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martedì 27 ottobre 2020

Scienza e covid.

Post di Rosario Grillo
Immagini delle illustrazioni di Marco Melgrati (qui il sito).

Marco Melgrati, Tempi duri per i viaggiatori
Dico un’eresia se sostengo che nella incertezza di questo frangente storico caratterizzato dall’insidia del Covid 19 è messa sotto accusa la scienza? Sì, certo, prima di tutto la tecnica. A ragione, in quanto ha cullato la pretesa antropocentrica di soggiogare la natura. Ma, la scienza?!

Provate solo ad immaginare, in un baleno, il supporto che la conoscenza scientifica ha rappresentato nel cammino dell’uomo!

Eppure, alla scienza si imputa oggi, da un discreto numero di persone con voce blandamente ponderata, l’imprecisione, e con essa l’incapacità di dare risposta alla esigenza odierna di sicurezza. Comitato scientifico, sapere medico, che è - va ricordato - ramo della pianta scientifica, sono sul banco degli imputati, prescindendo dalla contraddizione in cui si cade, quando, figli del progresso scientifico, ci volgiamo contro un progenitore.

La risposta all’interrogativo richiede, così stando le cose, un esame sulle credenziali epistemologiche delle proposizioni scientifiche. La scienza si è conquistata con sacrifici il ruolo che riveste, liberandosi da compagnie improprie (occultismo, magia, superstizione) e da ingerenze indebite (dogmatismo spesso a sfondo teologico). Ha saputo anche uscire dalle “grinfie” dello scientismo: effetto della distorsione positivista.

mercoledì 21 ottobre 2020

Valutazione impossibile nella scuola a distanza.

Post di Gian Maria Zavattaro.

Le intense illustrazioni sull'isolamento sociale sono di Ly - Losing You (qui il sito instagram).

Ly - Losing You, Ombra

Tutti concordiamo nel ritenere che la scuola a distanza sia un male minore. Appunto: si tratta di un male, negativo anche nella costrizione dei tempi più infelici del covid, perché la scuola cessa di essere quel che deve essere: luogo per crescere, capire il mondo, se stessi, gli altri; luogo della continuità del tempo in cui avviene il passaggio, graduale negli anni, dalla insignificanza al significato, nelle imprevedibili diverse intensità delle varie ore di lezione e discipline che fanno della scuola un avvenimento vivo, apertura senza sosta del cuore e dell’intelligenza alla complessità sociale a partire dalla relazione anche dialettica docenti/alunni, a tutte le conoscenze, agli incontri, ai progetti di vita…; luogo in cui si crea la comunità educante inclusiva delle diversità tra la passione di insegnare e le variegate reazioni dell’apprendere; luogo in cui “la scuola siede fra il passato e il futuro e deve averli presenti entrambi”(d. Milani).

Invece oggi la Scuola, presto costretta alla distanza, rischia di cedere alla tentazione del non-luogo, dove si danno virtuale appuntamento, senza mai veramente incontrarsi, persone slegate da un luogo reale di relazioni stabili.

domenica 18 ottobre 2020

Siamo ombra profonda, Giordano Bruno.

Post di Rossana Rolando.

Giordano Bruno, stampa d'epoca

Vivo tra forme luminose e vaghe/che ancora non son tenebra./[…]

Nella mia vita son sempre state troppe le cose;/Democrito di Abdera si strappò gli occhi per pensare;/il tempo è stato il mio Democrito./Questa penombra è lenta e non fa male;/scorre per un mite pendio/e somiglia all’eterno. 

(Jorge Luis Borges, Elogio dell’ombra)¹.

Il tema dell’ombra attraversa i mondi della cultura: dall’arte alla letteratura, dalla musica alla poesia.

Anche in ambito filosofico l’ombra ha avuto una sua storia, non sempre celebrativa.  Platone ha concepito le ombre, nel suo mito della caverna, come il grado meno affidabile della conoscenza, frutto di inganno e talora anche di manipolazione². C’è però chi ha colto nell’ombra l’immagine di cui si nutre la conoscenza. Mi riferisco a Giordano Bruno che al tema ha dedicato un suo scritto denominato Le ombre delle idee. Apparentemente si tratta di un’opera sulla mnemotecnica, in realtà è un invito alla conoscenza e alla scoperta della potenza della mente:

“L’intelletto, come questo sole sensibile, non smette di spargere la sua luce a causa del fatto che non sempre, né tutti, ce ne accorgiamo”.³

martedì 13 ottobre 2020

Covit e coscienza del limite.

Post di Gian Maria Zavattaro

Immagini di Fabio Delvò (qui il sito).

Fabio Delvò, Italia e coesistenza pandemia
1.“Durante la nostra esistenza sperimentiamo innumerevoli confini che ci definiscono, segnalando discontinuità, barriere da infrangere, divieti da osservare, soglie reali o simboliche. I limiti ci circondano e ci condizionano da ogni lato e sotto ogni aspetto, a iniziare dagli immodificabili dati della nostra nascita (tempo, luogo, famiglia, lingua, Stato), dall’involucro stesso della nostra pelle, dagli orizzonti sensibili, intellettuali ed affettivi del nostro animo per finire con il termine ultimo della morte”.

