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Visualizzazione post con etichetta guerra Ucraina Russia. Mostra tutti i post
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domenica 12 marzo 2023

Se vuoi la pace prepara la pace.

Post di Rosario Grillo. 

Al vecchio detto si vis pacem para bellum 
propongo di sostituire si vis pacem para pacem
R. G. 
GUERRE
Ludwig Knaus(1829-1910), Eirene (Pace), particolare
La guerra ucraina sta turbandoci a tal punto da farci scoprire (finalmente) che il mondo attuale è interessato da molti conflitti distribuiti in varie sue parti.
Prima no.  Sbadatamente si sgranavano le "stazioni" di ogni evento bellico, dacché il muro di Berlino era crollato, senza  coinvolgimento politico e nemmeno emotivo. Guerre lontane. Delle quali non si metteva in conto una nostra eventuale responsabilità. Le parole del Papa che denunciavano una "guerra a pezzetti e bocconi" passavano inosservate.
Eppure, nella martoriata Africa, dal Sudan al Congo eccetera, le guerre si susseguivano senza soluzione di continuità, nei Balcani vedevamo conflagrare la confederazione jugoslava, in Arabia si è protratta la guerra yemenita, la "lotta al terrorismo" ci ha fatto piazzare bandierine inutili in Afghanistan in Siria in Somalia, dopo l’esplosione della guerra in Iraq.
In sostanza non ci si è soffermati a riflettere sulla permanenza della guerra  né si è avviata una riconsiderazione sulla "ontologia" del fatto bellico.
La guerra si dice scaturisca dal lato aggressivo dell’essere umano (Freud: Eros versus Thanatos), mentre Eraclito nel VI sec. a. C. ci descriveva "polemos padre di tutte le cose". Concretamente, però, dobbiamo spostarci allo scenario moderno: a- della formazione dello "Stato nazionale", b- della competizione "mercantilista" con il seguito della penetrazione coloniale europea (1), c- delle guerre di religione. 
Lì, la paura incrociò il mostro Leviatano e ci fu l’occasione (fondamento) della  necessità della guerra dentro al consorzio umano.  (2) 

lunedì 30 maggio 2022

Guerra: arte, professione o dovere civico?

Post di Rosario Grillo.
Immagini delle opere sull'Ucraina di Vladimir Egorovič Makovskij, pittore russo vissuto tra il 1846 e il 1920.
 
Makovskij, Piccola Russia (Ucraina), 1885
“o pensare che non sia pace, o tanto prevalersi ne' tempi della guerra, che possano nella pace nutrirsi.”
(N. Machiavelli)
 
Davanti all’orrore della guerra si ergono impellenti obblighi morali, che consistono nella comprensione e nella reazione.
Obblighi che riguardano la comunità internazionale i singoli Stati; da lì discendono (e riguardano) i cittadini membri. Si devono aggiungere alla lista organismi non politici come le chiese; quindi per quanto ci tocca, la chiesa cattolica. Di questa, conosciamo bene la conduzione dell’attuale pontefice, in sintonia con i suoi precursori, almeno a partire da Benedetto XV. Bergoglio ha rimosso qualsiasi “ombra” (e compromesso) relativa al concetto di “guerra giusta (1) e messo in chiaro una pregiudiziale opzione per la pace.
Principio altamente fondato sulla dottrina evangelica riassunta nella dichiarazione di Cristo: “vi do la pace, la vera pace”. Se questo principio evangelico ha un senso, infatti, da esso si ricava che la guerra è errore: esercizio del nostro spirito egoistico, “insinuazione diabolica”.
Entrando poi nella pratica, risulta che con esso e da esso si impronta un sistema economico che privilegia il profitto individuale, a discapito della giustizia sociale (nella sfera di ciascuno Stato e nella sfera dei rapporti tra gli Stati).

sabato 23 aprile 2022

Libertà è liberazione. Dostoevskij.

 Post di Rossana Rolando.

