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Visualizzazione post con etichetta 25 aprile. Mostra tutti i post
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giovedì 24 aprile 2025

Liberare, liberarsi

Post di Gian Maria Zavattaro
 
Papa Francesco presso la tomba di Don Milani, 20 giugno 2017
Pubblichiamo questo post nei giorni di lutto per la morte dell'amatissimo papa Francesco, convinti che il tema della liberazione - in tutte le sue forme - sia in piena sintonia con il suo messaggio.
 
A 80 anni dalla liberazione continuiamo insieme la vera “Resistenza dell’uomo disarmato”
“Non posso dire ai miei ragazzi che l’unico modo d’amare la legge è l’obbedirla. Posso solo dire loro che essi dovranno tenere in tale onore le leggi degli uomini da osservarle quando sono giuste (cioè quando sono la forza del debole). Quando invece vedranno che non sono giuste (cioè quando sanzionano il sopruso del forte) essi dovranno battersi perché siano cambiate”. (Lettera ai giudici di Don Milani).
“La Resistenza è un fatto di gratuità. La vera: la Resistenza al potere, non per instaurare un altro potere ma per la libertà dell’uomo[…] Per questo Resistenza è Gratuità, e Partigiano l’uomo gratuito. Il Dio gratuito non è forse il Dio Partigiano, che prende le parti di chi, in un modo o nell’altro, è perseguitato dal potere?” (Don Luisito Bianchi, Monologo partigiano  sulla gratuità 1).

mercoledì 24 aprile 2024

Resistere nel quotidiano.

Post di Gian Maria Zavattaro.
Immagini di Militanza Grafica (qui).
 
Militanza Grafica, Oh partigiano
“La Resistenza è un fatto di gratuità. La vera: la Resistenza al potere, non per instaurare un altro potere ma per la libertà dell’uomo. Per questo Resistenza è Gratuità  e Partigiano l’uomo gratuito. Il Dio gratuito non è forse il Dio Partigiano, che prende le parti di chi, in un modo o nell’altro, è perseguitato dal potere?” (Luisito Bianchi, Monologo partigiano sulla Gratuità).
 
“Sono i democratici che fanno le democrazie, è il cittadino che fa la repubblica. Una democrazia senza democratici, una repubblica senza cittadini, è già una dittatura, la dittatura dell’intrigo e della corruzione” (G. Bernanos, La Francia contro la civiltà degli automi, Brescia 1947, pag. 25).
 
Non amo le celebrazioni retoriche, ma soprattutto non amo - è il rischio odierno - la cancellazione della memoria che vuol dire vivere in modo sfibrato il 25 aprile, dimenticando il senso delle radici della propria libertà. (1)
Stiamo respirando un’aria pestifera: vergognosi comportamenti di troppi uomini e donne ai vertici politici, dissidi tra partiti,  clima di irridente e sfacciata omologazione volto a ridurci a docili servi o a truppe cammellate, dilagare di guerre e stragi di innocenti, iniquità e violenze di ogni genere, ‘indifferenza per le tragedie collettive altrui, sfruttamenti,  disuguaglianze, migrazioni dei disperati.. E  un futuro sempre più incerto soprattutto per i giovani… (clima, lavoro…).  Tutto ciò dovrebbe obbligarci ad abbandonare le celebrazioni agiografiche per riprenderci e vivere i valori resistenziali, mantenerci fedeli ad essi nella costruzione dell’oggi e del domani.
Ricordo ancora - io imberbe studentello ginnasiale - un articolo di C.A.Jemolo apparso tanti anni fa su “La Stampa”, che già allora mi aveva colpito e che sinteticamente ripropongo in  nota. (2)

sabato 22 aprile 2023

25 aprile e giovani.

Post di Gian Maria Zavattaro.
 
Mauro Biani
“Non posso dire ai miei ragazzi che l’unico modo d’amare la legge è l’obbedirla. Posso solo dir loro che essi dovranno tenere in tale onore le leggi degli uomini da osservarle quando sono giuste (cioè quando sono la forza del debole). Quando invece vedranno che non sono giuste (cioè quando sanzionano il sopruso del forte) essi dovranno battersi perché siano cambiate.”
Don Milani.
 