2.”La ripetuta e vittoriosa esperienza del varcare ogni genere di confini (geografici, scientifici, religiosi, politici, ambientali e, recentemente, perfino biologici) avrebbe pertanto finito per generare una sorta di delirio di onnipotenza, di vertiginosa autoesaltazione spinta al punto di negare che, in linea di principio, esistano limiti invalicabili” (R. Bodei, Limite, Il Mulino, Bo, 2018,p.7 e p.8).

Il covid ha demolito, se non spazzato via, l’illusione di poter trasgredire impunemente ogni genere di limiti o di regole. Non ci salveremo dal covid - alla faccia dei negazionisti la cui insensatezza non fa altro che confermare ciò che vorrebbero negare - senza riconoscere i nostri limiti (la mortale caducità delle vite umane e non in astratto, ma la mia, la tua, la nostra¹) senza l’accettazione, libera o costretta, delle regole di comportamento, senza la diffusa consapevolezza dell’inderogabile necessità della corresponsabilità, necessario habitus dell’interagire sociale. A questa tardiva recalcitrante consapevolezza si oppone tuttavia ancora in troppi individui (e mestatori vari) di ogni età, oltre il delirante negazionismo, la presunzione di una conclamata libertà senza limiti che non riconosce margini od obblighi verso chicchessia.

martedì 6 ottobre 2020

Dalla fotografia alla oltre fotografia.

Post di Rosario Grillo.

Premessa.

Copertina del testo edito da Raffaello Cortina Editore
Sulla natura della fotografia ho già scritto alcune note, attente al grado di realtà che essa è capace di catturare e/o al quantum di illusione che scatena e che la sorregge. In esse veniva fuori anche il nesso con le movenze psichiche e gli addentellati con le diverse scienze: letteratura sociologia filosofia e storia. La fotografia è indubbiamente correlata all’avanzare prorompente della società di massa, dove, accanto al vezzo, prende posto la semiologia, intrinsecamente legata al mondo dei “media”. Sull’onda del principio “il medium è il messaggio” (McLuhan) si è ipersviluppata una civiltà delle immagini. Epifenomeno dell’ubiquità della comunicazione, che, spesso, viene espressa e/o manipolata attraverso le immagini. Il multimediale è il prodotto tipico della contaminazione (o si deve dire fusione?) tra immagine e parola. (1)

Oltre la fotografia.

Nel successo del multimediale è nascosto il peso esercitato dalle emozioni. Rivela la compagine antropica delle tecniche di comunicazione. Si accentua così ancora di più la irriducibilità della fotografia al segmento della pura oggettività. Se già nella primitiva riproduzione fotografica della realtà si è rilevato il calco della selezione soggettiva (scelta dell’oggetto e del tempo della istantanea), poi accentuato nel momento dello sviluppo con rielaborazione del negativo, nell’epoca della fotografia evoluta e sofisticata il carico etero tecnologico, afferente alle “passion”, che accompagnano sottendono e s’innescano, si manifesta notevole.

domenica 27 settembre 2020

Lezione di libertà.

Post di Rossana Rolando.

Scuola provenzale, Scala di Giacobbe, XV sec.

Apro le lezioni di filosofia, in quarta liceo classico, leggendo alcuni passi della prolusione predisposta da Pico della Mirandola, per il convegno dei dotti che egli avrebbe voluto convocare al fine di un confronto vero e schietto sulle diverse posizioni delle tradizioni religiose e culturali. E’ la famosa orazione De hominis dignitate.¹ La leggo sulla scorta del bellissimo saggio di Massimo Cacciari, dal titolo La mente inquieta² e ne sono profondamente coinvolta. 

Vorrei trasmettere, mentre presento il testo, una convinzione profonda: «“Classico” è ciò che ancora ha da venire»³, ciò in cui è possibile rinascere e dare forma all’avvenire. 

In questo tempo incerto di pandemia, in questo rientro difficile a scuola, soprattutto per i ragazzi che sentono fortissima la limitazione della libertà di fare - non potersi toccare, abbracciare, radunare…, - riflettere sulla libertà di essere, se davvero esiste una simile libertà, mi pare decisivo e salutare.

domenica 20 settembre 2020

Risposta ai negazionisti del coronavirus.