Vincent van Gogh, La ronda dei carcerati, 1890, particolare, Mosca
Oggi, la parola liberazione, che ogni anno ricorre, legata al 25 aprile, si carica di nuovi pesanti fraintendimenti.

Festa civile fondativa della nostra convivenza, alla base dei valori della Costituzione italiana, essa è spesso motivo di divisione tra opposte parti politiche, segno di un rapporto irrisolto con il passato. La festa del 25 aprile risulta oggetto di rivendicazioni che molto svalutano il senso della liberazione: disdegnata da chi non si riconosce nella lotta dei partigiani, erroneamente considerati espressione di un solo ben connotato schieramento politico (essendo invece il risultato di molti e diversi partiti antifascisti); rifiutata  da chi guarda in modo nostalgico al ventennio fascista o addirittura all’ideologia nazista.

La guerra russo ucraina, e l’uso – da entrambe le parti - delle parole liberazione e resistenza, accompagna inoltre questo 25 aprile, inquinandolo con ulteriori polemiche: chi annovera la posizione dell’Ucraina nell’orizzonte semantico della resistenza e della liberazione dall’aggressore e chi non intende affatto applicare al fronte ucraino questi termini, interpretando il conflitto alla stregua di una guerra tra Nato e Russia.

sabato 16 aprile 2022

Squarci di tenerezza.

Post di Rossana Rolando.
 
Donatello, Madonna Pazzi, foto personale
Aprile è inoltrato, siamo ormai alla vigilia di Pasqua. Nelle chiese si celebrano i grandi simboli della cristianità. Da quasi due mesi incombe la guerra in Ucraina. Gli appelli alla pace e alla deposizione delle armi sembrano parlare un linguaggio del tutto incoordinabile con la logica del conflitto: quel che si avverte è la distanza tra la durezza del realismo politico e le vie impossibili della pace.
Se non si rimane sommersi dall’indifferenza, anestetizzati spiritualmente, si avverte l’esigenza di riandare alle sorgenti di un’umanità perduta. Quando tutto è così duro, ostile, ferreo, pesante, sentire dentro qualcosa che intenerisce, si smuove, si fa delicato e molle, è un segno. Montale direbbe: “E il segno dun’altra orbita: tu seguilo”.¹
 
C’è chi vorrebbe scrivere una storia della tenerezza. Isabella Guanzini ha dedicato ad essa un libro.² In questo post, più sommessamente, rimando ad alcuni squarci di tenerezza.

venerdì 8 aprile 2022

L'alba dell'Europa.

Post di Rosario Grillo.

Luci della terra, immagine NASA, 2002
Non esiste, ad onor del vero, un’entità già costituita alla quale possiamo dare il nome di Europa. Terra del tramonto: questo il “segno
” impresso, mentre la mitologia narra della principessa Europa violentata da Zeus in sembianze di toro.
Per questa ragione attingiamo dalle radici culturali; in questo modo, si impongono all’attenzione per primi: la tradizione giuridica romana e la Chiesa romana, assurta, tra Costantino e Teodosio, a “resume” della Roma imperiale, mentre sulla via della canonica aveva raggiunto una sintesi tra filosofia greca e dogmatica patristica.
Resta il bisogno di fissare una dimora. A questo riguardo, se Roma, la sede del vescovo di Roma, godeva della simbologia romana, contano: gli avamposti che l’impero bizantino manteneva nella penisola, l’insediamento dei regni romano barbarici, tra i quali, alla fine, prevalgono i Franchi (avevano fermato l’avanzata islamica a Poitiers), la costante instabilità a causa dell’espansionismo arabo (i saraceni nel Mediterraneo) e la nuova ondata di invasioni per mano dei vichinghi e degli Ungari. Questi ultimi, con grande evidenza, ci spingono a guardare ad est.
Così, svegliata la nostra coscienza storica, riconosciamo che buona parte dei barbari che avevano insidiato l’impero romano venivano dall’area di mezzo dell’oriente, che si estende dal Reno agli Urali, che si protende verso la penisola scandinava, che nel meridione comprende pianure ungheresi ed ucraine fino al Mar Nero. Non c’è Europa senza questo “melting”.
Sorprendentemente (perché nel medioevo, nonostante la difficoltà delle comunicazioni, ci si spostava) Carlo Magno diplomaticamente intrattiene rapporti con l’impero bizantino, i Vichinghi, con diverse vicissitudini, sono la cellula del regno normanno del sud che interagisce con arabi e con bizantini; più in là sarà Enrico I, imperatore del sacro Romano impero germanico, a sposare la vedova di Vladimiro I di Rus’.