Le guerre fratricide nel mondo, la miseria dilagante nei paesi più poveri devastati dallo sfruttamento predatorio dei paesi ricchi, le conseguenti migrazioni di massa per non morire o morire annegati, i continui odierni dissidi tra i partiti, la compra-vendita di parlamentari, il populismo imperversante, l’iniquità fiscale, i dilaganti sovranismo e razzismo, i disastri ambientali odierni e venturi, i muri degli egoismi nazionali e individuali, ecc. ecc., - il tutto compendiato nella “globalizzazione dell’indifferenza” e nella “terza guerra mondiale a pezzi”- sono il contorno delle celebrazioni del 25 aprile.
Forse è il caso di soffermarci a riflettere su tutto ciò in riferimento ai valori della Liberazione e della Resistenza, lasciando da parte le parole vuote della retorica per ricercare insieme il significato oggi di questa memoria per noi anziani e adulti, per i giovani soprattutto, per la scuola. Liberazione! Liberarci da chi? Ad esempio dai politici di qualsiasi colore, preda del proprio interesse personale e/o di parte, della corruzione e clientelismo. Ma liberarci per recuperare che cosa? Ad esempio la speranza in una vera unità Europea dei popoli, non solo dei governi, la collaborazione tra i diversi partiti per il bene del paese, il rispetto di diverse opinioni, la solidarietà e mobilità sociale, la democrazia sostanziale e non formale, l’equità fiscale, il ripudio della guerra… 

sabato 23 aprile 2022

Libertà è liberazione. Dostoevskij.

 Post di Rossana Rolando.

Vincent van Gogh, La ronda dei carcerati, 1890, particolare, Mosca
Oggi, la parola liberazione, che ogni anno ricorre, legata al 25 aprile, si carica di nuovi pesanti fraintendimenti.

Festa civile fondativa della nostra convivenza, alla base dei valori della Costituzione italiana, essa è spesso motivo di divisione tra opposte parti politiche, segno di un rapporto irrisolto con il passato. La festa del 25 aprile risulta oggetto di rivendicazioni che molto svalutano il senso della liberazione: disdegnata da chi non si riconosce nella lotta dei partigiani, erroneamente considerati espressione di un solo ben connotato schieramento politico (essendo invece il risultato di molti e diversi partiti antifascisti); rifiutata  da chi guarda in modo nostalgico al ventennio fascista o addirittura all’ideologia nazista.

La guerra russo ucraina, e l’uso – da entrambe le parti - delle parole liberazione e resistenza, accompagna inoltre questo 25 aprile, inquinandolo con ulteriori polemiche: chi annovera la posizione dell’Ucraina nell’orizzonte semantico della resistenza e della liberazione dall’aggressore e chi non intende affatto applicare al fronte ucraino questi termini, interpretando il conflitto alla stregua di una guerra tra Nato e Russia.

venerdì 23 aprile 2021

Resistenza e scuola nel tempo del covid.

Post di Gian Maria Zavattaro 
Vignette di Mauro Biani (con gentile autorizzazione).
 
Mauro Biani, Liberazione, 25 aprile
Il 25 aprile (quest’anno cade di domenica) siamo tutti invitati a ripensare il valore della Resistenza e della nostra libertà, proprio alla vigilia di nuove speranze nei riguardi della resistenza al covid.
 
Penso soprattutto alla scuola ed ai suoi fondamenti valoriali radicati nei primi 12 articoli della Costituzione: dignità del lavoro, diritti inviolabili della persona e pari dignità di tutti, solidarietà politica economica e sociale, impegno a rimuovere gli ostacoli che impediscono libertà uguaglianza partecipazione dei cittadini, libertà religiosa, sviluppo della cultura e libertà della ricerca, tutela del paesaggio e del patrimonio storico ed artistico, accoglienza dello straniero, ripudio della guerra come valori essenziali dell’educazione, rapporto intrinseco tra pace e giustizia sociale ed internazionale.
 
Penso alla Resistenza, radice della Costituzione, e al valore della memoria (“senza memoria l’uomo non saprebbe nulla e non saprebbe fare nulla”), centrale soprattutto per lo sviluppo di una cittadinanza attiva giovanile.
 
