Iscriviti ai Feed Aggiungimi su Facebook Seguimi su Twitter Aggiungimi su Google+ Seguici tramite mail

Iscriviti alla nostra newsletter!

mercoledì 26 gennaio 2022

Babele e Auschwitz.

 Post di Rossana Rolando.

Gustave Doré, Confusione delle lingue, 1865
“Comunicare” è il titolo del quarto capitolo de I sommersi e i salvati di Primo Levi.¹ Il tema vero, in esso trattato, è però l’opposto: l’impossibilità della comunicazione. Già dalla prime righe si capisce inoltre che non si intende parlare dell’incomunicabilità come dimensione interna alla stessa comunicazione, strutturale rispetto all’umano essere-con-altri.
² Levi non si propone neppure di affrontare il tema da un punto di vista psicologico o sociologico, laddove la privazione del comunicare non è imposta, ma è – in qualche modo – voluta e scelta.
Egli cala immediatamente il lettore nella condizione estrema del lager, in cui il bisogno di comunicazione – nel senso elementare del comprendere ciò che viene comandato e urlato, pena la vita stessa – urta contro una barriera linguistica totale.

venerdì 21 gennaio 2022

Eros... sempre.

 Post di Rosario Grillo
Immagini delle opere di Gabriel Pacheco (qui il sito instagram),

Gabriel Pacheco
“ Desiderio! La tua intensità mi trafigge
il petto.
Tu rendi possibile l’impossibile
partecipi della natura dei sogni - come può essere?
Sei complice dell’irreale
e ti accompagni al nulla
(W. Shakespeare, il racconto d’inverno).
 
In una breve storiella Kafka descrive il filosofo nella figura dell’appassionato al gioco della trottola.
Più da vicino: è, costui, inesorabilmente attratto dal gioco infantile della trottola quando interrompe i bambini, per il gusto “frenetico” di girare, lui, la trottola. Ma, altrettanto “bruscamente”, getta poi via, indispettito, la trottola.
Il gioco e l’attrazione, con il goffo finale, si ripeterà giorno dopo giorno.
È il ritratto della follia.
 
💥 Fermiamoci un attimo. La follia: non nel segno dell’irrazionale, dell’opposto alla ragione; ma nel segno del “di più della ragione e/o del diverso da essa. (1)
Furono i greci, a cominciare dai poeti, a scoprire tale virtù, rappresentandola nei versi riferiti ad Eros. (2)
Da Saffo ad Archiloco, nel magma delle vicende amorose,è  descritta un’azione di Eros, che, al culmine, viene riassunta e spiegata dai dialoghi di Platone (in specie nel Convivio e nel Fedro).

venerdì 14 gennaio 2022

Fedeltà al servizio.

Post di Gian Maria Zavattaro
Immagini delle illustrazioni di Pepe Serra (qui il sito instagram).
 
Pepe Serra, Possiamo fermare il coronavirus?
Penso ai medici e infermieri, al personale sociosanitario e ovviamente ai docenti, presidi ed operatori scolastici di ogni grado. Che cosa oggi accomuna ed unisce profondamente queste persone? Che cosa stanno facendo?
Ci mostrano l’unica strada percorribile! È la fedeltà al servizio, al di là  di ogni divergenza e varietà di opinioni circa l’attuale pandemia. Impossibile ignorare, sottovalutare o peggio dare per scontata la loro costanza etica.  Nella loro stragrande maggioranza hanno dimostrato e stanno dimostrando a chi è “intelligente” (che sa intus-legere, vedere in profondità) il significato non retorico di parole come fraternità,  perché fratelli-sorelle non si nasce: è nei fatti e con i fatti che si costruisce fraternità-sororità.
Non so se coloro che gareggiano nel criticare tutto e tutti a 360° hanno lo stesso coraggio e la loro paziente resistenza. Non mi sento di sottoscriverlo, perché si può essere e dichiararsi fratelli-sorelle in modo ambivalente: Caino con Abele ("Sono forse io il custode dell'altro?"), i fratelli di Giuseppe...; oppure silenzioso quotidiano servizio al prossimo, che in questo tempo di covid è il  modo circostanziale di esercitare e testimoniare la propria fraternità, nell’adempimento  rigoroso e sofferto della propria deontologia professionale. Per chi vuol vedere...

mercoledì 5 gennaio 2022

Grandi sedentari.

Post di Rossana Rolando
Immagini dei dipinti di Peter Ilsted, pittore danese vissuto tra il 1861 e il 1933.

Peter Ilsted, Donna che legge
Una famosa aneddotica, fiorita intorno alla figura di Immanuel Kant, descrive il filosofo sempre legato alla sua Königsberg, da cui non si sarebbe mai allontanato (se si escludono i soggiorni giovanili come precettore). Anzi, secondo un racconto biografico, l’unica volta in cui sta per intraprendere un viaggio, già in carrozza, voltosi a guardare le guglie della città, decide di tornare indietro. Naturalmente si potrebbe insistere sulla leggendaria monotonia del grande pensatore tedesco, sulla abitudinaria scansione della giornata, sugli orologi messi a punto all’ora della sua passeggiata… ma c’è una lettura che mi pare ben più interessante. La presenta, in una ricca conferenza sul viaggio - inserita al termine di questo post -, Claudio Magris, nel momento in cui, per opposizione, cita il valore della sedentarietà, riferendosi proprio a Kant.

