Post di Rosario Grillo.
Eppure la clemenza non è il perdono. E che cos’è allora? Qual è la sua condizione stereotipica, quali ne sono i motivi e l’utilità? Chi esercita o dovrebbe esercitare la clemenza, il giudice buono, il padre indulgente, il sovrano misericordioso, il politico populista? In effetti la clemenza è la disposizione benevola del capo sovrano verso l’inferiore; è virtù esterna, pubblica, non privata e interna come lo sono bontà e umiltà. È virtù dei potenti verso i soggetti, è azione di un superiore sociale verso un inferiore, talora richiesta alla giustizia, che con la grazia risparmia la vita o anni di pena. Si applica a contesti di giurisprudenza e di politica, esprime la mitigazione della retribuzione (Clemenza in Doppiozero).
💥 PREMESSA
Passando lo sguardo sulla postura della società attuale vien fuori la rigidità di una pretesa morale ispirata alla rettitudine bacchettona. Su di essa è seduta la disposizione comune a considerarsi portatori di verità incontrovertibili, con la refrattarietà ad assumere apertura al dissenso e proposito di dialogo.
A mio parere, non è solo un effetto del piglio “polemico e ciarliero” del mondo da social media; è soprattutto invece effetto scaturito da un input impresso dall’alto, da quanti subdolamente applicano il precetto latino: divide et impera.
La gamma di questa postura, del resto, ha molteplici variazioni e sembianze, tutte convergenti però nel rinsaldare un fondamentalismo culturale di base (1).