Per noi anziani il tempo è costituito da un passato, dal presente e in minima parte da un futuro. Per i giovani il tempo è costituito soprattutto dal presente e da un futuro che appare oggi più come minaccia che come promessa. E’ inutile che ci lamentiamo dei giovani che non sanno progettare e guardare al futuro. Uno dei risultati del modo con cui gli adulti stanno gestendo la società è proprio la deprivazione del futuro per i giovani, senza la possibilità per loro di progettare a medio e lungo termine.
L’unica realtà che oggi percepiscono è questo tempo ferito, un presente dilatato senza confini precisi: non determinato da un passato per loro poco comprensibile data la velocità dei cambiamenti e non proiettabile in un futuro data l’incertezza nella quale si vive in questo tempo di covid. Se poi osserviamo la realtà in modo impietoso, possiamo constatare che spesso siamo noi adulti - in specie non pochi di coloro che sono ai vertici dei poteri - ad essere incapaci di guardare lontano per costruire un futuro che apparterrà ad altri.

sabato 25 aprile 2020

25 aprile, con le vignette di Mauro Biani.

Proponiamo qui alcune vignette di Mauro Biani (con gentile concessione), emblematiche della "Resistenza" oggi, di quel 25 aprile che dovremmo celebrare ogni giorno, per liberare la terra. In coda rimandiamo ad alcuni post di questo blog sul tema.

🌔Liberare come disarmare.


🌔Liberare dal cinismo.


martedì 23 aprile 2019

Marco Balzano, "Resto qui". Restare in quanto resistere.

Post di Rossana Rolando.

Marco Balzano, 
Resto qui, Einaudi
❄️Ho appena finito di leggere il libro “Resto qui” di Marco Balzano¹, scrittore che ho avuto il piacere e l’onore di ascoltare il 12 aprile 2019, in occasione del Premio letterario tenuto nel Liceo in cui insegno.
Se associo questo suo libro alla ricorrenza del 25 aprile non è certo per il contenuto storico di liberazione dal nazifascismo - e dall’orrore del potere rappresentato da esso - che la giornata tradizionalmente richiama.
La storia raccontata non rileva alcuna vera discontinuità tra il prima e il dopo (rispetto al 25/4/1945). Narra di un paese della Val Venosta, nel sud Tirolo, vicino alla Svizzera, che conosce l’occupazione fascista prima (fino al 1943) e quella nazista poi (fino al 1945). La politica di italianizzazione condotta dal regime nei confronti della popolazione, di lingua tedesca, innesca una guerra tra italiani e sud tirolesi, tale da condurre questi ultimi, o almeno molti di loro, a vedere nel führer una possibilità di scampo rispetto all’oppressione fascista.
E, soprattutto, racconta di una diga - progettata prima degli anni ’20, iniziata nel 1940 e portata a termine nel 1950, a guerra conclusa - che seppellisce sotto una tomba d’acqua il paese di Curon (di cui fanno parte i protagonisti del romanzo), lasciando al suo posto un grande lago, da cui emerge soltanto il campanile di una chiesa, unica vestigia di un passato dimenticato.
Tra il fascismo e il dopoguerra, per il destino del luogo – “i masi, la chiesa, le botteghe, i campi dove pascolavano le bestie”² - non cambia nulla: nessun 25 aprile interrompe quella logica per cui “il progresso vale più di un mucchietto di case”³.

❄️Dunque il motivo per il quale credo di poter associare “Resto qui” al 25 aprile va ben al di là della semplice ricorrenza storica: è lo spirito che attraversa il libro e che trova la sua sintesi nella postfazione dello stesso Marco Balzano:
“Se la storia di quella terra e della diga non mi fossero parse da subito capaci di ospitare una storia più intima e personale, attraverso cui filtrare la Storia con la s maiuscola, se non mi fossero immediatamente sembrate di valore più generale per parlare di incuria, di confini, di violenza del potere, dell’importanza e dell’impotenza della parola, non avrei, nonostante il fascino che questa realtà esercita su di me, trovato interesse sufficiente per studiare quelle vicende e scrivere un romanzo”⁴.

sabato 28 aprile 2018

Variazioni su antifascismo.

Post di Rosario Grillo
Le immagini riproducono il simbolo antifascista sullo sfondo di alcuni articoli della Costituzione italiana, i cui valori (pur non essendo il semplice risultato dell'antifascismo, come il post chiarisce) rappresentano un rovesciamento radicale delle categorie che connotano il fascismo¹.