sabato 2 aprile 2022

“Signore, disarmali. E disarmaci”!

Post di Gian Maria Zavattaro
Immagini del "Regno della pace" di Edward Hicks (pittore americano, 1780-1849), in diverse versioni. 

Edward Hicks, Regno della pace
-
La pace non è assenza di guerra, è una virtù, uno stato d’animo, una disposizione alla benevolenza, alla fiducia, alla giustizia” (B. Spinoza, Trattato teologico - politico, Einaudi, 2007).
- La pace è il più grande bene umano, perché è la somma di tutti i beni messianici. Come la pace è sintesi e simbolo di tutti i beni, così la guerra è sintesi e simbolo di tutti i mali. Non si può mai volere la guerra per se stessa, perché è sistematica violazione di sostanziali diritti umani.” (Card. Martini, omelia in S. Ambrogio a Milano del 6.12.01, estratto La Repubblica del 7.12.01).
- “Per superare l’idolo dell’odio e della violenza è molto importante imparare a guardare al dolore dell’altro. La memoria delle sofferenze accumulate in tanti anni alimenta l’odio quando essa è memoria soltanto di se stessi, quando è riferita esclusivamente al sé, al proprio gruppo, alla propria giusta causa. Se ciascun popolo guarderà solo al proprio dolore, allora prevarrà sempre la ragione del risentimento, della rappresaglia, della vendetta. Ma se la memoria del dolore sarà anche memoria della sofferenza dell’altro, dell’estraneo e persino del nemico, allora essa può rappresentare l’inizio di un processo di comprensione. Dare voce al dolore altrui è premessa di ogni futura politica di pace.” (Card. Martini, “Ogni popolo guardi il dolore dell’altro e la pace sarà vicina” dall’articolo del Corriere della sera 27.08.2003).

Non ho nessuna chiave di lettura da proporre, nessuna dichiarazione  pro o contro. Semplicemente manifesto l'incondizionata disponibilità a tessere insieme con chiunque “legami di pace”; a potenziare insieme le “fabbriche della pace” in opposizione ad ogni fabbrica di guerra; ad invitare all’ascolto di tutti senza pregiudizi, comprese le parti belligeranti; ad imparare a cogliere la distanza siderea tra ritenere di avere delle ragioni e avere ragione; a parlare e parlarsi senza nascondere la propria identità; a continuare a convivere nel rispetto dell'altro, accanto a noi con la sua diversa cultura, lingua, esperienza di fede. E soprattutto condividere gioie e dolori degli altri “per capire che cosa fa gioire e soffrire l'altro, che cosa spera, che cosa desidera, perché così si può conoscere realmente concretamente l’ "altro" e insieme “prendere apertamente le parti contro l'odio e la violenza, riconoscere la differenza di ognuno, ma anche le affinità, pur con significati diversi”.  

