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Visualizzazione post con etichetta solitudine. Mostra tutti i post
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giovedì 25 luglio 2024

La bellezza del “cum” nelle parole.

Post di Gian Maria Zavattaro
Immagini di Victoria Semykina (qui il sito instagram).
              
 La bellezza del “cum”, la solitudine dialogica, 
 l’apertura alla speranza.
 
Victoria Semykina, Senza titolo
All’interno del dibattito su cattolicesimo e cultura, da tempo avviato da Avvenire in Agorà - il cui obiettivo è contribuire a promuovere “un nuovo rapporto tra cattolici e cultura contemporanea”- ho letto l’intervista (7 luglio 2024, p. 21) di Gianni Santamaria al Prof. Ivano Dionigi Riscopriamo con il linguaggio la bellezza del “cum”.
Provo a tentare alcune riflessioni, esplorando il “cum” di Dionigi e sfiorando pertinenti temi, come solitudine silenzio speranza, che ricavo da letture (Borgna) e da persone idealmente a me presenti sin dalla giovinezza (E. Mounier 1905-1950 e Ch. Péguy1873-1914).
Dionigi: “Dobbiamo riscoprire le parole con il ‘cum’. Comunicare deriva da cum-munus: ‘mettere in comune i doni’; cum-testari, contestare, non è andare in giro con i cartelli a fare casino, ma è ‘testimoniare insieme’; cum-petere, competere, non è usare i muscoli, ma ‘andare tutti insieme nella stessa direzione’. “Abbiamo stuprato il linguaggio” (1).
Per Aristotele l’uomo è parola. Don Milani chiama uomo chi è padrone della parola. “Con il rispetto dobbiamo capire la parola di ciascuno”. Tucidide dice di aver capito lo scoppio della guerra del Peloponneso, perché “avevano cambiato il significato delle parole”. "Se oggi ci fosse la parola della politica non ci sarebbe la guerra" (1).
Le parole: “il punto di incontro di tutti”. Oggi però sono sui social degradate a fake news, contro le quali la scuola dovrebbe fornire “non una cassetta, ma un’intera officina di attrezzi”. Social (senza la e finale: il contrario di “sociale”? Si pensi poi ai danni dello smart working e della didattica a distanza … (1)

domenica 13 agosto 2023

La porta per uscire.

Post di Gian Maria Zavattaro.
Illustrazioni di Giulia Pintus (qui il sito instagram)
 
Giulia Pintus, L'anima della festa
Nessuno è solo
“In questo stesso istante c’è un uomo che soffre,
un uomo torturato solo perché ama la libertà.
Ignoro dove vive, che lingua parla,
di che colore ha la pelle, come si chiama,
ma in questo stesso istante, quando i tuoi occhi leggono
la mia piccola poesia, quell’uomo esiste, grida,
si può sentire il suo pianto di animale perseguitato
mentre si morde le labbra per non denunciare
i suoi amici. Lo senti?
Un uomo solo grida ammanettato,
esiste in qualche posto.
Ho detto solo? Non senti, come me,
il dolore del suo corpo ripetuto nel tuo?
Non ti sgorga il sangue sotto i colpi ciechi?
(José Augustin Goytisolo,1928-1999, poeta e scrittore spagnolo del “Gruppo catalano”, traduttore di Pavese, Quasimodo, Pasolini).
 
In questo nostro mondo miliardi di persone viventi formano un tentacolare gigantesco turbinio, stranamente affascinante e conturbante: intreccio ambivalente  di anonime storie di solitudini e di quotidiani gesti di fraternità, compresenza di tante disperazioni individuali e di altrettante speranze,  misterioso  spettacolo di  vortici di lutti e di gioie spensierate. Umanità  che si agita in balia  di una febbre oscura dove tutto passa: guerra, pace, amore, rabbia, speranza, disperazione…
Eppure, a ben vedere, ognuno di noi  può sempre aprire squarci di luce, ritagliare spazi e tempi dove  incontrare volti non anonimi, tendere mani  per insieme sperare. 

lunedì 30 agosto 2021

In dialogo con la solitudine.