Post di Rosario Grillo

Ritratto di Ippocrate, studiolo di Federico da Montefeltro

La medicina ippocratica.
La cura del corpo, affetto da qualche morbo, è ascrivibile solo all’idoneità/efficacia della medicina prescritta? O vi rientrano anche componenti sociali? La domanda non è oziosa nemmeno meramente tecnica. Sollecita alla messa in luce delle implicazioni sociali delle malattie. Si può dimostrare, cioè, che la malattia non è un affare privato, legato solo allo stato di salute di un individuo, alla vulnerabilità del suo organismo e/o all’usura degli organi vitali. La biologia è strettamente connessa all’ambiente, intendendo questo sia come ambiente naturale sia come complesso sociale. Già nel corpus hyppocraticum (1) il “Trattato sulle arie, acque e luoghi” dava chiara descrizione dell’influenza  che “città, azione del sole e dei venti ...” esercitano sul mantenimento della salute e, in conseguenza, sul legame tra le malattie e le stagioni, tra le stesse e le diverse regioni della terra. Del resto, la dottrina sulla influenza del clima sul carattere e i costumi delle genti è diventata oggi patrimonio comune. Dal corpus partirono inoltre i primi impulsi a riconoscere l’importanza: della combinazione medico-paziente, del peso chiave della risposta del paziente nel procedere della cura. Fedele conferma ne dà il giuramento  ippocratico, propedeutico alla professione medica, dove si riassumono espressioni come: “giuro...di attenermi  ai principi di umanità e solidarietà  nonché a quelli civili di rispetto dell'autonomia della persona; di mettere le mie conoscenze a disposizione dei progresso della medicina, fondata sul rigore etico e scientifico della ricerca, i cui fini sono la tutela della salute e della vita; […] di prestare soccorso nei casi d’urgenza e di mettermi a disposizione dell’autorità competente in caso di pubblica calamità...” (2)

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sabato 12 settembre 2020

Utopia e anti-utopia.

Post di Gian Maria Zavattaro
Immagini delle illustrazioni di Carlo Stanga (qui il sito instagram).
 
L'importante è imparare a sperare.
(Ernst Bloch, Il principio speranza).
 
Carlo Stanga, Volare in libertà
Il destino delle parole “forti” è inesorabilmente legato al nostro amore per loro: noi le amiamo in base a ciò che davvero siamo ed esse ci pungolano a scegliere le nostre vite.
Così è per la parola “utopia”, coniata come si sa da T. Moro nel 1516. All’origine c’è la Repubblica di Platone: “uno stato che esiste solo a parole, perché non credo che esista in nessun luogo della terra. Non ha alcuna importanza che questo stato esista oggi o in futuro, in qualche luogo, perché l’uomo di cui parliamo svolgerà la sua attività politica solo  in questo e in nessun altro”. Utopia (a-topos, ou-topos, eu-topos): essere che non c’è, realtà che non è in alcun dove, terra promessa che non sarà mai posseduta, luogo impossibile chiamato a dar senso e ad animare il mondo.
L’utopia è per l’esistenza della società, dice Ricoeur, ciò che l'invenzione è per la conoscenza scientifica: progetto immaginario di un altro tipo di società, ricerca di un modo alternativo di pensare ed essere, capacità di trascendere il presente ed anticipare il futuro. Non è  fantasia erratica, fiume senz’acqua, eccentrica schizofrenia, ma promessa di una verità nuova ”anticipata e pregustata in fantasia”.

domenica 6 settembre 2020

Ritorno della scuola. Sarebbe stato diverso.

Post di Rossana Rolando
Immagini di Andrea Ucini (qui il sito).


“Io amai in lei qualcosa di più che il professore”
(Lettera di Cesare Pavese ad Augusto Monti, agosto 1926)¹.

Andrea Ucini
Sarebbe stato diverso parlare di ritorno della scuola anziché di semplice ritorno a scuola. La preposizione “della” avrebbe cambiato tutto il significato: non soltanto ritorno “a” scuola in presenza – che è una delle condizioni per poter davvero in-segnare, nel senso di imprimere segni – ma ritorno “della” scuola al centro dell’agenda politica e sociale, in quanto obiettivo prioritario per la costruzione del futuro di ciascuno e di tutti.
Non è così nella prospettiva politica, ma soprattutto - mi sembra di capire - nel sentire di molta parte della società.

✴️ Negli ultimi giorni di agosto si è scatenata, su twitter (e non solo), un’ondata d’odio nei confronti degli insegnanti descritti come nullafacenti: «solo cinque ore al giorno, gite gratis, 7 mesi di “lavoro”, 3 mesi di vacanza estiva, in ferie da febbraio 2020, con lo scoppio della pandemia e lo stipendio garantito…». Sono solo alcune delle invettive rimbalzate in rete.
Andrea Ucini
Non ho intenzione di confutare la falsità di queste affermazioni, molto lontane dalla realtà della maggior parte degli insegnanti, frutto di luoghi comuni estranei al mondo della didattica odierna, tanto più in questo difficile periodo inaugurato dal coronavirus con la scuola a distanza. Non è su questo tipo di accuse che vorrei soffermare l’attenzione. Piuttosto mi concentrerei sull’idea di insegnante e di scuola che si cela dietro queste dichiarazioni e che coinvolge anche chi non si esprime in questo modo: tutta quella parte di società che vuole docenti sempre in aula, sempre coinvolti in attività con gli studenti, intrattenitori cui è affidato il ruolo di sostegno alle famiglie, funzionari di un sistema economico, fondato sul successo che la scuola deve sempre garantire ecc… Questo si vuole dalla scuola, questo si chiede agli insegnanti.