Edward Hicks, Regno della pace
Noi, cittadini senza alcun potere, in questo momento abbiamo solo la forza della parola e dell’ascolto. Soprattutto la necessità di un linguaggio pulito, chiaro, non inquinato, oltre i sofismi degli intelligentoni, oltre la grandine di falsità, oltre il gioco disonesto delle ambiguità semantiche e delle ipocrisie concettuali di pace e di guerra, parole chiave che rischiano di essere solo suoni o rumori o peggio strumenti piegati per servire mortiferi interessi noti ed ignoti. 
Pace? Il deserto dei cimiteri (ricordate Tacito!)? Il silenzio delle città distrutte dalle bombe  e le fosse comuni? Eppure in tutte le lingue, al di là dei molteplici significati, c’è un’esperienza comune, un comun denominatore molto vicino allo SHALOM ebraico: integrità santità buon ordine stato di compiutezza e di perfezione. Un concetto positivo, riempito di qualcosa: non assenza ma presenza!
Guerra? Difensiva, aggressiva,totale, globale, preventiva, legittima? Giusta? Quando mai?
Spinoza afferma che “la pace non è assenza di guerra”: mi pare voglia farci capire che non basta dire ciò che la pace non è, ma ciò che è o deve essere. E’ certamente assenza di guerra: essere per la pace significa essere contro la guerra, non accettarla come fatalità, rifiutare tutte le guerre soprattutto oggi, quando le modalità distruttive sono talmente imponderabili che non c’è nessuno in grado di controllarle e di impedire che l’umanità precipiti nella “pace” dei cimiteri. Spinoza sapeva bene che la parola pace (Shalom) è concetto  positivo, riempito dalla presenza di uno stato d’animo virtuoso. Riguarda non solo i popoli ed i loro governanti, ma ognuno di noi, come ci avverte la Pacem in terris”: “A tutti gli uomini di buona volontà spetta un compito immenso: il compito di ricomporre i rapporti della convivenza nella verità, nella giustizia, nell’amore, nella libertà: i rapporti della convivenza tra i singoli esseri umani; fra i cittadini e le rispettive comunità politiche; fra le stesse comunità politiche; fra individui, famiglie, corpi intermedi e comunità politiche da una parte e dall’altra la comunità mondiale”.
Edward Hicks, Il Regno della pace
La pace non c’entra niente con i parolai dei salotti virtuali. Non ci interessano né il pacifismo della paura, dell’astensione e della propria tranquillità disturbata, né i salotti virtuali 
su chi ha torto e chi ha ragione, spettacoli di alterchi sprezzanti di chi non è in guerra ma fomenta litigiose incomprensioni, il livore uccide il dialogo ed ognuno fa il suo gioco.
Rivendico piuttosto il dovere silente di essere operatore di pace!
Ogni giorno siamo invasi dalla mortale tragedia di un mare di persone. Che cosa possiamo fare in concreto noi, cittadini inermi, oltre che non stare zitti e gridare la nostra rivolta morale, per fermare una spirale che non si sa dove finirà?
Scriveva Paul Ricoeur: “Dentro lo spessore del male introdurre la follia della compassione. Ho la responsabilità di far diminuire il male con la giustizia e la poetica dell'agape”. Scriveva Aziz Fuad: Faccio ogni giorno quello che posso perché l'assurdità della guerra scompaia dalla vita di ogni uomo”.
Quante volte ci siamo detti che la pace dipende anche da ognuno di noi, dalla nostra quotidiana relazione con noi stessi prima di tutto e con gli altri, dalla nostra capacità di accoglierci ed ospitarci reciprocamente! E’ vero, terribilmente vero, ma non basta a mutare a ciò che succede ora in Ucraina e in tante altre parti del mondo. 