Post di Gian Maria Zavattaro.
Immagini dei dipinti di Enrico Ganz (qui, il sito).

Enrico Ganz, Uomo solo
La solitudine è comunione, apertura agli altri e non c’è comunicazione che non abbia come premessa la solitudine che dia ali alle parole e le riempia di contemplazione e di silenzio. La solitudine nasce dall’interiorità ed è uno stato dell’anima che si costituisce come momento diastolico della vita: come dimensione essenziale di ogni relazione fondata sull’alterità. E’ un’esperienza interiore che ci aiuta a dare senso alla vita di ogni giorno e ci consente di distinguere le cose essenziali da quelle che non lo sono … Nella solitudine e nel silenzio che sono in noi avvertiamo l’importanza della riflessione e meditazione, delle attese e delle speranze alle quali ispirare i nostri pensieri e le nostre azioni. Solo così è possibile sfuggire all’egoismo e alla mancanza di amore, alla noncuranza e all’indifferenza, tentazioni che non ci consentono di realizzare i valori autentici della vita: la comunione e la donazione, la partecipazione al destino degli altri e l’immedesimazione nella gioia e nelle sofferenze degli altri. Valori che realizziamo solo se riusciamo a tenere viva nel cuore una solitudine aperta al mondo della vita” (E. Borgna,  In dialogo con la solitudine, Einaudi, To 2021, pp. 94-95).
 
“La solitudine è l’anima nascosta e segreta della vita, ma come non avere la sensazione che oggi nel mondo della comunicazione digitale sia grande il rischio di naufragare nell’isolamento? L’espressione della pandemia, che ancora permane, ha posto tutti di fronte al significato della solitudine…” (1).
 
In questo nostro mondo sorpreso dal covid ogni giorno assistiamo ad un tentacolare conturbante intreccio di innumerevoli solitudini, isolamenti e gesti di fraternità - compresenza di speranze e disperazioni - vortici di sconvolgenti tragedie e babelici incuranti divertimenti: umanità che si agita in balia di una febbre dove “tutto passa e sia rabbia, amore o demenza tutto passa, con volo fulmineo, varca i limiti cupi d’ogni coscienza e tutto si  presenta e si indovina prima che affondi in cuore, come spina dritta, d’un colpo solo” (2).

sabato 15 agosto 2020

Solitudini di ferragosto.

Post di Gian Maria Zavattaro 
Immagini di Fabio Delvò, con gentile autorizzazione (qui il sito)
 
”Segui i desideri del tuo cuore e lo stupore dei tuoi occhi.
 Sappi, però, che per tutto Dio ti convocherà in giudizio.” (Qohelet)


Fabio Delvò, 
Solitudine
Siamo soli, cantava Vasco: è vero! La solitudine, con implicanze e costi assai diversi, riguarda ognuno di noi anche in questi giorni di ferragosto. Ma “solitudine” è parola equivoca e significa diverse e divergenti realtà:
✴️ a- Solitudine come dimensione asociale (isolamento, abbandono) oppure antisociale (dannazione, stigmatizzazione, emarginazione dei malati vecchi stranieri migranti nel binomio indissolubile solitudine-povertà).
✴️ b- Solitudine che rimanda alla storia personale e sofferenze psichiche di ciascuno,  fino a sconfinare nella patologia e/o in morbosi egocentrismi.
✴️ c- Solitudine legata all’identità irripetibile di ognuno di noi, segno di interiorità, mezzo  per trovare se stessi e andare oltre se stessi, polarità costruttiva della dimensione sociale, condizione di autentica relazione con l’altro (il tu) che non ha il suo punto di partenza nel monologo ma nel dialogo, nella fraternità, nell’apertura all’amore tanto che “un buon matrimonio è quello in cui ognuno dei coniugi affida all’altro il compito di vegliare sulla sua solitudine” (R.M. Rilke).
E’ a ferragosto che la solitudine si rivela in tutte le sue contraddizioni,  alla faccia del coronavirus a cui  ormai abbiamo fatto il callo, tanto che molti di noi - troppi - non ci fanno più caso.

lunedì 18 maggio 2020

Elogio filosofico della distanza.

