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Visualizzazione post con etichetta sul riso. Mostra tutti i post
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giovedì 6 agosto 2020

Il pagliaccio e la filosofia.

Post di Rossana Rolando.
Immagini delle opere dell'artista Paolo Ventura (qui il sito)¹.

Paolo Ventura, Pagliacci 
(vedi nota 1).
In uno spot del canale Treccani viene presentata la situazione di un consiglio d’azienda presso il quale sopraggiunge un personaggio vestito da pagliaccio. Quand’egli comincia a parlare il suo linguaggio è così forbito da suscitare stupore ammirato nel direttore. Contemporaneamente il suo volto perde a poco a poco le sembianze del pagliaccio per assumere i tratti di un giovane uomo serio, affidabile ed autorevole. Lo spot gioca su un comune modo di interloquire, quando per esempio si dice “il tale è proprio un pagliaccio” e vuole indicare l’importanza della parola nel rapporto con gli altri e nella considerazione di chi ci ascolta.  Di primo acchito il video risulta molto efficace.
Un momento dopo però, non appena si comincia a riflettere, vien da pensare alla figura del pagliaccio nell’arte rappresentativa (pittura, scultura), nella musica, nel cinema, nella letteratura…, all’importanza attribuita alla clownterapia negli ospedali per l’infanzia… ed ecco che spunta la perplessità sull’uso della figura clownesca, come semplice richiamo dispregiativo ad una persona poco seria e per nulla credibile.

sabato 12 ottobre 2019

Ironia, satira o sarcasmo?

Post di Gian Maria Zavattaro
Immagini delle opere di Fabio Magnasciutti (qui il link del sito).


 “Numquid redditur pro bono malum? 
Si potrà forse ripagare il bene con il male?”
(Geremia 18,20).

Fabio Magnasciutti
In questi nostri tempi “di magnifiche sorti e progressive”  mi pare che tutti noi si viva in un labirinto di confusioni linguistiche, con le conseguenti falsificazioni e fraintendimenti. Parole quali ironia satira sarcasmo vengono usate non sempre a proposito, assumono significati polivalenti e perdono la loro originale identità: confusione non solo linguistica tra termini disinvoltamente formulati, coniugati e piegati a cavalcare i  più svariati atteggiamenti.
Amo l’ironia, mi piace la satira perché le associo ad emozioni e sentimenti che condivido: misura limite pudore amore indulgenza tenerezza sincerità rimprovero pianto pietas, velata collera di melanconia.
Aborro il sarcasmo che associo alla farsa aggressiva, l’irrisione arrogante, superba derisione, immodesta sfrenatezza e tragicomico narcisistico delirio d’onnipotenza.

venerdì 12 maggio 2017

Riso e sorriso.

🖋 Post di Rosario Grillo
🎨 Rappresentazioni delle opere di Ida Budetta (qui il sito), pittrice dallo stile personalissimo, non etichettabile, difficile eppure immediatamente suggestivo. Alla sua arte dedicheremo un prossimo post. Intanto la ringraziamo per averci accordato il permesso di pubblicare le sue immagini.

Ida Budetta, 
Angelo bifronte
Riso e sorriso si debbono distinguere?
Alcune volte creiamo inconsapevolmente ambiguità inesistenti.
Molto semplicemente si potrebbe dire che: se distinzione “ha da essere”, consiste in un aspetto esteriore e formale.
Esposto alla caricatura e alla sguaiataggine il primo, contenuto, elegante e signorile il secondo.
Sopra tutto il riso è incorso nella disputa filosofico-teologica relativa alla sua convenienza nell'abito del perfetto e “compunto” uomo di fede.
E’ d’uopo citare  Il nome della rosa di Umberto Eco, costruito sulla paura della “irrazionalità” del riso, ipoteticamente sostenuta da Aristotele nel secondo libro della Poetica, a noi non pervenuto.
L’abate del monastero difende il “segreto” per impedire la presenza del demonio (il riso).
A questa satanizzazione del riso, altri hanno contrapposto la sua capacità satirica, decostruttiva e critica (Nietzsche, Bataille).
Sulla strada della contrapposizione, si rischia, però, la chiusura in un recinto pseudo-dialettico, sterile ed inconcludente.
La natura umana, nel concerto della Natura, contiene il tragico e il comico.

venerdì 29 maggio 2015

Dimmi come ridi e ti dirò chi sei...