Non va mai bene declinarsi in chiave anti.
Ti spinge a pensare ad una ripicca, nell’ipotesi maxi alla mancanza di iniziativa, di “motu proprio”.
C’è di mezzo, in aggiunta, lo snobismo di certe categorie sociali che dietro ad “anti” vedono subito gruppi sociali antagonisti ed idee  di derivazione “sessantottina”.
Potremmo poi risalire al periodo dello scontro, dell’opposizione al Fascismo, e ritrovare la nominazione in positivo delle correnti e dei gruppi che condussero l’opposizione. Si chiamavano comunisti, socialisti, liberali, democristiani, repubblicani.
Avevano i nomi cioè delle correnti politiche già nate e, come tali, si presenteranno agli elettori.
Si può ovviare altrimenti alla necessità di trovare il “collante” della molteplicità di sentimenti, etici e politici e culturali, che normalmente si codificano sotto il nome di “antifascismo” .

martedì 24 aprile 2018

Rifare la Resistenza. Omaggio a Luisito Bianchi.

Post di Gian Maria Zavattaro
Immagini delle xilografie sulla Resistenza recuperate e riportate alla luce  a Ferrara (qui il sito).

 🌟🌟🌟🌟🌟OMAGGIO A LUISITO BIANCHI🌟🌟🌟🌟🌟
“Partigiano è un termine già troppo insidiato da quando lo intesi per la prima volta, nel terribile ed esaltante 1944, per poterlo a cuor leggero declassare da sostantivo ad aggettivo, col pericolo che quest’ultimo lo deturpi e lo vesta di “partitico”. Oh no, partigiano non ha nulla  a che vedere con partitico, che prende i suoi legami clientelari dai partiti. Partigiano è figlio della Resistenza, ed esiste solo dove sussiste Resistenza, ma è anche condizione e annuncio di Resistenza. E la Resistenza è un fatto di gratuità. La vera: la Resistenza al potere, non per instaurare un altro potere ma per la libertà dell’uomo. Quella che  nel 1944-45 viveva nelle baite bruciate, che portava le sue insegne sui corpi penzolanti degli impiccati, che disseminava di speranze ovunque il suo potente soffio sciogliesse nevi e cuori. Non la Resistenza contro qualcuno  o in favore di qualcuno, ma quella, di vivi e di morti, perché il potere perdesse la sua punta velenosa, distruttrice della libertà, e, quindi, dell’uomo. Per questo Resistenza è gratuità, e Partigiano l’uomo gratuito. Il Dio Gratuito non è forse il Dio partigiano, che prende le parti di chi, in un modo o nell’altro, è perseguitato dal potere? La Resistenza del 1944-45, dei morti e di quei vivi che non l’hanno mai svilita ad instaurazione di nuovi poteri, fu la grande parola laica di gratuità, che ha generato e genera ancora figli ogni qualvolta si resiste al potere dell’uomo in nome dell’uomo. […] E’ la voce dei morti che hanno dato la loro vita gratuitamente, senza nessun contraccambio; e dei vivi che stanno morendo senza avere visto il mondo nuovo che doveva uscire dalla Gratuità” (Luisito Bianchi, MONOLOGO PARTIGIANO SULLA GRATUITÀ, Appunti per una storia della gratuità del ministero nella Chiesa, ed. il Poligrafo, Padova, 2004, pp. 224-225). 

Don Luisito Bianchi, autore de La Messa dell’uomo disarmato: v. qui

Carlo Rambaldi, 
Ore d'angoscia
In un  tempo nel quale sembra prevalere ciò che Bellow definiva “l’inferno della stupidità” parlare della Resistenza nel senso indicato da don Luisito ha significato solo se insieme ci si interroga sul nostro resistere quotidiano. 
Ogni generazione ha la sua resistenza da praticare, di cui la Resistenza con la R maiuscola è il riferimento ideale per capire che cosa essa significhi. Resistere era opporsi al fascismo ed al nazismo, alla guerra, alla violenza, alle leggi razziali, alla mancanza di libertà, alla sopraffazione ed usurpazione. Non solo opporsi: resistere per ri-esistere, ridare vita alla democrazia, riaffermare i diritti-doveri intangibili di ogni persona,  la pace, la libertà, la giustizia, l’uguaglianza, la fraternità universale…

sabato 23 aprile 2016

25 aprile. "Resistere" oggi, i no e i sì.