Post di Rossana Rolando
Immagini dei disegni di Emiliano Bruzzone (qui il sito).

Emiliano Bruzzone, 
Schopenhauer
Da più parti, anche in questo tempo di emergenza virus, è stato ripreso il racconto dei porcospini contenuto nell’ultima parte di Parerga e paralipomena di Schopenhauer. In esso si loda una moderata distanza come modalità di relazione ragionevole e consigliabile per rispondere alla doppia esigenza di calore da una parte e di difesa dall’altra. Ed ecco l’aneddoto.

Alcuni porcospini, in una fredda giornata d’inverno, si strinsero vicini, vicini, per proteggersi, col calore reciproco, dal rimanere assiderati. Ben presto, però, sentirono le spine reciproche; il dolore li costrinse ad allontanarsi di nuovo l’uno dall’altro. Quando poi il bisogno di riscaldarsi li portò a stare di nuovo insieme, si ripeté quell’altro malanno; di modo che venivano sballottati avanti e indietro fra due mali, finché non ebbero trovato una moderata distanza reciproca, che rappresentava per loro la migliore posizione. Così il bisogno di società, che scaturisce dal vuoto e dalla monotonia della propria interiorità, spinge gli uomini l’uno verso l’altro; le loro molteplici repellenti qualità e i loro difetti insopportabili, però, li respingono di nuovo l’uno lontano dall’altro. La distanza media che essi riescono finalmente a trovare e grazie alla quale è possibile una coesistenza, si trova nella cortesia e nelle buone maniere.¹

giovedì 9 aprile 2020

La quarantena che stiamo vivendo.

Post di Gian Maria Zavattaro.

Fotografie dal deserto, 
autore Charlie Fong
“La passione di  Cristo in sé riassume la lunga striscia di sangue, di violenza, di odio, di dolore disseminata nella storia. L’appuntamento pasquale che la liturgia ci propone si vela, perciò, di lacrime: ci sembra di essere ancora nella Passione, una lunga serie di ore di sofferenze di torture che il Cristo ha vissuto e continua a vivere nel corpo martoriato dei suoi fratelli. Sono vere le parole del grande Pascal: Gesù sarà in agonia fino alla fine del mondo; non bisogna dormire fino a quel momento (Pensieri 736)” (1).
“Diamoci appuntamento nella categoria della speranza,  che non è rimozione del dramma o attesa statica del lieto fine,  ma certezza di vedere il passaggio di Dio” (2).

Non so come andrà a finire, ma  so che vorrei condividere con mia moglie e tutte le persone a me care la memoria della speranza quaresimale in questa quarantena che stiamo vivendo non più come interregno ma come imprevisto indesiderato appuntamento di un possibile affrancamento da un’esistenza di “routine”, come esperienza di un dover e poter essere altrimenti, come prova generale - singola e collettiva - di nuovi modi di vivere, di relazionarci con noi stessi e gli altri, di rapportarci con il mondo e, per me credente, di sentire la quotidiana presenza di Dio. Con la consapevole certezza che tutti, volenti o nolenti, siamo allo spartiacque di una scelta: cogliere o rifiutare un imprevisto tempo di inattesa passione, espletata nell’interdizione o isolamento o romitaggio o clausura. Tempo che hic et nunc ha richiesto un cambio di direzione, che non consente a nessuno di proseguire nel cammino di comportamenti abituali, che costringe a nuove consapevolezze e richiede a tutti, a ciascuno di noi  - come costrizione o libera dedizione nel dono di se stessi - di condividere il peso di altri fratelli.

sabato 19 agosto 2017

Solitudine e aiuto.

