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giovedì 25 luglio 2024

La bellezza del “cum” nelle parole.

Post di Gian Maria Zavattaro
Immagini di Victoria Semykina (qui il sito instagram).
              
 La bellezza del “cum”, la solitudine dialogica, 
 l’apertura alla speranza.
 
Victoria Semykina, Senza titolo
All’interno del dibattito su cattolicesimo e cultura, da tempo avviato da Avvenire in Agorà - il cui obiettivo è contribuire a promuovere “un nuovo rapporto tra cattolici e cultura contemporanea”- ho letto l’intervista (7 luglio 2024, p. 21) di Gianni Santamaria al Prof. Ivano Dionigi Riscopriamo con il linguaggio la bellezza del “cum”.
Provo a tentare alcune riflessioni, esplorando il “cum” di Dionigi e sfiorando pertinenti temi, come solitudine silenzio speranza, che ricavo da letture (Borgna) e da persone idealmente a me presenti sin dalla giovinezza (E. Mounier 1905-1950 e Ch. Péguy1873-1914).
Dionigi: “Dobbiamo riscoprire le parole con il ‘cum’. Comunicare deriva da cum-munus: ‘mettere in comune i doni’; cum-testari, contestare, non è andare in giro con i cartelli a fare casino, ma è ‘testimoniare insieme’; cum-petere, competere, non è usare i muscoli, ma ‘andare tutti insieme nella stessa direzione’. “Abbiamo stuprato il linguaggio” (1).
Per Aristotele l’uomo è parola. Don Milani chiama uomo chi è padrone della parola. “Con il rispetto dobbiamo capire la parola di ciascuno”. Tucidide dice di aver capito lo scoppio della guerra del Peloponneso, perché “avevano cambiato il significato delle parole”. "Se oggi ci fosse la parola della politica non ci sarebbe la guerra" (1).
Le parole: “il punto di incontro di tutti”. Oggi però sono sui social degradate a fake news, contro le quali la scuola dovrebbe fornire “non una cassetta, ma un’intera officina di attrezzi”. Social (senza la e finale: il contrario di “sociale”? Si pensi poi ai danni dello smart working e della didattica a distanza … (1)

sabato 1 giugno 2019

Nondimanco, Carlo Ginzburg.

Post di Rosario Grillo.

Stefano Ussi, 
Niccolò Machiavelli nello studio,1894
Si apprendono molte cose dalla lettura dell’ultima fatica di Carlo Ginzburg: Nondimanco. (1)
In mezzo all’intricato percorso per addivenire alla messa a punto di un testo in edizione critica, affiora una sterminata conoscenza della cultura del Rinascimento e, per essa, una serie di rinvii, da Machiavelli a Pascal, dal primo a Galilei e nell’insieme all’Illuminismo.
Ginzburg compie dei viaggi di andata e ritorno, con acute letture intertestuali, guidato da una parola-simbolo: nondimanco. Una congiunzione, caduta in disuso, che squaderna il contrappunto. (2) 
Filosoficamente (logicamente) parlando, esso mette capo alla disposizione alternativa.
Della congiunzione fece abbondante uso Niccolò Machiavelli, differenziandolo da un quasi simile  nondimeno.
Meglio far parlare il fiorentino, per averne un esempio lampante. Dal cap. XVIII de Il Principe “Quanto sia laudabile in uno principe mantenere la fede e vivere con integrità e non con astuzia, ciascun lo intende; nondimanco si vede per esperienza ne’ nostri tempi quelli principi avere fatto grandi cose che della fede hanno tenuto poco conto e che hanno saputo con la astuzia aggirare e’ cervelli degli omini, e alla fine hanno superato quelli che si sono fondati in sulla lealtà”.

martedì 1 luglio 2014

L'accusa di buonismo: ingiuria o comodo pretesto?


Questo post è accompagnato, dal punto di vista iconografico, da alcune note parabole evangeliche. Naturalmente si tratta di un’illustrazione che va al di là del riconoscimento confessionale, volendo attingere a quei significati universali di cui le parabole sono vettrici, indipendentemente dalla fede di ciascuno.