“Sono i democratici   che fanno le democrazie, è il cittadino che fa la repubblica. Una democrazia senza democratici, una repubblica senza cittadini, è già una dittatura, la dittatura dell’intrigo e della corruzione” (G. Bernanos, La Francia contro la civiltà degli automi, Brescia 1947, p. 25).

Dire no
(Alessandro Gottardo, Shout,
Cinque modi per dire no)

71 anni dalla Resistenza! E soprattutto 71 anni di resistenza, non di tutti, non per tutti. Non ho dubbi su quanto ogni anno sia importante anzi indispensabile onorare lo spirito della Resistenza, inneggiare ai partigiani ed ai valori per cui molti si immolarono. Il dubbio riguarda il rischio di una vuota ipocrita recita sui valori della Resistenza da parte di troppi retori (non importa se si dichiarano di destra o di sinistra), tesi ai propri affari e intrighi di consorteria.
Quali valori? Quale resistere oggi?
Coinvolti
(Alessandro Gottardo, Shout)
In questa bella giornata di festa democratica mi piacerebbe che tutti provassero ad  elencare almeno approssimativamente ma in modo molto concreto i valori della Resistenza di ieri che ognuno di noi oggi dovrebbe proclamare e soprattutto praticare. Provo ad elencarne qualcuno, iniziando da quello che ritengo il primo fondante valore della Resistenza: Luisito Bianchi lo chiama “gratuità”, ma altri potrebbero chiamarlo diversamente, con nomi quali amore, solidarietà, condivisione, cura di sé e degli altri,  future generazioni comprese. Andiamo a leggere o rileggere “La messa di un uomo disarmato” e sentiremo e soffriremo il senso della gratuità per gli altri.

sabato 25 aprile 2015

La resistenza come categoria interpretativa del vivere. Omaggio a Luisito Bianchi.

a cura di Rossana Rolando
(per la presentazione di questo lungo articolo, 
di carattere filosofico,
si rimanda al post precedente: 
La Resistenza di Luisito Bianchi).

« …La Resistenza è un fatto di gratuità. 
La vera: la Resistenza al potere, non per instaurare un altro potere ma per la libertà dell’uomo. 
Per questo Resistenza è Gratuità, e Partigiano l’uomo gratuito. 
Il Dio gratuito non è forse il Dio Partigiano, 
che prende le parti di chi, in un modo o nell’altro, 
è perseguitato dal potere?»
Luisito Bianchi 
(da Monologo partigiano sulla Gratuità) 
  
Il silenzio di Dio ...
 (Marianne von Werefkin, La preghiera)
 Il XX secolo ha interrogato profondamente la coscienza dell’uomo contemporaneo e per chi, dopo Nietzsche, non ha rinunciato al concetto di Dio, ha posto domande brucianti sul silenzio e l’assenza di Dio, sull’impotenza di Dio nei confronti del male, rendendo problematico il  pensiero secondo cui Dio è il signore della storia, l’eterna Provvidenza che garantisce un senso alle vicende degli uomini.
Per questo le teologie e le filosofie della storia, che tanta parte hanno avuto nella cultura occidentale – da Agostino fino ad Hegel – sono avvertite oggi come insufficienti, “superate”. Altre prospettive, altre vie debbono aprirsi, affinché il discorso possa continuare. E’ questa la lezione di autori provenienti dall’area ebraica, quali Wiesel e Jonas, Adorno e Lévinas, i cui contributi risultano fondamentali per una riproposizione del concetto di Dio “dopo Auschwitz”, simbolicamente considerato come spartiacque ineludibile[1].