🖊 Post di Rosario Grillo 
🎨 Immagini delle opere di Edvard Munch (pittore norvegese vissuto tra il 1863 e il 1944).

Edvard Munch, Notte a Saint Cloud
“La solitudine è una regressione. L’ultimo, infelice luogo in cui nascondersi” (Fulvio Ervas, Invisibili, p. 53)
Fulvio Ervas è uno scrittore di storie romanzate: storie vive, dove il confine tra la realtà e l’immaginazione è labile. Perché l’ingrediente che vi predomina è la speranza.
Così l’espressione di partenza non resta confinata sul piano di definizione più o meno scontata e/o per larga parte astratta. Fa parte, invece, di una storia che ha scritto per il volume collettaneo, Invisibili, dove ha descritto la metamorfosi connessa al cambiamento di contesto socio economico di un certo Alvise.
Risolto con la stella polare della Speranza.

mercoledì 29 aprile 2015

Vegliare sulla solitudine dell'altro.


Il testo è di F. L. Sully - Prudhomme , 1839-1907, 
premio Nobel per la Letteratura nel 1901.
La solitudine riguarda tutti.
I volti della solitudine.  
Le sconfinate solitudini ed incomunicabilità tra gli uomini sono realtà consistenti, che affondano le loro radici nel travaglio della nostra società, perché sono gli uomini a crearle. Portano le stigmate della storia ed esprimono  la sofferenza di ogni singola persona. Pur con intensità, implicanze e  costi assai diversi la solitudine  riguarda tutti, ma soprattutto coloro che soffrono la  perdita di contatto sociale e sono abbandonati a se stessi (a causa dell’età, della malattia, della morte dei familiari),  coloro che sono costretti a  condizioni di sfruttamento, di povertà, di miseria,  ed anche di intima disperazione ed abiezione: ferite laceranti, silenziose insopportabili grida che non provengono da qualche misterioso ineluttabile destino, ma da meccanismi di esclusione e di marginalizzazione dovuti a mani umane.

La solitudine ha radici e 
responsabilità umane.
La solitudine come condizione umana.
Solitudine” tuttavia può significare diverse e divergenti realtà. Il pendolo oscilla tra la solitudine contraria al nostro bisogno di rapporti umani (isolamento, abbandono o, peggio, derelizione e dannazione) e la solitudine come dimensione e condizione necessaria del ritrovamento esistenziale del senso, polarità costruttiva della dimensione sociale.
La solitudine dunque è legata alla  struttura della società in cui viviamo, ma è anche volto ineliminabile della condizione umana e, come tale, è soggetta ad una perenne ambivalenza.


L'ambivalenza della solitudine.
I suoi rischi e possibilità sono l’incomunicabilità e l’intimismo oppure il riconoscimento di sé e degli altri nella decifrazione del rapporto con la solidarietà.


I rischi.  L'incomunicabilità e la frattura-lacerazione nei confronti delle altre persone sono una tentazione ed una prova per tutti, un’eventualità che può cogliere ognuno di noi ed invadere il campo della coscienza: ripiegamento su se stessi, amarezza, angoscia repressa perché comunque da soli non ci si sente di  esistere, terrore paralizzante del vuoto, percezione della propria esistenza come inutile ed assurda in un mondo greve di inesorabile minaccia. Può essere solo un momento passeggero della vita, una delle tante notti dell’esistenza; e poi la vita riprende, prorompe il grido, l’invocazione, l’implorazione che la vita torni a dare un senso, che magari un volto amico giunga, perché c’è sempre un margine di comunione e non è mai la disfatta della speranza. 

