere, dopo molto tempo, determinate sensazioni olfattive che hanno per noi un qualche significato. Queste considerazioni portano Natoli ad affermare una priorità del “piacere di esistere”, “inscritto nelle nostre carni”, rispetto al dolore, secondo una linea di pensiero che trova le sue radici già nell’antica Grecia. La vita ha una sua bellezza e piacevolezza in se stessa, prima e al di qua di eventi straordinari. E il corpo lo sa.

Jean-Baptiste-Siméon Chardin, 
Donna che prende il tè
Il tema degli odori trova nella letteratura fascinose trattazioni (la madeleine intinta nel tè di Proust!). Qui vorrei ricordare un suggestivo racconto di Primo Levi: si intitola I mnemagoghi, fantastica parola per dire “suscitatori di memorie” (Primo Levi, Opere, I, Einaudi, Torino 1997, pp. 401-408).
Ecco il contenuto in breve.