L’invocazione “Signore, disarmaci e disarmali!”(1) è preghiera e  insieme grido che si fa voce delle vittime, appello urgente a chi può “fermare immediatamente l’inumana tragedia”. Penso alle incessabili suppliche invocazioni gesti di papa Francesco! Anche a noi compete il precipuo  dovere della preghiera, che interpella la nostra coscienza di cristiani. Anche noi dobbiamo dare voce al dolore altrui, premessa di ogni futura politica di pace, non cedere all'assuefazione-rassegnazione fatalistica o a fugaci effimere reazioni emotive, non  cadere nelle trappole della guerra-spettacolo, delle informazioni manipolate e del verminaio di contrastanti interessi noti ed ignoti.  
Edward Hicks, Regno della pace
Rimane indubbiamente difficile decifrare in modo certo e non ideologico la storia complicata di odio e violenze secolari delle presenti vicende belliche (2).
Rimane l’urgenza di rischiarare,  in primis a me stesso, il dibattito “bellicisti-pacifisti”. Meditare e rimeditare, nel mio caso,  lapidarie considerazioni, nelle quali mi riconosco, di Emmanuel Mounier, che già nel 1939 poneva in discussione la guerra "giusta" e che insieme ammoniva che "una pace apparente è un male spirituale equivalente al male della guerra" (3).
Concludo con un interrogativo: la scuola? Ha il dovere della parola, contro la ridondanza frastornante e la presunzione di tanti saccenti e nuovi sofisti, contro lo smarrimento prodotto dai media, contro la guerra come puro spettacolo. Ha il dovere di educare alla pace: far comprendere che la giustizia è il vero fondamento della pace, che non è solo assenza di guerra, ma profonda esperienza spirituale e rispetto dei diritti-doveri; suscitare una corale coscienza internazionale; promuovere consapevolezza che la guerra non è l'unica trasgressione del diritto alla vita, lo sono pure povertà ingiustizia disuguaglianze; coinvolgere i giovani, al di là della retorica e delle tautologie, ad essere ognuno qui adesso costruttore di pace. E continuare a proclamare la nostra presenza a quanti soffrono le guerre: “Voi tutti  che nel mondo soffrite per la guerra non siete abbandonati: noi con voi vogliamo la pace e insieme costruirla”. 
Edward Hicks, Regno della pace
Ma le parole da sole non liberano. Ci vuole l’esempio, la testimonianza, la com-passione che si fa azione. Non si educa alla pace se non la si pratica e la si vive ogni giorno  in un contesto dove docenti e studenti respirano l'I Care della pace che trasformano insieme in  esperienza di pace. Pensate a cosa possono fare, uniti,  nelle scuole docenti studenti genitori non docenti, dove si vive l’ospitalità reciproca, l’indifferenza è bandita, ci si impegna sul versante dei diritti umani, si pratica il dono del volontariato, alla luce non solo dell’art. 11 della Costituzione, ma di tutti i primi dodici articoli. Altrimenti ci prendiamo in giro: non si può educare alla pace se non si è credibili, se non la si pratica e la si vive in contesti dove non ci si considera nemici. Se io studente sperimento con il mio insegnante la relazione di pace, farò altrettanto con gli altri, sarò spronato a volere e vivere anch’io una cultura di pace. Pensate a cosa può fare una scuola che promuove concerti, mostre artistiche, scambi con scuole italiane e di altre nazioni, pratiche di solidarietà sul territorio o nell’ambito mondiale, che difende i diritti umani e l’ambiente, che sollecita la riflessione su tematiche di grande attualità e di ampio respiro, che pratica  l’accoglienza di chi è in difficoltà o fugge dalle guerre, dalla fame, dall'orrore! Scuola che ogni giorno vive la cultura di pace e la trasforma in esperienza di pace. Ed insieme tutti contribuiscono alla costruzione del futuro, insieme tessono “legami di pace”, si curano dell’altro, s’incontrano senza sospetti, si riconoscono come persone, sognano insieme. Ognuno di noi assuma le proprie responsabilità. Solo allora potremo anche noi intonare con il card. Martini  la
 
