Post di Rossana Rolando
Immagini e video di Norman Sgrò (qui il sito)
Quid faciat laetas segetes…hinc canere incipiam
Che cosa renda feconde [liete, felici] le messi…da qui comincerò a cantare
(Virgilio, Georgiche, 1,1).
Parlando della felicità, nel vago senso che ciascuno può dare a questo termine, prima di una riflessione articolata e argomentata, ci si può chiedere anzitutto se essere felici sia davvero lo scopo dell’esistenza o se la serietà del vivere non chiami a compiti ben più alti che non garantiscono affatto la felicità individuale. Così pensa Kant il quale esclude l’utilità personale come movente del retto agire (pur non negando l’aspirazione alla felicità come conseguenza possibile della virtù), così ragiona, d’altra parte, un utilitarista come J. Stuart Mill che - in polemica con una certa identificazione di felicità e piacere - ritiene sia meglio “essere un uomo insoddisfatto piuttosto che un maiale soddisfatto, essere un Socrate infelice piuttosto che uno stupido felice. E se lo stupido o il maiale sono di diversa opinione, è perché conoscono solo un lato della questione”.