Iscriviti ai Feed Aggiungimi su Facebook Seguimi su Twitter Aggiungimi su Google+ Seguici tramite mail

Iscriviti alla nostra newsletter!

sabato 14 febbraio 2015

Dedicato ai miei insegnanti. Grazie. Video.

A Giulio Girardi,
maestro di vita e di pensiero.

Ai maestri che abbiamo incontrato 
lungo il viaggio della nostra vita 
(Odilon Redon, Barca rossa e vela blu)
Si può essere “maestro indiscutibile di una generazione senza maestri”? 
Il nostro tempo non è che  un susseguirsi di “generazioni senza maestri”. Parlo di maestri “buoni”,  perché dei “cattivi” sono ingolfate le nostre città e le nostre istituzioni, intrise di dilaganti corruzioni, ingiustizie clientelari, diseguaglianze sociali, iniquità formalmente legali, falsità ed ipocrisie smerciate per solidarietà, ciniche seduzioni, manipolazioni contrabbandate come libere determinazioni, promesse mai mantenute, innumerevoli contraddizioni tra  il dire ed il fare…

Ai maestri di cui ci siamo accorti dopo, 
in età adulta... 
(Odilon Redon, Profilo di donna alla finestra)
Eppure è anche il trionfo - silente, nascosto, fecondo - di una fiumana di persone, donne ed uomini, che nel quotidiano hanno testimoniato e testimoniano la loro coerenza e il loro compito consistente nell’onorare il proprio servizio. Per consapevole deformazione professionale penso in particolare ai non pochi insegnanti  di ogni ordine e grado che, nella fatica e concretezza del loro impegno di ogni giorno, sono stati e sono per i loro studenti “maestri di vita e di pensiero”: consapevolezza che emerge  per lo più  quando si è diventati adulti e si vedono cose che prima risultavano invisibili. A tutti questi docenti è dedicato il video che proponiamo, lasciando a mia moglie una riflessione più personale …


domenica 8 febbraio 2015

Eutopia e scuola.


Eutopia della scuola... 
un mondo surreale?
(Jonathan Wolstenholme)
I Docenti ultraquarantenni ricorderanno certamente le speranze (e diciamo pure le delusioni) legate al  “Progetto giovani” ai tempi del grande Corradini. Allora Docenti e Studenti parlavano di EUTOPIA, della scuola come  bel luogo dove produrre cultura umanizzante e liberante. Era una sfida, una scommessa. Si richiedeva ed insieme si ricercava  una scuola come luogo in cui   “stare bene con se stessi, con gli altri, con le istituzioni in un mondo che stia meglio”.
La scuola ... 
come bel luogo.
Oggi non so  se eutopia sia  parola ancora ricercata o in uso presso i nostri studenti. So però che, di fronte alla crisi profonda che sta attraversando il nostro Paese (crisi non solo economica, ma anche di identità e di speranza), non possiamo non sollecitare la scuola  ad interrogarsi, a fare la sua parte, a riscoprire la sua essenziale vocazione utopica, condizione per il suo cammino culturale e per la sua esistenza creativa. 

La scuola ... 
nella sua esistenza creativa.
La forza della scuola, di ogni scuola, è nella sua "extraterritorialità", nel suo essere libera e non succube di alcun potere politico o ideologico, nella sua volontà di denunciare il mal-essere di adulti e  giovani fuori e dentro la scuola, soprattutto nella sua capacità di sperare, di annunciare un  futuro possibile di modi alternativi di vivere e di ben-essere.

La scuola ... 
nel suo annuncio di mondi alternativi.
Una bella sfida che costringe a riflettere sugli attuali compiti e responsabilità (letteralmente capacità di rispondere) dei Docenti, a gettare la maschera, a superare la ferita narcisistica di chi ritiene di non doversi mai mettere in discussione. Ieri come oggi gli studenti rimproverano noi adulti che troppo spesso lo spazio scolastico che assicuriamo loro è semplicemente noioso, matrigno, quaresimale, non significativo né gratificante.