  PREGHIERA PER L'EUROPA
   Padre dell'umanità, Signore della storia,
guarda questo continente europeo 
al quale tu hai inviato tanti filosofi, legislatori e saggi, 
precursori della fede nel tuo Figlio morto e risorto.

Guarda questi popoli evangelizzati da Pietro e Paolo,
dai profeti, dai monaci, dai santi;
guarda queste regioni bagnate dal sangue dei martiri
e toccate dalla voce dei Riformatori.

Guarda i popoli uniti da tanti legami
ma anche divisi, nel tempo, dall'odio e dalla guerra.
Donaci di lavorare per una Europa dello Spirito
fondata non soltanto sugli accordi economici,
ma anche sui valori umani ed eterni.

Una Europa capace di riconciliazioni etniche ed ecumeniche,
pronta ad accogliere lo straniero, rispettosa di ogni dignità.
Donaci di assumere con fiducia il nostro dovere
di suscitare e promuovere un' intesa tra i popoli
che assicuri per tutti i continenti,
la giustizia e il pane, la libertà e la pace.

(P. Carlo Maria Martini)

Note. 

Edward Hicks, Regno della pace
(
1) Preghiera diffusa dai vescovi francesi nel novembre 2015, scritta nello spirito di Tibhirine da frère Dominique Motte, domenicano del Convento di Lille. Riporto parte del testo:“Disarmali Signore: e fa che sorgano in mezzo a loro profeti che gridano la loro indignazione e la loro vergogna nel vedere come hanno sfigurato l’immagine dell’Uomo, l’immagine di Dio”. “Disarmali, Signore dandoci, se necessario, poiché è necessario, di adottare tutti i mezzi utili per proteggere gli innocenti con determinazione. Ma senza odio. Disarma anche noi, Signore[…] senza ovviamente giustificare il circolo vizioso della vendetta […]. Dacci, Signore, la capacità di ascoltare profeti guidati dal tuo Spirito. Non farci cadere nella disperazione, anche se siamo confusi dall’ampiezza del male in questo mondo”. “Disarmaci e fa' in modo che non ci irrigidiamo dietro porte chiuse, memorie sorde e cieche, dietro privilegi che non vogliamo condividere. Disarmaci, a immagine del tuo Figlio adorato la cui sola logica è la sola veramente all’altezza degli avvenimenti che ci colpiscono: ‘Non prendono la mia vita. Sono io che la dono’ ”.
 
2. Non è solo questione di guardarsi dalle false notizie o di tenersi lontani dagli spettacoli dei salotti virtuali. È molto di più, è questione di essere liberi, di essere persone  che pensano, problema di "cultura" quale la intendono le persone che sanno bene che “chi conosce tutte le risposte, non si è fatto tutte le domande” (Confucio): "cultura" che può impedire agli uomini di accanirsi l’uno contro l’altro perché coltiva il dubbio, perché seleziona i dati da fonti affidabili non inficiate da pregiudizi, conosce ed approfondisce la geografia e la storia come  come bussole di orientamento per capire meglio il mondo e i suoi abitanti e mettere in prospettiva quello che succede.
3.cfr. I cristiani e la pace, Ecumenica ed., Bari, 1978. Mounier pubblica “Les crètiens devant le problème de la paix” nel 1939, all’indomani del malaccorto imprevidente patto di Monaco. La guerra, sempre un flagello, è oggi un cataclisma sproporzionato a qualunque possibile causa ed una catastrofe spirituale totale. “È inconcepibile che il cristiano possa oggi scherzare con leggerezza sull’eventualità di un conflitto che sarebbe la confessione dello scacco della cristianità occidentale. Sarebbe intollerabile che vi pensasse come a un rimedio estremo, che l’accettasse come una fatalità, mentre la guerra non è che uno scasso, un muro di disperazione. Una nuova guerra consacrerebbe le dimissioni di questa cristianità”(cfr. pp.75-76). "La possibilità di una guerra giusta secondo la definizione scolastica è dunque sempre più contestabile" (p.73).
La guerra è abbandono dell'"ordine interiore e della giustizia visibile", abdicazione dalla "virtù cristiana della fortezza", negazione della virtù della "carità": è "dimissione". Ma per Mounier  "la guerra non è la sola dimissione possibile". Lo è anche “acquistare la pace a prezzo di un accrescimento di bassezza, di un nuovo regresso dello spirito cristiano dinanzi alle forze anti-cristiane. Il cristiano non ha il diritto di fare questa scelta. Anche davanti alla catastrofe della guerra? Sì, anche davanti ad essa” (pp.75-77). “La pace apparente, a certe condizioni, è un male spirituale equivalente al male della guerra” (p.18).
“In una situazione fatale in cui sembra che non si abbia altra scelta che la guerra ad ogni costo, anche a costo della salvezza della propria nazione, occorre esplicare tesori di energia e di ingegnosità politica per cambiare la situazione, come i grandi caratteri possono sempre fare, al fine di salvare con ogni impegno e la pace e l’onore, e cercare di non mettersi più in tali conseguenze estreme” (76-77). “In un mondo dove alcuni vogliono la guerra o alcuni non escludono di ricorrervi, il rifiutarsi a qualsiasi azione potendo correrne il rischio, significa rifiutarsi a qualsiasi resistenza, poiché tale rischio si trova ovunque, salvo che nell’avvilimento o nel suicidio deliberato. Si deve correre questo rischio mentre si deve fare uno sforzo tanto più eroico per scongiurarlo. Dio deciderà il risultato. Sarebbe vano dissimulare l’aspetto tragico di queste opzioni in un mondo in cui ogni opinione sembra carica di disperazione e di peccato. Ma, ridotto in vicoli ciechi così tenebrosi, il cristiano non può ripiegare su di una falsa pace, fatta di tradimento e di compromesso, egli passa all’assalto” (77). 
Quale futuro? Quali strategie? Nel nostro piccolo dobbiamo rispondere. Non ci si salva da soli né spiritualmente né socialmente. Conoscere il dato storico e piegarlo al massimo del servizio cristiano. Lottiamo come disperati contro la guerra che viene, non accordiamole neppure un briciolo di complicità. Ma non arriveremo ad esorcizzarla se non come si scongiura una malattia, presentandole un’anima sana in un corpo sano. Contro “il bellicismo” questo riduttore: l’assoluto della Carità cristiana; contro la forma di “pacifismo” che serve le imprese della violenza: la vocazione terrena del cristiano, l’umiltà che è il senso della terra, una pazienza con la storia che è la stessa inesauribile pazienza di Dio” (77-78).