... dov'era Dio nella notte del male?  ...
(Marianne von Werefkin, Donna con lanterna)
Ed è in questa ottica che intendiamo riflettere con Luisito Bianchi, a partire da La messa dell’uomo disarmato[2]. E’ difficile definire il genere cui appartiene questo libro. Certo romanzo storico che si svolge nel periodo della seconda guerra mondiale, delle due guerre – di cui fa memoria Nuto Revelli: quella del fascio accanto ai tedeschi e quella partigiana contro fascisti e tedeschi[3] -, ma soprattutto romanzo sulla resistenza, come recita il sottotitolo.
Eppure nell’ambito della ricchissima letteratura della resistenza, da B. Fenoglio a C. Pavese, da I. Calvino ad A. Gobetti, questo libro costituisce anche un unicum[4]. Si riaggancia per certi versi al romanzo popolare, nella linea manzoniana degli umili protagonisti della storia, di una storia vista dal basso, dal popolo, in una coralità che senza sbiadire la fisionomia propria di ogni personaggio, la inserisce in un tessuto di relazioni inclusive, solidali, il cui centro propulsore e aggregatore è rappresentato dalla “Campanella”, una cascina in mezzo alla piana padana[5]. E manzoniana è anche la vena ironica che accompagna alcuni quadretti di vita popolare e alcune figure.

martedì 21 aprile 2015

Ora e sempre Resistenza.


ORA E SEMPRE RESISTENZA
(Piero Calamandrei).
                                     
Resistere ai vari poteri ...
“La Resistenza è un fatto di gratuità. La vera: la Resistenza al potere, non per instaurare un altro potere ma per la libertà dell’uomo. Per questo Resistenza è gratuità, e Partigiano l’uomo gratuito. Il Dio Gratuito non è forse il Dio partigiano, che prende le parti di chi, in un modo o nell’altro, è perseguitato dal potere? La Resistenza del 1944-45, dei morti e di quei vivi che non l’hanno mai svilita ad instaurazione di nuovi poteri, fu la grande parola laica di gratuità, che ha generato e genera ancora figli ogni qualvolta si resiste al potere dell’uomo in nome dell’uomo" 
(Don Luisito Bianchi,  DIALOGO SULLA GRATUITA’).

























... resistere per la libertà.
Tra pochi giorni saremo tutti subissati dalle celebrazioni agiografiche della Resistenza: 70 anni! Celebrazioni doverose, necessarie, se veramente ci si soffermerà  a riflettere sui  suoi valori, per mantenerci fedeli ad essi nella costruzione dell’oggi e del domani.

La Resistenza non è 
un prodotto da vendere.
Per questo, senza mezzi termini, vorrei che coloro che non onorano lo spirito della Resistenza si astenessero da ogni forma di ipocrita retorica, così come già 55 anni fa – era il 24 luglio 1960 -  sollecitava Carlo Arturo Jemolo in un articolo apparso su “La Stampa”.
La Resistenza non sia argomento 
di una retorica ipocrita.
Inviterei a prendere le distanze, con umiltà ma con fermezza, dai facili pensieri, dalle sicurezze classificatorie di tanti benpensanti (non importa se di destra o di sinistra) che, sordi e ciechi alla drammaticità del nostro presente e delle sofferenze cogenti di chi è meno garantito, antepongono i loro interessi e gli intrighi delle loro consorterie alla risoluzione del dramma che il Paese, il Mediterraneo ed il mondo intero stanno vivendo e soffrendo.

La Resistenza è estranea 
a chi gioca con le sofferenze del mondo.
Inviterei a guardarci bene dall’inneggiare alla Resistenza ed ai partigiani, se gli odierni comportamenti  non corrispondono  ai valori  per cui essi s’immolarono, perché “si parla troppo della Resistenza e poco si riflette sui suoi valori”.
La Resistenza interroga 
sui valori.
Forse si assottiglierebbe il numero di coloro che oggi a gara plaudono alla Resistenza, ma rifiorirebbero le speranze in una vera unità europea dei popoli e non solo dei governi, nella collaborazione  tra i diversi partiti per il bene del paese, nella solidarietà e mobilità sociale, nella democrazia sostanziale e non formale, nell’equità fiscale, nel ripudio della guerra, nel dovere da parte di tutti i governanti di vivere una vita limpida, estranea ad ogni forma di corruzione, pravilegio e clientelismo.

La Resistenza non ammette la ricchezza 
che nasce dalla guerra, dalla corruzione, dall'ingiustizia...
Celebrare la Resistenza significa liberarsi una volta per tutte   da certi  modi di fare politica, dalla sottesa  aridità spirituale, dal disincanto che non ammette aneliti, ma solo maschere, simulacri, formule trite, diversivi ed intrighi di consorteria. Significa non dare pace all’idolatria del paganesimo politico,  non scendere a patti con chi crede gli altri per forza somiglianti alla propria mediocrità, non rinunciare all’obbligo di pensare e prendere coscienza del rovinio della futilità; soprattutto significa ristabilire le grandezze, continuando l’impegno pervicace quotidiano di fare crescere la speranza e la fiducia nelle istituzioni politiche, in sé né dannate né prevaricanti.