La scuola... 
quando è capace di aprire nuove porte.
Nessuno vuole una scuola più facile, anzi oggi è necessario che sia ancor più severa. Ma la scuola che produce veramente cultura è quella che non snatura la vita, che non crea un mondo artificiale basato su conoscenze ed usi che non hanno corso al di fuori di essa, che sa centrarsi su ogni singolo alunno, incontrandolo faccia a faccia, accogliendo e non subendo le diversità di ciascuno. L'utopia può forse rischiare di portarci lontano o di perderci in fantasie impossibili, ma è anche ciò che ci riporta a noi stessi ed è la profezia dell'uomo futuro. 



La scuola... 
profezia dell'uomo futuro 
(Alessandra Placucci)
Ben venga perciò una scuola erratica, in cammino per essere altrimenti, come Abramo, verso l'ignoto della terra promessa.


Il recupero di fiducia nella cittadinanza 
passa anzitutto attraverso la scuola.
Il  recupero di fiducia nella cittadinanza da parte dei giovani passa, che piaccia o no, prima di tutto attraverso la scuola. L’augurio è che anche qui da noi, ad Albenga, questa speranza nell'eutopia non disperi.
Eutopia della scuola.

Chi desidera intervenire può andare qui sotto su "commenta come", nel menù a tendina selezionare "nome/URL", inserire solo nome e cognome e cliccare su continua. Quindi può scrivere il proprio contributo sul quale rimarrà il suo nome ed eventualmente, se lo ritiene opportuno, può lasciare la sua mail.


mercoledì 4 febbraio 2015

L'educatore autentico e autorevole. La scuola tra educazione depositaria ed educazione problematizzante.



“Voglio essere ricordato come una persona che ha amato la Terra, che ha amato la possibilità di fare di questa terra un’unica comunità”
(Paulo Freire, in un’intervista rilasciata pochi giorni prima di morire).


Si insegna imparando...
(Il piccolo libro chiede al grande libro: 
"Mi leggi prima di dormire?" 
e il grande libro risponde 
"C'era una volta...")
Paulo Freire  è il noto autore, tra le altre numerose sue pubblicazioni, de “La pedagogia degli oppressi”, "La pedagogia dell'autonomia" e “La pedagogia della speranza”. La distinzione di fondo da lui attuata  tra educazione “depositaria” ed educazione “problematizzante” credo ci possa offrire, limitandoci allo stretto ambito scolastico, uno stimolante criterio interpretativo per stabilire le caratteristiche dell’educatore autentico ed autorevole.

Scuola ed educazione della persona.
La concezione (e la pratica) “depositaria” dell’educazione nega qualsiasi protagonismo negli educandi, li trasforma in “recipienti che l’educatore deve riempire”: “l’educatore educa, gli educandi sono educati; l’educatore sa, gli educandi non sanno; l’educatore pensa, gli educandi sono pensati; l’educatore parla, gli educandi ascoltano docilmente; l’educatore crea la disciplina, gli educandi sono disciplinati; […] l’educatore infine è il soggetto del processo; gli educandi puri oggetti”.


Il modello pedagogico 
del recipiente da riempire.
Alla concezione depositaria Freire oppone la concezione “problematizzante” del docente  che non considera gli studenti  “vuoti” da riempire ma che sa dare la parola a tutti, in una creativa e sempre nuova relazione interpersonale  dove i “contenuti” dell’educazione non sono sua “proprietà” quale detentore del sapere, non sono “ritagli della realtà” da trasferire in passivi contenitori, ma sono vissuti, interpretati, insegnati ed appresi attraverso una “curiosità epistemologica e critica” resa viva dal dialogo.

Il modello pedagogico del dialogo.
“Gli uomini si educano in comunione, attraverso la mediazione del mondo”: “in tal modo l’educatore non è solo colui che educa, ma colui che, mentre educa, è educato nel dialogo con l’educando, il quale a sua volta, mentre è educato, anche educa”. L’insegnante costruisce le sue competenze professionali attraverso la continua problematizzazione del suo sapere: insegnando-imparando-ricercando, mettendosi in discussione e rendendosi disponibile in ogni momento nell’avventura spirituale e materiale che è il suo essere a scuola. Questa era ed è la scuola che sognavo e continuo a sognare.

