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Visualizzazione post con etichetta Italo Mancini. Mostra tutti i post
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giovedì 4 agosto 2016

Italo Mancini e il libero sguardo sul mondo.


Post e iconografia di Rossana Rolando (pensando al nostro recente viaggio nelle Marche, in particolare ad Urbino, per noi legato indissolubilmente alla memoria di Italo Mancini - e non per caso la scelta delle immagini è caduta su Raffaello -, proponiamo sul blog l'introduzione del saggio di Rossana pubblicato nella rivista teologica Quaderni di Scienze Religiose, n. 20 anno XII 2003, Errebi Grafiche, Ancona 2004, pp. 72-74).

Raffaello, 
Scuola di Atene, 
particolare,
 Parmenide
Ho conosciuto Italo Mancini nella sua casa urbinate in una giornata invernale colorata di nevischio leggero. Sulla porta nessun titolo, solo il semplice nome. Una grande biblioteca al pian terreno con studenti alacri e silenziosi e Mancini in mezzo. Il mio colloquio con lui rimane uno dei ricordi più significativi della mia vita giovanile. Fui colpita allora – e si parlava del mondo universitario – dalla pensosità del suo parlare che era appassionato eppure anche disincantato, con una vitalità non ammuffita dall’inesausto risiedere fra i libri, ma resa da questo ancor più forte e convincente (nonostante la malattia fosse già incombente). Mi colpì soprattutto l’uomo: a lui è dedicato questo piccolo scritto.

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Raffaello, 
Scuola di Atene, 
particolare, 
 Claudio Tolomeo
Ricorrono, lungo le pagine manciniane, veri e propri tópoi di quello che ho intitolato “libero sguardo sul mondo”. Mancini sembra talora scusarsi delle proprie ricorrenze, ripetizioni di espressioni o di citazioni, ma si tratta di cosa non sgradita al lettore che entra così in una graduale familiarità con l’autore e soprattutto con il nucleo teoretico da cui fioriscono via via allargamenti, aperture, approfondimenti, come nello sviluppo di un tema musicale anticipato e poi indefinitamente ripreso nelle sue mille possibili sfaccettature (1).
E conviene allora individuarli subito questi tópoi sul mondo per meglio chiarire l’angolatura del discorso che si intende qui ricostruire.

martedì 22 marzo 2016

Forme di Cristianesimo: presenza, mediazione, paradosso.

Sul tema dei volti in Italo Mancini 
post 
 
Benozzo Gozzoli, 
Lorenzo il Magnifico, bambino
(Palazzo Medici Riccardi, Firenze)
C'è una dolcezza nella luce/E gli occhi vedono/Felici il sole
L’uomo di lunga vita/Tra i piaceri di tutti i suoi anni/Tanto più penserà/Ai giorni della Tenebra infiniti
Tutto passa in un soffio/Ragazzo goditi la giovinezza/Va’! dove va il tuo cuore/E dove va lo sguardo dei tuoi occhi
Ma sappi che per tutto/ Dio ti giudicherà
E getta via il tormento/Strappati dalla carne il dolore/Perché un soffio è la giovinezza/Nerezza di capelli/Un soffio”
(Qohelet, 11, 7-10, trad. di G. Ceronetti,
cit. in Italo Mancini, Tornino i volti, Marietti, 1989, pp. 30-31).

Sul finire del 900 Italo Mancini si chiedeva: con quale cristianesimo nel terzo millennio si può  procedere, testimoniare, fare comunità?
In un saggio che a suo tempo fece scalpore, e che ha poi raccolto in “Tornino i volti” (pp. 3-31, e sinteticamente in “Tre follie”, ed. Camunia, Mi, 1986 pp. 71-82), esaminava  tre modalità di vivere il Cristianesimo: come cultura della presenza, della mediazione, del paradosso.
Benozzo Gozzoli, 
Il viaggio dei Magi: 
il corteo di Gasparre
(Palazzo Medici Riccardi, 
Firenze)
1. Cultura della presenza. Per cattolicesimo della presenza Mancini intende il modo di vivere la fede cristiana che fa leva sull’essere immediatamente riconosciuti perché visibili: “presenza” integralista ed inadeguata, intesa a creare nel mondo un altro mondo connotato come cristiano; presenza che non è testimonianza gratuita e disinteressata, perché ha “bisogno del nemico e dell’avversario invece di considerare tutti gli uomini fratelli e bisognosi d’amore”, perché considera la fede “un bastone per rompere il capo degli altri, invece di  tremare per l’infedeltà che può coprire il loro cuore e per il dubbio se la parola di Dio parla veramente dove si parla di lei”. Specie i giovani ne sono sedotti, per la “cementazione psichica” e sicurezza anche psicologica che offre loro. Ciò che le manca è la comunione con gli altri, in particolare con gli altri credenti ritenuti di serie inferiore. La sua proiezione culturale è la filosofia-teologia dell’immediatezza dogmatica, senza il travaglio ermeneutico, senza la “fatica del concetto”.