Le parole possono generare fraintendimenti... 
(Domenico Fetti, la parabola 
del seminatore di zizzania)
Di questi tempi è semplice e facile tacitare qualcuno: basta accusarlo di buonismo.  “Sei un buonista!” e con ciò il discorso  si chiude e si  ha ragione, anche quando non la si ha. Si sa che nella vita bisogna essere seri e per essere seri bisogna soprattutto non essere  buonisti (nè tanto meno moralisti). 

.... semi da cui è bene liberarsi ... 
(Duccio di Buoninsegna, 
la parabola della guarigione del cieco)

Ebbene il buonismo non mi entusiasma ma neppure mi dispiace.  Basta ovviamente intenderci sulle parole.

Buonismo è un neologismo relativamente recente (dagli anni 90) e, nei primi tempi almeno, i dizionari non gli assegnavano una valenza negativa: “atteggiamento bonario e tollerante che ripudia i toni aspri del linguaggio politico” (Zingarelli); “ostentazione di buoni sentimenti, di tolleranza e benevolenza verso gli avversari, o nei riguardi di un avversario, specialmente  da parte di un uomo politico; è termine di recente introduzione ma di larga diffusione nel linguaggio giornalistico” (Treccani); “atteggiamento di benevolenza eccessiva e moralistica nei rapporti sociali e di continua ricerca di  mediazione tra posizioni divergenti” (De Mauro).
"Buonismo" può essere 
un atteggiamento di facciata ... 
(la parabola del fariseo e del pubblicano)




Nulla dunque di particolarmente nefasto. Poi invece – un cenno è già in De Mauro - ha assunto progressivamente un significato sempre più negativo, fino a diventare sinonimo di opportunismo accomodante, esagerata e strumentale manifestazione  di buoni sentimenti sovente sconfessata da una condotta incoerente, esternazione vuota e superficiale da esibire in  ogni circostanza, espressione di mancanza di carattere … E così è diventato un ideologico luogo comune, parola “brutta”, “cattiva”, praticamente un’ingiuria ed un’offesa, certo non un complimento.

... può essere, invece, 
l'anticamera della bontà... 
(Giacomo Conti, 
la parabola del buon samaritano)
Che cosa nasconde l’accusa  di buonismo?
Naturalmente c’è sempre un  fondo di verità. Buonismo non è sinonimo di bontà, al più potrebbe esserne l’anticamera. La bontà ha radici profonde, è espressione di una vocazione interiore, di un orientamento maturato attraverso scelte costanti e l’esercizio fedele, frutto di una decisione radicale capace di segnare  definitivamente  e dare senso alla  propria  esistenza proiettata sugli altri. Ne è emblematico paradigma la parabola evangelica del buon samaritano.
Il buonismo invece può essere un atteggiamento sano ed autentico, ma superficiale, istintivo, transitorio, legato più alle circostanze che non alle convinzioni  fondanti della persona: in ogni caso qualcosa di monco, se non prelude alla grandezza della bontà.

... la bontà ha radici profonde ... 
(Pelegrí Clavé i Roquer, 
la parabola del buon samaritano. 
Sullo sfondo il sacerdote che non si ferma a dare soccorso)

Ma il buonismo - quello dei primi dizionari e non certo quello facilone dei giornalisti e dei politicanti – nell’accezione originaria, pur nella sua debolezza e fragile ambiguità, non è né da ridicolizzare né da rigettare a priori quando rivela un possibile cammino verso l’orizzonte della solidarietà, un’apertura magnanima alla comprensione, un volto  paziente e tollerante  che conosce le prove della vita, che  vede con empatia anche i lati oscuri dell’altro e che non è disposto né a giudicare né a condannare, ma a sperare nel positivo nascosto in ognuno di noi.