Vero insegnante è 
chi continua ad imparare.
Vorrei concludere queste brevi riflessioni, formulando  gli stessi concetti in termini ancor più provocatori. G. Blandino, psicologo  terapeuta psicoanalista,  qualche anno fa scriveva  che nel profondo ogni insegnante combatte una battaglia contro la distruttività e la morte e, in primo luogo, contro la propria distruttività ed aggressività. Insegnare è dare vita sotto forma di vita intellettuale, morale e sociale. La vittoria della creatività sulla distruttività non costituisce forse la motivazione più  profonda dell’insegnamento?
Vero insegnante è chi, formando, dà vita:
vita intellettuale, morale, sociale.
Non è così tuttavia per  l’insegnante autoritario e ripetitivo, colui che cede al fascino pericoloso del narcisismo e che - secondo l’orizzonte psicoanalitico di Blandino che qui giocoforza mi tocca sorvolare - difende le proprie angosce genetiche mantenendo  l’allievo in uno stato di dipendenza intellettuale, impedendogli di diventare autonomo e di pensare con la propria testa. 


Vero insegnante non è chi vuol rendere dipendenti ... 
ma chi vuole dare libertà.
La vittoria della creatività sta invece nell’ educare ogni alunno a “pensare”, ponendo al centro il suo crescere autonomo, il suo imparare ad imparare, la sua capacità di utilizzare conoscenze e strumenti critici adeguati all’oggi per costruire positivamente la propria identità e le proprie relazioni con gli altri e le istituzioni, la sua capacità  di progettare e trascendere l’ambiente, di fare piani per l’avvenire e di assegnare un significato al proprio essere nel mondo, vivendo in esso  da  persona libera pronta a  contribuire allo sviluppo  umano, civile e culturale della società in cui è incluso.

Vero insegnante è chi fornisce strumenti 
per affrontare il mare della vita.
Era così che Freire configurava il docente autentico ed autorevole: “un educatore creatore, un educatore liberato, o in processo di liberazione, un educatore che si mette in gioco, si avventura, che non ha paura della libertà, un educatore capace di amare, di amare lo stesso processo di educazione, di amare la propria pratica quotidiana”.

Vero insegnante è chi trasmette 
il valore liberante della cultura,
per tutti e per ciascuno 
(disegno di Tom Gauld, scozzese)
Chi desidera intervenire può andare qui sotto su "commenta come", nel menù a tendina selezionare "nome/URL", inserire solo nome e cognome e cliccare su continua. Quindi può scrivere il proprio contributo sul quale rimarrà il suo nome ed eventualmente, se lo ritiene opportuno, può lasciare la sua mail.

domenica 1 febbraio 2015

Essere cattolici oggi. Un punto di svolta?

“Un vento nuovo soffia sulla Chiesa,
 anche se è ancora una brezza leggera”.
 (Card. Georges Marie Martin Cottier)

Un vento nuovo soffia nella Chiesa...
“Alcuni giornalisti mi chiesero: “E’ soddisfatto del Concilio?”:
questa la mia risposta: ”Sì,  è una primavera per la Chiesa,
 ma una primavera sul finire di febbraio e l’inizio  di marzo;
 ci saranno ancora piovaschi e gelate notturne,
 ma stiamo procedendo”.
(Card. Léon-Joseph Suenens)

“Credo che se il Concilio non ha raggiunto
 tutte le mete prefissate, o stenta a conseguirle,
 ciò significa che la nostra conversione è di là da venire”.
(Card. Loris Capovilla)

... sarà ancora troppo presto?...
Descrivere in poche righe le sfide che i cattolici oggi vivono non è possibile: la fuga nel presente di una società liquida pervasiva, il deserto spirituale della post-secolarizzazione, le forbici spaventose tra povertà dei molti e ricchezze dei pochi, le persecuzioni dei cristiani in Asia ed Africa, “la globalizzazione dell‘indifferenza”  di fronte all’alluvione di violenze di ogni genere,  gli eventi che dappertutto  incalzano e la Chiesa che non cessa di sorprendere: dal “gran rifiuto” di papa Benedetto alla tenerezza e misericordia di papa Francesco che  guida con fermezza tutto “il popolo di Dio” in nome del paradosso dell’Incarnazione e della Redenzione, sapendo bene che deve fare i conti con l’ostilità esterna di un becero laicismo ma anche con il “fuoco amico”.