martedì 15 marzo 2016

I volti e l'ethos del futuro. Italo Mancini.

Omaggio ad Italo Mancini
Matthias Grünewald, 
Crocifissione,
particolare
“Nell’età futura (il terzo millennio!) il termine comprensivo di tutto dovrà diventare l’altro e il suo volto, biblicamente il prossimo, e gli si stenderà intorno una cultura di pace, e comincerà ad albeggiare, finalmente, il vangelo”
(I. Mancini, Tornino i volti, Marietti, Genova, 1989, p. 69).

Italo Mancini
Sacerdote, filosofo, teologo, Mancini (1925-1993)  è noto per il suo ampio orizzonte culturale e gli studi su Kant Hegel  Dostoevskij Nietzsche Marx Heidegger Gadamer Ricoeur..., ma soprattutto Bonhoeffer e Lévinas. Ho ripreso in mano in questi giorni i quattro saggi raccolti in “Tornino i volti”. La lettura di un libro è sempre un’avventura ed un’incognita. Lo si apre, si spera che sia come ci si attende che sia, che sazi cioè la nostra fame e plachi la nostra sete; si spera  di trovare e scoprire qualcosa di cui siamo privi – e che  cosa sia non sempre si sa – e magari alla fine il cercare e lo scoprire si concludono in un ritrovarsi e  riscoprirsi.
Italo Mancini, 
Tornino i volti, 
Marietti
Poiché leggere è sempre interpretare e selezionare alcune conoscenze, ci si accorge che il conoscere si può trasformare in un riconoscere: la lettura diventa incontro extratemporale con il mondo (l’autore, idee, valori, persone, personaggi) in una fusione od anche contrapposizione di orizzonti. Ogni buon libro finisce per mettere noi stessi  in questione: un nostro problema, una  nostra presunta certezza, quasi sempre la nostra übris, oppure qualcosa di sopito, di velato,  che reclama  di emergere alla luce. Se tutto ciò fa un buon libro, lo è “Tornino i volti”, in cui ho  riscoperto spunti di sorprendente attualità.


sabato 14 febbraio 2015

Dedicato ai miei insegnanti. Grazie. Video.

A Giulio Girardi,
maestro di vita e di pensiero.

Ai maestri che abbiamo incontrato 
lungo il viaggio della nostra vita 
(Odilon Redon, Barca rossa e vela blu)
Si può essere “maestro indiscutibile di una generazione senza maestri”? 
Il nostro tempo non è che  un susseguirsi di “generazioni senza maestri”. Parlo di maestri “buoni”,  perché dei “cattivi” sono ingolfate le nostre città e le nostre istituzioni, intrise di dilaganti corruzioni, ingiustizie clientelari, diseguaglianze sociali, iniquità formalmente legali, falsità ed ipocrisie smerciate per solidarietà, ciniche seduzioni, manipolazioni contrabbandate come libere determinazioni, promesse mai mantenute, innumerevoli contraddizioni tra  il dire ed il fare…

Ai maestri di cui ci siamo accorti dopo, 
in età adulta... 
(Odilon Redon, Profilo di donna alla finestra)
Eppure è anche il trionfo - silente, nascosto, fecondo - di una fiumana di persone, donne ed uomini, che nel quotidiano hanno testimoniato e testimoniano la loro coerenza e il loro compito consistente nell’onorare il proprio servizio. Per consapevole deformazione professionale penso in particolare ai non pochi insegnanti  di ogni ordine e grado che, nella fatica e concretezza del loro impegno di ogni giorno, sono stati e sono per i loro studenti “maestri di vita e di pensiero”: consapevolezza che emerge  per lo più  quando si è diventati adulti e si vedono cose che prima risultavano invisibili. A tutti questi docenti è dedicato il video che proponiamo, lasciando a mia moglie una riflessione più personale …