... la bontà si esprime nella solidarietà... 
(Maximilien Luce, 
la parabola del buon samaritano)
Prendiamo pure le distanze dai buonismi di comodo, di facciata, strumentali, interessati. Chiamiamoli allora con il loro vero nome: ipocrisia, opportunismo, calcolo adulatorio … Credo invece si possa (o si debba?) accogliere con indulgente speranza il buonismo in noi e negli altri: se sono rose fioriranno.
Ma forse l’aspetto più interessante  è  che troppo spesso l’accusa di buonismo è un modo per nascondere qualcosa di se stessi:  una sorta di formazione reattiva, difesa aggressiva, quasi un’excusatio non petita, della nostra aridità spirituale che non sopporta l’altrui tolleranza, subito bollata come ipocrita debolezza; un modo eloquente per nascondere la neghittosità e povertà, proiettandola  su altri. Penso ad  esempio a quanti con faciloneria o stupida disumanità accusano oggi  di buonismo (con l’aggiunta di qualche aggettivo qualificativo come irresponsabile, pericoloso…) la disponibilità ad accogliere in ogni caso gli immigrati che fuggono a migliaia dall’orrore e dalla miseria.
L'accusa di buonismo... 
(E.J.Poynter, 
la parabola del figliol prodigo)
... nella parabola del figliol prodigo ... 
(Guercino) 
... può essere rappresentata dal figlio maggiore... 
(Rembrandt, la parabola del figliol prodigo, 
il figlio maggiore sulla destra)
Ecco: dimmi  chi sei e che cosa fai e poi capiremo se  non fai altro che nascondere la tua mediocrità e la tua indifferenza dietro l'accusa di ”buonismo”, rassicurante e comodo pretesto che, a ben vedere, finisce per ritorcersi contro chi lo pronuncia.

Il vero volto della bontà... 
(Maestri olandesi, 
la parabola del buon samaritano)

giovedì 27 marzo 2014

La parola. Filastrocca.


... la parola è come una luce ...

 … i ragazzi più violenti possiedono strumenti linguistici 
scarsi e inefficaci … 
non sanno nominare le proprie emozioni.
(Gianrico Carofiglio)


La parola è come una freccia ....

... la parola è come un vortice ...

... la parola è come un occhio che vigila ...

... la parola è come un codice ...

... la parola è come vento ....
La parola è un segno,
indica, rimanda, allude,
sta per qualcos’altro,
è come una freccia.

La parola dice un significato,
suscita un'idea, rinvia a un’immagine, 
racchiude il concetto di una cosa,
è come uno scrigno.
 
La parola dà il nome agli oggetti,
li cataloga,
se ne appropria,
è come un codice.

La parola fa esistere le cose,
le svela per quello che sono,
le rende manifeste,
è come una luce.

La parola unisce e divide,
offende e difende,
rivela e nasconde,
è come un'arma a doppio taglio. 

La parola promette e minaccia,
assolve e condanna,
ama e odia,
è come madre e matrigna.

La  parola è fidata e tradita,
è voce ed è chiacchiera,
è musica, è vuoto, è nulla,
è come il vento.

La parola è feconda di azioni,
ispira progetti,
annuncia sogni,
è come un messaggero.

La parola denuncia e si oppone,
persiste e resiste,
non tace,
è come un occhio che vigila.

La parola persuade,
suggestiona,
seduce,
è come un vortice.
 ...

Più si hanno parole
Più si possiedono significati
Più si hanno idee
Più si è ricchi

Meno si hanno parole
Meno si possiedono significati
Meno si hanno idee
Più si è poveri


... più parole ... più sfumature ... più ricchezza ...

.... meno parole ... più vuoto ...  più povertà ... 
Poche parole e poche idee, poche possibilità 
e poca democrazia: 
più sono le parole che si conoscono, 
più ricca è la discussione politica e, con essa, 
la vita democratica.
(Gustavo Zagrebelsky)

I limiti del mio linguaggio significano i limiti del mio mondo.
(Ludwig Wittgenstein)



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