Cosa si nasconde dietro il riso ....
(Paul Klee, Danza del bambino sognante, 1922)
Un uomo, al quale chiesero perché non piangesse 
a un sermone a cui tutti versavano lacrime, rispose: 
“Io non sono della stessa parrocchia”. 
Ciò che costui pensava delle lacrime 
sarebbe ancor più vero per il riso. 
Per quanto franco lo si supponga, 
il riso nasconde sempre un pensiero d’intesa, 
direi quasi di complicità, 
con altre persone che ridono, reali o immaginarie.
(Henri Bergson, Il riso).

L'ambiguità del riso 
(Annibale Carracci, 
Giovane che ride, 1583)
Un saggio sul riso... 
e le sue ambiguità.
Dalla lettura de Il riso di Bergson (scritto nel 1900, prima della Psicopatologia della vita quotidiana di Freud) possiamo trarre interessanti riflessioni sull’ambiguità del riso.

L'atto del ridere è solo umano 
(Jean Fouquet, Il ritratto del buffone Gonella, 
1447-1450)
L'atto del ridere appartiene solo all'uomo. 
I filosofi hanno definito l'uomo un animale  che sa ridere; forse si potrebbe meglio dire: un animale che fa ridere. In ogni caso il riso è un atto esclusivamente dell’uomo: un paesaggio è bello o brutto, non ridicolo; si ride di un animale, ma solo perché vi si riscontra un'espressione o un’attitudine umana (iena ridens…).

Perché ridiamo? 
(Pittore olandese, 
Sciocco che ride, 1500)
Che cosa suscita il riso?
Il riso comporta, nell’urto con il grottesco e l’assurdo, un’assenza  momentanea di sensibilità nei riguardi degli altri. Solo così ridiamo delle distrazioni  dell'uomo che incespica per la via, che batte il capo contro la porta, che veste in modo bizzarro...

Il riso svela ... 
(Jean Etienne Liotard, 
Autoritratto, 1770)
Il riso può smascherare rituali sociali irrigiditi. 
La “rigidità” è altra fonte che muove il riso: in particolare il cerimoniale della vita sociale cela sempre una comicità latente. Le cerimonie debbono la loro serietà solo al fatto che si identificano con l’oggetto serio cui si collegano e perdono questa serietà non appena la nostra immaginazione trascura il significato della solennità e dimentica il suo fine importante. Allora coloro che vi prendono parte sembrano muoversi come marionette; irrigiditi nei loro gesti meccanici, “fantocci” che generano il comico e noi ridiamo di chi somiglia ad un fantoccio.

Il riso ha un significato sociale 
(Petrov-Vodkin, 1878-1939, 
Teatro, La farsa)
Il riso può assumere una doppia funzione nella vita comune.
Il riso è una forma di  castigo sociale delle distrazioni, degli automatismi e rigidità; perciò ha bisogno di una eco sociale. Pensiamo al comico della caricatura, della imitazione, del travestimento, dei tic, gesti, movimenti, gli ehmmm” di un oratore (l'aspetto al varco e rido)... Ridendo prendiamo le distanze da costoro e ci sentiamo integrati:  è il suo significato sociale, che risponde ad  esigenze della vita comune, non scritte ed anche inconsapevoli.

Il riso come difesa della società  
(Quentin Massys, 
Allegoria della Follia, 1510)
Il riso può diventare un meccanismo difensivo di esclusione.
Ma il riso è anche  un'arma  che la società adopera contro i suoi membri, punendo non solo il distratto, ma l’asociale e chi la contrasta. Naturalmente vi sono diversi modi di essere asociali.

Il riso omologante 
(Jean de La Fontaine, 1621-1695, 
Talete sta per cadere in un pozzo)
Il riso può emarginare chi non è omologato e adattato. 
Vi è il disadattamento della persona integra in ambiente corrotto ed ingiusto: è da ammirare e non deridere. Vi è la distrazione dell'artista e del pensatore cui la meditazione ostacola la continua attenzione alle quotidiane contingenze della vita: Talete che, contemplando le stelle, cade nel pozzo e provoca l’ilarità della servetta; Socrate  tra le “Le Nuvole di Aristofane; Shakespeare che  esce dal teatro senza cappello in capo; Galileo che urta una sedia mentre osserva le oscillazione di una lampada; Spinoza che crede di aver pranzato e si rimette a scrivere con il pranzo pronto e caldo... Chi ride di loro e la società che li perseguita hanno torto perché dalla loro apparente estraneità sociale nascono i doni più rari e più utili che tutti gli altri mai riusciranno a dare... 