 

Le possibilità. La solitudine come volto nascosto e tempo dell’interiorità, segno del non esprimibile e del non comunicabile proprio di ogni persona nella sua originalità e singolarità. L’interiorità fa parte dell’uomo e non è fuga dal reale, dall’azione e dalla responsabilità. Ci si apparta per riappropriarsi di se stessi e per interrogarsi sul senso delle proprie scelte  e sulla qualità dei valori che le ispirano.


Si esce dall’esistenza immediata, si pone tra sé ed il tumulto di ogni giorno la distanza della riflessione, ci si libera dalle distrazioni che rubano il nostro tempo libero, dalle nostre paure, dalle ansie, dai miti e dai falsi assoluti con cui si  tenta di accaparrare la nostra coscienza.



Introdurre il silenzio dentro di noi  è condizione per la meditazione, il raccoglimento, l’accoglienza, l’ascolto, il discernimento; è “vertigine della profondità”,  dalla quale emerge lentamente la capacità di capire l’altro, il “tu” come fosse “me” stesso, in un legame senza infingimenti o nascondimenti. Solitudine e comunione sono entrambe protagoniste della nostra tensione verso gli altri, il mondo e la vita, riconoscendo il limite strutturale di ogni comunicazione e mettendo in comune il proprio ed altrui ”incompimento”.

L’altro si rivela mistero inaccessibile per me; pure io sono mistero a me stesso, non mi conosco compiutamente, non so chi sono nei miei abissi inesauribili. Non si tratta di separazione o di  evasione, è ricerca "inconclusiva", impegno ad aprirsi senza riserve agli altri. E così  mi pare sensata e bella l’affermazione di M. Rilke: “Un buon matrimonio è quello in cui ognuno dei coniugi affida all’altro il compito di vegliare sulla sua solitudine”.


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giovedì 10 aprile 2014

L'immagine e lo specchio.

Dicono che ogni favola abbia una sua “morale”, 
esplicita od implicita. 
Quella esplicita? Non la conosco. Quella implicita? Se c’è, chi legge la ricavi.

Gian Maria contemplò soddisfatto 
la sua immagine nello specchio ... 
Il suo IO era solido ...

Gian Maria si era preso due ore di permesso, deciso a festeggiare l’aria della primavera girando a zonzo per la città senza una meta stabilita e lasciandosi guidare dalle circostanze. Come d’abitudine, si alzò prestissimo, fece tutto ciò che si deve fare per rendersi presentabile al pubblico ed  in ultimo, prima di uscire,  si contemplò allo specchio, soddisfatto della sua immagine, né bella né brutta, ma solida ed onesta, almeno così la vedeva. Di buon mattino camminava lungo la marina per godere a lungo la meraviglia del sorgere del sole, che a sorpresa nell’alba rosseggiante spuntava dall’orizzonte marino e si librava sul  mare infuocando il cielo, mentre i colori trasecolavano in tenui sfumature, per poi perdersi nell’azzurro splendente.

... camminò lungo il mare ... 
il suo IO era tutt'uno coi colori ... 
... con tutto il creato ...
Ferie o non ferie, era l’appuntamento quotidiano che non cessava di stupirlo ed al quale non intendeva assuefarsi, lui montagnino, immerso nella visione dell’isola, delle barchette sperdute nella bruma delle onde, incantato dal suono cadenzato della risacca che pareva fermare per qualche istante  lo scorrere del tempo. Non era il momento della parola: era il tempo panico delle beatitudini, della lode e del ringraziamento, prima dell’immersione nella frenesia giornaliera. 
  