... un rinnovamento che deve fare i conti 
con il fuoco amico...
Stiamo vivendo un profondo trapasso epocale, al quale il Vaticano II aveva dato una brusca accelerata. E’ forte la sensazione dell’imminenza di un punto di svolta, di una corsa contro il tempo, senza saper bene quale sia  la strada giusta.

...con le resistenze interne 
alla chiesa stessa...
Forse a tutti è richiesto  un supplemento di fatica e di fiducia, evitando il rischio del genericismo dei buoni propositi: lo spazio del possibile non è quello dell’assumersi il presuntuoso compito di salvare il mondo ma di compiere i due-tre passi di cambiamento concreto che vicino a casa è possibile realizzare assumendo ognuno la sua quota di responsabilità verso chi  è prossimo.

... per mettere in atto 
un cambiamento concreto...
Non molto tempo fa qualcuno sosteneva di voler proteggere e difendere  i cattolici “medi”.  Non so - e non mi interessa - che cosa voglia significare “cattolico medio”, ma so invece, anzi mi sforzo ogni giorno di capire, che cosa voglia dire il coraggio di essere cattolici laici oggi.

... un rinnovamento 
che coinvolga tutti ...
Si sa che laico e laicità sono parole ambigue: secondo il linguaggio comune  nella società  è chi non ha religione o la contesta; nella chiesa cattolica  chi non appartiene al clero. Nel secondo capitolo della Lumen gentium (”popolo di Dio”) i laici non sono più compresi a procedere dal riferimento al loro rapporto subalterno e costitutivo nei confronti della gerarchia ma compresi a procedere dalla vocazione comune a tutto il ‘popolo di Dio’. Anzi, commenta  Roberto Mancini in “Sperare con tutti", la laicità non si definisce per contrapposizione, perché laici sono tutti, compresi i presbiteri ed i vescovi, in quanto appartenenti al ”laòs”, al “popolo” non contrapposto al popolo profano o pagano, ma in quanto coincide  con esso, poiché tutta l’umanità è chiamata a diventare popolo di Dio in un mondo partecipe della redenzione dell’uomo e che impegna tutti alla responsabilità per la vita comune.
 
... tutto il popolo di Dio...
La laicità non è un’ideologia, ma “consapevolezza che si fa carico dell’universale condizione terrestre, della corresponsabilità, dell’ospitalità, del dialogo come dinamica di gestazione delle decisioni collettive, della giustizia verso chiunque”. Laici dunque  sono coloro  che decidono di farsi carico della condizione umana e di “amare la terra come noi stessi” (E. Bianchi, che a "laici" preferisce "fedeli"), che "abitano ciascuno nella propria patria ma come immigrati che hanno il permesso di soggiorno, dimorano sulla terra, ma sono cittadini del cielo" (Lettera a Diogneto).

... per farsi carico 
della condizione umana...
Mi sovviene l’accusa di Péguy ai cattolici "languidi e senza carne”: Perché non hanno forza e grazia per essere della natura, credono di essere della grazia. Perché non hanno il coraggio temporale, credono di essere entrati nella comprensione profonda dell’eterno. Perché non hanno il coraggio d’essere del mondo, credono d’essere di Dio. Perché non hanno il coraggio di scegliere tra i partiti dell’uomo, credono d’aver scelto il partito di Dio. Perché non amano nessuno, credono di amare Dio”.

... ognuno nel proprio ruolo 
e con la propria responsabilità...
In altre parole ad ognuno di noi spetta la responsabilità del discernimento della nostra esperienza storica concreta: la valutazione dell’appello che Dio rivolge nella situazione concreta e la decisione che ciascuno di noi assume per rispondere a Dio che chiama. Si deve ricorrere alla preghiera, ma anche qui non ci sono ricette per un corretto discernimento: è un atteggiamento di ricerca soprattutto richiesto nel decodificare le zone oscure del nostro quotidiano locale e globale, abituale disponibilità ad accogliere l’imprevisto, habitus mentale intriso di speranza che si impara praticandolo, sapendo che si può sbagliare. Ma è possibile solo  se si ha l’audacia di affrontare il rischio della storia.