💥 Nel tempo prolungato del covid, in queste stesse vacanze di Natale, molti hanno dovuto disdire viaggi e restare a casa. Perciò una riflessione sulla sedentarietà può risultare utile. Il termine richiama proprio la condizione di chi non si muove, rimane fisso in un posto, sta seduto (sedentarius da sedere = stare seduto). Può assumere una sfumatura negativa, quando si riferisce ad una certa pigrizia che trattiene dall’essere attivi. Ma, il latino sedere richiama anche l’idea del piantare, dello stare, del risiedere, quindi evoca la stabilità dell’abitare. Sempre Magris, racconta come, al ritorno da ogni viaggio, anche quando sa di dover ripartire in giornata, disfa comunque la valigia, suscitando il riso dei suoi familiari, proprio per ribadire a se stesso che la casa è la normalità – pur continuamente violata dalle ricorrenti partenze - ovvero il luogo in cui ri-siedere.

venerdì 31 dicembre 2021

Augurio di speranza.

Post di Gian Maria Zavattaro.

Nicolas Poussin, Strage degli innocenti, 1628-29

Il 28 dicembre è stata la festa dei Ss. Innocenti martiri: Noi di fronte alla “strage degli innocenti” che ogni giorno pare espandersi  con insolenza oltre ogni immaginazione. Ogni giorno i media continuano ad offrirci lo “spettacolo” di  questa progressione: sterminio di civili inermi, bimbi falciati nelle acque del Mediterraneo, volti della desolazione, continue guerre ed atti di violenza, ingiusta fame, inutili sofferenze, inique malattie rese ancor più tragiche da blasfeme munificenze come i milioni di vaccini anticovid in repentina scadenza, inutili ed ingombranti, “donati” generosamente dai paesi ricchi ai paesi poveracci. Una sfida alla speranza, tanto più quando il male sembra trionfare anche in coloro che dovrebbero contrastarlo,  tanto più se  viene da noi stessi…

Che cosa possono  fare persone irrilevanti come me e tanti miei amici? Quali speranze possiamo coltivare, noi che contiamo ben poco, per un mondo liberato da questi scandali quotidiani?

lunedì 27 dicembre 2021

Potenzialità del "resto".

Post di Rosario Grillo
Immagini delle illustrazioni di Gustave Doré, pittore e incisore francese (1832-1883).
 
“Quando si comincia, c’è già un’antecedenza assoluta “ (Nancy).
 
Gustave Doré, Colomba inviata dall'arca, 1866
Nella Bibbia viene richiamata frequentemente la parola “il resto”. Fenomeno già notato, studiato ed analizzato. Un teologo di fama, Walter Vogels, ne ha fatto l’oggetto della sua recente opera (1), nella quale allarga il raggio fino ad estendere l’analogia alla Chiesa-minoranza nel tempo presente.
Senza dubbio, “il resto” identifica una minoranza e forse sarebbe meglio rappresentabile come “una ridotta” militare. Di volta in volta: dopo il diluvio, dopo la cattività babilonese, eccetera, la palma dell’elezione divina al popolo d’Israele, colpito nella protervia e nell’idolatria, ridotto nel numero e temprato dalla sciagura.
C’è subito da evidenziare che si è compiuta una selezione e i “salvati” hanno purezza d’animo e spirito per ri-cominciare. C’è quindi di mezzo: il cominciamento (biblicamente: all’inizio, l’in principio).
Un punto fermo è però che l’Inizio trascende, è incomparabile con “ciò che viene iniziato”. Una libertà incondizionata è ragione di ineffabilità della volontà di “dare inizio”. Ma, visto che si tratta di ri-cominciare, abbiamo di fronte qualcosa che è già cominciato e che (stand by, ingrippamento, aberrazione?) si è bloccato e deve ri-cominciare.
Nella vicissitudine ha perso quantità, o numero, e si ritrova: resto. Per questa ragione, il resto non è un residuo; piuttosto è una milizia scelta. La consapevolezza dell’elezione imprime, perciò, al nucleo “resto” ardore di testimonianza.

domenica 19 dicembre 2021

Perché attendiamo?

Post di Gian Maria Zavattaro.
Immagini delle opere di Angelo Balduzzi, con gentile autorizzazione (qui il sito).
 

Angelo Balduzzi, E viene giù dal cielo
“Qualcuno ci ha mai promesso qualcosa? E allora perché attendiamo?” (C. Pavese, Il mestiere di vivere, Einaudi, Torino 1973, p. 276. Cfr anche il titolo di "Tracce" «Qualcuno ci ha mai promesso qualcosa? E allora, perché attendiamo?» gennaio 2013, Appunti dagli Esercizi spirituali degli universitari di CL, Rimini, 7-9.12.12).