Il  derisore che diventa deriso 
(François Huard, 1792-1856, 
Scena del Rigoletto)
Il riso può rendere ridicoli.
Vi sono altre tipologie di riso. Quella dei pusillanimi e dei servi: il ridicolo che improvvisamente cessa di essere tale e si trasferisce dal deriso al derisore, quando, ad es. il signore dal grugno suino, dall'andatura goffa e stravagante attraversa la hall dell'albergo suscitando le risate dei presenti, ma poi passa tra loro una voce ed a un tratto si fanno seri e muti, perché il tipo dal muso cagnino è un uomo che conta e nessuno più ride. 

Il riso ci dice chi siamo 
(Pieter Huys, Giullare, 1570)
Il riso dipende da quello che siamo e/o vogliamo essere.
Ed infine la tipologia degli onesti, dei disonesti e degli imbecilli: il riso dell’uomo “di merito” che esercita una vigile “attenzione alla vita”; il riso dell’uomo fazioso che deliberatamente accresce la dose di ridicolo che emana da ogni persona, perché ognuno di noi ha la sua dose di ridicolo,  e che, in base ai suoi interessi e passioni, deride nemici e persone ingombranti con deliberata, ingiusta offesa e cinica ostilità; il riso infine dell’imbecille, il cui stigma è il detto “risus abundat in ore stultorum”.

Il riso ...

Il riso... 
(Paul Klee, Il folle in trance, 1929).

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domenica 23 novembre 2014

Alluvioni, frane, disastri ambientali. Provocazione.


La Liguria in ginocchio ... 
(immagine tratta da Riparte il futuro, 
Petizione diretta a Claudio Burlando, 
Presidente della Regione Liguria)
Zona di Albenga.
Zona di Albenga, i danni alle coltivazioni.
Zona San Fedele di Albenga, esondazione.
15 novembre 2014.
“Io rido di un unico oggetto, l’uomo pieno di insensatezza, vuoto di opere rette, puerile in tutti i suoi progetti, che sopporta senza alcun beneficio prove senza fine, spinto dai suoi desideri smodati ad avventurarsi fino ai confini della terra e nelle sue immense cavità… E non sente alcun rimorso a dichiararsi felice, lui che fa scavare a piene mani le profondità della terra da schiavi in catene, di cui gli uni muoiono sotto i cedimenti di un terreno friabile, mentre che, interminabilmente sottomessi a quel giogo, gli altri sopravvivono nel supplizio come in una patria. (…) Della nostra madre terra si fa una terra nemica; essa, che resta sempre la medesima, l’ammiriamo e la calpestiamo. Che risate, quando questi innamorati di una terra estenuante e piena di segreti usano violenza a colei che hanno sotto gli occhi. […] Allora perché, Ippocrate, mi hai rimproverato di ridere? Non c’è uomo che rida della propria insensatezza…”.(Ippocrate, Sul riso e la follia, Sellerio, Palermo, 1991, a cura di Y. Hersant).

N. Moeyaert, Ippocrate e Democrito.

Democrito viene spesso rappresentato 
come il filosofo che ride del mondo e degli uomini ... 
(J. Moreelse, Democrito, particolare)
Il libro da cui è tratta la citazione è stato attribuito al medico Ippocrate del V sec. a.C. e si ricollega alla  leggenda della pazzia ridente di Democrito (460-370 a. C.), il filosofo ridanciano dalla proverbiale bruttezza, denunciatore di tutte le debolezze umane. Così lo descrivono Orazio, Cicerone, Giovenale, Seneca…; così lo presentano i  busti marmorei a noi  pervenuti e la  famosa  incisione di Rubens.

W. Blake, Democrito in una immagine 
ripresa dall'incisione di Rubens.
Come si può evincere  dalla lettura, dopo circa 2.400 anni, nulla di nuovo sul fronte occidentale!
Questo “libro del riso e dell’oblio” assume oggi una sua attualità, anche se al posto del riso  forse sarebbe meglio il pianto od entrambe le cose: ridere alla maniera di Democrito sull’insensatezza di chi poteva e doveva prevenire i disastri; piangere per i drammi e la tragedia di tante persone.