... per trovare la strada giusta.

Chi desidera intervenire può andare qui sotto su "commenta come", nel menù a tendina selezionare "nome/URL", inserire solo nome e cognome e cliccare su continua. Quindi può scrivere il proprio contributo sul quale rimarrà il suo nome ed eventualmente, se lo ritiene opportuno, può lasciare la sua mail.

domenica 25 gennaio 2015

Il Giorno della Memoria. La forza di un video.



La potenza dell'arte ci porta dentro altri mondi... 
(Enrico Benaglia, immagine tratta da facebook)
Proponiamo un video ideato e realizzato nel 2003 dagli alunni dell’Istituto d’Arte di Imperia, con la supervisione di alcuni docenti tra i quali non posso esimermi dal citare il mitico prof. Dolmetta. Ho conosciuto in modo non superficiale questa Scuola (che ho diretto in qualità di preside per due anni dal 2002 al 2004) e ancora è ben viva in me – in un intreccio di care memorie e di riconoscente gratitudine -  la caparbia dedizione di tanti docenti e la genuina freschezza e gioia di vivere di tanti/e giovani, anche se costretti a gestire e vivere  non poche difficoltà esistenziali.

La giornata della Memoria...
(immagine ripresa dalla pagina facebook 
dedicata ad Auschwitz Memorial)
Sono loro che hanno costruito, spronati da ben altro che la  legge del 2000, la “giornata della memoria” fuori dal retorico rituale di una celebrazione mistificante  e controproducente, se vissuta come alibi dei  nostri silenzi e delle nostre viltà. Sono  proprio i giovani che ci spronano a non dimenticare ed a comprendere che l’universale grido di dolore che si leva dai campi di sterminio è  struggente invocazione che deve servire non agli ebrei ed a tutte le altre vittime sterminate, ma a noi tutti,  giovani ed anziani, per mettere a nudo il nostro  passato e le nostre responsabilità (la Shoah è anche un crimine italiano, basta pensare alle fascistissime leggi razziste del 38 ed alle loro implicanze), per non chiudere gli occhi sulle stragi  del presente, per non legittimarle con la nostra indifferenza ed il nostro silenzio.

... per non chiudere gli occhi... 
(immagine tratta dalla pagina facebook 
dedicata ad Auschwitz Memorial)
Nota sul video.

Il rischio delle immagini – anche le più crude e terribili che raccontano la Shoah – è  quello dell’assuefazione, della ritualità, del “già visto”.

Qual è la chiave per aprirci all'esperienza terribile del dolore... 
per farci provare com-passione?
Nella pletora delle informazioni, del fluire liquido delle comunicazioni, vi è la reale possibilità che il segno rimanga muto, sepolto nell’insignificanza di ciò che scorre davanti a noi, senza più coinvolgerci.

Come condividere un'esperienza 
tanto lontana?
Il merito di questo breve filmato – che rivela la notevole maturità umana di chi lo ha prodotto – è quello di scrollarci dal torpore, di strapparci dall’estraneità e di trasportarci subito all’interno di un vortice d’ansia, di paura, di angoscia. Nel video non si indugia sulle figure tristemente note della Shoah, anzi vengono anche utilizzate immagini apparentemente lontane da quell'esperienza, eppure noi ci sentiamo portati DENTRO un’emozione, uno stato d’animo, un sentire che rimanda, in qualche modo, all’esperienza tragica del lager.

Come sentirci dentro una storia 
che non abbiamo vissuto?
E proprio l’uscita dall’indifferenza ci può permettere di trovare il senso di una giornata come quella della Memoria.

Si consiglia di mettere in pausa la musica del blog prima di avviare il video.




Chi desidera intervenire può andare qui sotto su "commenta come", nel menù a tendina selezionare "nome/URL", inserire solo nome e cognome e cliccare su continua. Quindi può scrivere il proprio contributo sul quale rimarrà il suo nome ed eventualmente, se lo ritiene opportuno, può lasciare la sua mail.