... l'ALTRO venne a turbare quell'armonia... 
l'ALTRO era quel vecchio silente ...
Passò un’ora: ancora pochi passanti, auto frettolose sull’asfalto, due pescatori sul molo, con le loro canne pazienti in attesa di un insperato bottino; un anziano in panchina a contemplare il mare o forse il suo passato. Per un po’ gli si sedette accanto, senza parole, a ripensare anch’egli i suoi trascorsi. Un ultimo sguardo al vecchio silente ed al mare sommesso e subito, appena raggiunto il viale alberato, il primo impatto: lo straniero,  giovane, scuro di pelle, occhi ardenti e sfuggenti, a tracolla il borsone di cianfrusaglie. “Ciao. Ho fame, hai un euro? ”. “Senti, se vuoi ti offro un caffè ed una brioche, lì al bar; soldi no”. Ma il giovane, sgraziato, era già scomparso.


... l'ALTRO era il solito straniero 
che chiede soldi ...
Bar e caffè andavano popolandosi, secondo codici non scritti: il “baretto” per gli anziani, il caffè dei notabili e quelli con la puzza sotto il naso, il bar preferito dagli stranieri,  il caffè per i frettolosi o i golosi. Il suo codice gli suggerì il bar degli anziani, dove era di casa; salutò i pochi avventori immersi nella lettura del giornale, due battute  con il simpatico gestore, un caffè veloce e via.   Ragazzi e ragazzini, donzelle e donzellette, a frotte, si affrettavano lentamente  verso la scuola, carichi  dei loro non lievi zaini, una puntata rapida in  focacceria,  ciarlieri, zitti, scherzosi,  musoni. Nei pressi delle elementari e della media le vie erano al solito intasate dalle auto dei genitori: baci ed abbracci, i clacson a strombettare, i vigili a sbracciarsi, la campanella che suonava. Poi il ritorno al traffico normale, qualche alunno ritardatario insieme al solito impunito insegnante e la ragazzina, furtiva, che marinava la scuola.

... l'ALTRO era quel mondo di bambini 
dal futuro incerto ...

Più avanti,vicino alla Conad, una signora molto anziana rimestava tra i cassonetti degli scarti. Forse che i gigli - ricordando De André - non possono nascere dal letame?  
 
... l'ALTRO era quella imbarazzante immagine 
della signora che rovistava nel cassonetto ... 
davvero eccessiva ... 
con buona pace di De André...
Bighellonò qua e là, a contemplare le aiuole fiorite, le prime api (o vespe?) ronzanti, la piazza del Popolo semideserta ed il caos intorno. Si fermò davanti alla sede della Caritas, affollata di persone ognuna con il fardello delle proprie miserie e speranze ed incrociò, senza essere visto, il nuovo sindaco, in jeans, lì a parlare o meglio ascoltare alcune donne velate con i loro marmocchi  e ora assentiva ora  rassicurava sempre sorridendo ai bimbi, spandendo fiducia e speranza.

... l'ALTRO era la donna velata ... 
simbolo di una cultura lontanissima ...
Davanti alla chiesa, mentre uscivano le pie donne dalla messa mattutina, stazionava la giovane zingara petulante, mano protesa. Dulcis in  fundo, al posteggio delle auto un attempato signore disabile inutilmente clacsonava, in lacrime, di fronte al posto usurpato dallo sciacallo di turno. Era la primavera in città.

... l'ALTRO era quel  signore disabile ... 
sorta di rimprovero continuo...
Velocissime si appropinquavano le dieci  e Gian Maria affrettò il passo verso il lavoro. Quante persone aveva incrociato, ognuna con la sua storia, la sua solitudine, le sue speranze, i suoi tormenti! Le avrebbe mai riviste?  Che senso aveva  questo casuale incontrarsi? Entrò in ufficio e si recò in bagno per rinfrescarsi. Poi si guardò allo specchio. 