... in contrapposizione al pianto di Eraclito ... 
(J. Moreelse, Democrito ed Eraclito)
Chi è pazzo? Il filosofo solitario che se ne è andato a vivere fuori le mura o noi che facciamo finta di niente e digeriamo ogni sopruso?

Rubens, Democrito.
Chi è il vero malato? Il Democrito di turno o la collettività, ingenuamente ansiosa di guarirlo e di ritornare a farsi gli affari propri?

Bramante, Eraclito e Democrito.
Non so se il riso beffardo di  Democrito si possa considerare un’efficace terapia sociale, ma sicuramente è un genere di riso e follia che non è il  sorriso della pietà, della tenerezza, dell’umanità caritatevole, dell’innocenza ospitale. E’ piuttosto il pianto di una democrazia  tradita, “alla mercé di cattivi coppieri”, come direbbe Platone.
D. Velásquez, Democrito ride
dell'insensatezza del mondo.

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domenica 20 ottobre 2013

Il sorriso oggi.


Il sorriso inutile ... come un cielo stellato (Van Gogh, La notte stellata).

Sanno sorridere gli uomini e le donne del nostro tempo? Apparentemente sì: riviste, discoteche, cinema offrono ovunque immagini o spettacoli di gente che ride; alla tv non fanno che sorridere in un’inflazione di scherzi televisivi, barzellettari, gare di umorismo più o meno raffinato; sulle reti di internet continuamente ci viene proposto l’artificio del riso di ogni genere  in  un’esplosione quasi orgiastica.

Ridere, ridere, ridere...
E noi passiamo le serate e la domenica a guardare la tv, a “chattare” o a fare pellegrinaggi nei nuovi santuari virtuali. Così anche  il riso è diventato business, fa leva sui nostri sentimenti  ed emozioni,  gioca sui nostri bisogni primordiali di aggregazione, svago, rassicurazione.

Il bisogno di aggregazione e di rassicurazione ...

E’ una permanente ribalta che sbandiera, un duplice riso: la risata schietta, gustosa  (quella che fa buon sangue), liberante e rasserenante; e il riso invece sguaiato, artificioso, irridente, che si fa di volta in volta dissacrazione,  sarcasmo,  derisione, irrisione,  disperazione.

La risata che ferisce ...
E’ l’ambiguità del riso che ogni giorno sperimentiamo, quando un certo modo di sorridere ci allieta ed esalta o viceversa un ben altro modo si rivela arma terribile che  deprime, mortifica, ferisce. Entrambi proiezioni di quel che siamo.

Marionette che danzano.
(Fortunato Depero).

Vorrei tuttavia soffermarmi sul primo sorriso e di questo  vorrei parlare: il bel riso  che   tonifica la persona, la riconcilia con il mondo, la restituisce ai suoi impegni. La dimensione ludica del riso è essenziale ad ognuno di noi: è momento di gratuità, di gioia, gioco, divertimento, serenità,  allegria, libera realizzazione di sé, aspirazione alla felicità. E’ perciò esperienza estremamente seria: non si eredita né si compra né si prende in prestito, ma è un’arte da conquistare, che richiede volti  non omologati  dalle convenzioni di tutti i giorni, capaci, sorridendosi,  di assaporare insieme qui ed ora la gratuità della vita.

La dimensione ludica è essenziale
(Pieter Bruegel).
Nel sorriso cadono le difese, si semplificano le relazioni, si crea una unità  unanime che reclama, nell’incontro di ciascuno con tutti, il gusto del  gesto disinteressato che  non serve a nulla, che  non produce nulla di utile. E’ questo il potere straordinario del sorriso. Bergson direbbe che le persone che amano molto sorridono facilmente ed il sorriso ne è  testimonianza ed annuncio. 


Saper ridere di sé

C’è naturalmente una condizione: ridere  innanzitutto di se stessi e vivere l'umorismo con buon umore. Ma finché nella nostra città ci scambieremo il dono del sorriso, ci sarà speranza nella reciproca accoglienza.



Il dono del sorriso.
     (Fortunato Depero)