 
Perché, chi, cosa attendere?
Coloro che vogliono vivere in profondo la fede cristiana “attendono” le promesse del Signore Gesù, figlio del Dio vivente e sanno perché (1). L’Avvento è “attesa” nel significato originario dell’etimo: tempo vivificante che tiene desta l’attenzione verso eventi considerati decisivi a cui ci si dedica con vigile cura e coerenti scelte di vita.
Il guaio è che oggi non si sa attendere. Si aborrono i tempi d’attesa di qualunque genere e specie. Nel nostro liquido presente le attese, non importa se vitali o accidentali, sono insopportabili, perché vissute come tempo morto, sprecato.  Non si ha tempo da perdere nella corsa compulsiva a vivacchiare nel consumismo e nel conformismo.
L’Avvento, “tempo dell’attesa vivificante”, richiede invece “attenzione”: fare in noi e attorno a noi silenzio per contemplare, ascoltare, pregare, amare, perdonare, accudire, pazientare, curare…cioè vivere intensamente la vita. In ognuno di noi questo tempo ha la cifra del vigore della propria fede speranza carità, ha il sigillo della propria passione e azione, intelligenza, coerenza, fedeltà. Attesa non passiva che reclama la conversione.
 

sabato 11 dicembre 2021

Esistenze effimere.

Post di Rossana Rolando.

Mauro Bonazzi, Creature di un sol giorno
Nel libro di Mauro Bonazzi, Creature di un sol giorno, il termine effimero ha un posto centrale. In esso è racchiusa la consapevolezza greca del mondo umano.

💥 Effimeri. Lo si trova già nelle prime pagine ephemeros (epì – emèra: che dura un giorno) per indicare la condizione dell’uomo, la sua transitorietà, data dall’ineluttabilità della morte, presa terribilmente sul serio, come il vero nodo da cui nasce il pensiero filosofico. Essa è inaccettabile, non tanto nella sua datità (sappiamo di dover morire), quanto piuttosto nel suo potere di nullificare la vita, svuotandola del suo significato. A che vale una vita che oggi c’è e domani non c’è più? Che segno lascia nel mondo la vita individuale?¹. Essa è come le foglie. Il riferimento a Glauco, in risposta a Diomede, nell’Iliade, è eloquente:
“Come stirpi di foglie, così le stirpi degli uomini;
le foglie, alcune ne getta il vento a terra, altre la selva
fiorente le nutre al tempo di primavera;
così le stirpi degli uomini: nasce una, l’altra dilegua”.²
Ma il termine effimero lo si ritrova anche alla fine del testo, in un ribaltamento della prospettiva iniziale, che proprio nell’esposizione alla temporalità sembra suggerire la bellezza labile dell’esistenza, preziosa proprio perché fuggevole. La vita è effimera come una farfalla o come un fiore che dura un giorno. E’ bella, è tutto quello che abbiamo – dice Mauro Bonazzi, al termine del suo percorso -, ma è fragile, caduca.
«“La morte è madre della bellezza”. E’ paradossale, forse; è sicuramente doloroso, ma probabilmente è proprio così.»³

sabato 4 dicembre 2021

Immaginare il possibile.

Post di Rosario Grillo.
Immagini del pittore tedesco Carl Spitzweg (1808-1885).
 
Carl Spitzweg, Una visita
Quando  vogliamo dare una carica di energia al possibile, finiamo di norma per uscire dal riparo naturale e sconfiniamo nell’utopia. Se però commisuriamo il nostro approccio alla situazione angusta, connotata da molteplici distopie, per guarire, non solo auspichiamo un tantino di utopia - aiuta ad uscire dal catastrofismo e a rigenerarsi nello sguardo profetico - ma anche diamo spinta alle componenti euristiche ed insieme fondative della possibilità.
Il possibile ha, a questo riguardo, una serietà epistemologica esplorata al tempo di Mach, di Musil, di Kafka… In più, mi aiuto a rafforzare il mio proponimento con la considerazione di Paolo Giordano. (1) Uno scrittore che ha saputo narrare - che in lui è svelare - avvicinando l’immaginazione al pensiero scientifico. Esempio tipico nella “solitudine dei numeri primi”.
Da lui prendo la sollecitazione a servirci della relatività (2) in una chiave costruttiva non distruttiva. Esempio viene da Einstein e ci porta dentro la relatività del tempo. Questione che noi usiamo confinare nella fisica; che, invece, ci interessa da vicino. Di più, nella situazione che stiamo vivendo sotto la minaccia della pandemia. (2) Ecco che allora aiuta a stendere una base di permanenza, ovvero il tessuto connettivo, per ragionare sulle cause, sui limiti e sulle possibilità di uscita dalla pandemia.