Resistere vuol dire 
coltivare la speranza ...
Celebrare la Resistenza significa far cadere i veli e le illusioni, precisare i contorni del vecchio e del nuovo, che non sono il passato o il futuro, gli anziani  o i giovani, ma dimensioni spirituali. “Nuovo” significa ritornare a pensare in grande, riappropriarsi degli orizzonti che appartengono a chi  ben conosce la miseria e la grandezza dell’uomo, a chi non aspira ad impossibili purezze, ma esige con ogni sforzo la via della coerenza e della testimonianza  più autentica da parte di tutti, soprattutto di coloro che hanno pubbliche, e non solo politiche, responsabilità.

Resistere vuol dire costruire il tempo 
e non lasciarsi vivere nel tempo...
La Resistenza fu fenomeno europeo, avviamento ad una Europa (di popoli non solo di governi) unita nella libertà, solidale (per la quale sarebbero risultate inconcepibili l’inerzia e l’indifferenza per le ecatombi nel Mediterraneo, senza dimenticare lo stillicidio quotidiano delle morti anonime  dei fuggitivi migranti nelle lande africane, ai confini tra Messico ed Usa, in Australia…).
Resistere vuol dire uscire 
dall'indifferenza verso gli altri, 
bersagliati dalla vita.
La Resistenza, che fu collaborazione fra partiti diversi, è tradita dall’esasperazione di contrasti tra i partiti senza un perché, dove maggioranze e minoranze si demonizzano a vicenda, rifiutando ogni collaborazione perché non sanno e non vogliono guardare alle mete comuni.
La Resistenza fu unione di credenti e di atei, ognuno rispettoso della diversità e dei valori dell’altro.
Resistere significa unire gli sforzi 
nella tensione verso mete comuni.
La Resistenza si espresse nel sacrificio, nella rinuncia ai vantaggi personali, nella generosità e solidarietà che mal si combinano con l’iniquità fiscale, “gli alti redditi ed i munifici stipendi”, l’impudico tenore di vita di troppi politici, i pravilegi, le corruzioni, le mille forme di nepotismo che in troppi bandi o esami o concorsi pubblici impediscono la selezione dei più capaci,  negano  i meriti e frenano la mobilità sociale.
Lo spirito della Resistenza è la democrazia,  ma “sono i democratici -  così scriveva G. Bernanos - che fanno le democrazie, è il cittadino che fa la repubblica. Una democrazia senza democratici, una repubblica senza cittadini, è già una dittatura, la dittatura dell’intrigo e della corruzione” (cfr. La Francia contro la civiltà degli automi, Brescia 1947, pag.25).
Resistere vuol dire 
uscire dal gregge ...
“Se così si fissasse lo spirito della Resistenza - concludeva Carlo Arturo Jemolo -, si vedrebbe quanti realmente lo onorano e quanti lo aborrono. Certo si assottiglierebbe  molto il numero di coloro che oggi inneggiano alla Resistenza,  ma son certo che, “se cosa di qua in ciel  si cura”, quanti caddero per la Resistenza sarebbero ben lieti di vedere dimenticati i loro nomi, senza un fiore le loro lapidi, pur che restassero vivi (fosse pure coltivati da una minoranza) quei valori  per cui essi  s’immolarono”.
Resistere vuol dire 
raccogliere un'eredità.
Tutte le immagini - a nostro avviso potentissime - riportate in questo post sono tratte dalla pagina facebook di Angel Boligán Corbo, un artista cubano che denuncia, attraverso le sue vignette, le storture e le malattie della società contemporanea. 

Resistere significa
denunciare e annunciare.
Chiunque, tra gli amici o le persone interessate, voglia seguire le nostre pubblicazioni sul blog e ricevere l’avviso tramite facebook, può cliccare sul mi piace della pagina Persona e Comunità di facebook e, nella tendina che si apre, sul “ricevi le notifiche”. Grazie a tutti.