... si guardò allo specchio e rimase esterefatto 
...la sua immagine non era più così solida ... 
non era più UNA ...
... era l'anziano che contempla il suo passato ...
... era tutta l'angoscia, la sofferenza 
che aveva visto ...
... era la gioia dei bambini ...
Esterrefatto, rimase senza parole: nessuna immagine solida ed onesta, ma la vorticosa sfilata dell'irripetibile umanità che quel giorno aveva incrociato: l’anziano silente, i pescatori,  il ragazzo straniero, l’amabile barista ed i suoi lettori, la marea di studenti e studentesse, i  genitori intasati, la ragazzina guardinga, la signora che cercava gigli, il sindaco tra la gente con i marmocchi, le pie donne, la zingara, il signore piangente … Scosse ripetutamente il capo, sbatté le palpebre per cacciar via la visione allucinatoria. Davvero quei fugaci incroci non avevano lasciato segni? E solo gli venne  da pensare che  domani sarebbe stato un altro giorno.


... era l'IO nell'ALTRO ...
... era l'ALTRO nell'IO.
  
C’è una morale? Forse sì, forse no. Chi lo sa! 
Ad ognuno di noi trovarla…


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giovedì 21 novembre 2013

La folla e la febbre della solitudine





Le masse inurbate e le grandi città...
 
In questo nostro mondo  le masse inurbate e le città (Albenga c’entra solo di rimessa; penso soprattutto, per restare in Italia, ai milioni di italiani che abitano a Milano, Roma, Napoli, Palermo, Torino…)  formano un tentacolare gigantesco essere, stranamente affascinante e conturbante. 

E’ l’intreccio ambivalente  di anonime storie di solitudini e  di quotidiani gesti di fraternità, la compresenza di tante disperazioni individuali e di altrettante speranze sociali, il misterioso  spettacolo di nascoste vibrazioni  e  di clamori assordanti, vortice di lutti  e di gioie spensierate, di presentimenti inconsci e di consapevoli lucide passioni. 


... un intreccio ambivalente ....

E’ l’anima  di un’umanità  anonima che  si  agita in balia  di una febbre oscura dove  “tutto passa: e sia rabbia, amore o demenza” e “varca i limiti cupi d’ogni coscienza”.  


... di anonime storie di solitudini ...

Eppure, a ben vedere, nonostante il pessimismo del poeta che scrive più di cent’anni fa, sempre, ed ancor più oggi,  ognuno di noi poteva e può aprire ampi squarci di   luce, costruire  spazi  e ritagliare tempi dove  incontrare volti non anonimi, tendere mani  per insieme sperare.   


... e di squarci di luce ...




La folla

“Nelle città d’ebano e d’ombra, dove

splendono fuochi magici, e si muove,

brulicante ed enorme,

coi suoi pianti, i suoi frutti, i suoi blasfemi,

la folla, a grandi torme;

nelle città che a volte

tra sanguigne rivolte un cupo orrore

d’un tratto empie e terrifica,

sento che in me, improvviso, si esalta e si magnifica

e brucia di fermenti, moltiplicando, il cuore.

La febbre, allora, con le sue frementi

mani mi spinge via,

come un ciottolo inerte, e mi incammina,

così, lungo una china,

all’odio, alla follia.

Ogni calcolo cade ed è soppresso:

sussulta il cuore e balza, d’improvviso.

verso la gloria o verso tutti i mali;

ed io mi sento come se, diviso

da me stesso, trascorra oltre me stesso

verso il brutto richiamo di forze universali.

E tutto passa: e sia rabbia, amore o demenza,

tutto passa, con volo

fulmineo, varca i limiti cupi d’ogni coscienza:

e tutto si  presenta e s’indovina

prima che affondi in cuore, come spina

dritta, d’un colpo solo”.

(Emile Verhaeren 1855-1916, da Orfeo, trad. G. Regini, Fi, Sansoni).

Tutte le immagini riproducono opere di Georges Seruat. 

 Chi desidera intervenire può consultare il post del 22/10/13 oppure semplicemente andare qui sotto su "commenta come", nel menù a tendina selezionare "nome/URL", inserire solo nome e cognome e cliccare su continua. Quindi può scrivere il proprio contributo sul quale rimarrà il suo nome ed eventualmente, se lo ritiene opportuno, può lasciare la sua mail.