venerdì 18 marzo 2022

No guerra.

Post di Rosario Grillo.

Francobollo per pace e libertà, Europa, 1995
Debbo una risposta al mio amico Gian Maria e cerco una risposta alla mia “tempesta del dubbio”. (1)
Nel secondo caso, un intreccio di problematiche soggettive ed ingorghi oggettivi suscitati ad iosa da una crisi generale (quella che ufficialmente è cominciata nel 2007), da una lunga pandemia e ora della guerra in Ucraina chiede un’interpretazione, almeno un tentativo di risposta.
Gian Maria ha posto il dilemma: o vita, quale scelta conseguente al conforto dei desideri soggettivi e delle comodità di supporto, o libertà, quale norma fondante di uno star assieme, della società umana, che, comunque, porta nel profondo il segno di un patto etico-spirituale.
Il livello dello smembramento sociale è ormai molto avanzato. (2) Sollecitato da mille fattori: solleticazione dell’individualismo nel contesto del neo liberismo, crisi involutiva della Democrazia, crisi, implicita e indotta, degli organi intermedi, parossismo della logica del consumismo, torsione psicologica in presenza della prolungata pandemia, e senza soluzione di continuità, della minaccia derivata dalla guerra ucraina.
Effetti evidenti: una lingua di Babele, ovvero un accavallarsi di opinioni che, sic et simpliciter, si trasformano in ideologie; una diffidenza reciproca che ora rasenta l’ostilità preventiva; una situazione pericolosamente incline al bellum omnium contra omnes.

sabato 12 marzo 2022

Cultura ucraino russa e libertà.

Post di Gian Maria Zavattaro.
Immagini del pittore russo Viktor Michajlovič Vasnecov (1848-1926).

Viktor M. Vasnecov, Trasloco
In questi giorni di atroce guerra russo ucraina, il filosofo Vito Mancuso ha contribuito allo sviluppo della riflessione pubblica con due articoli: uno su pace e guerra e sull'invio di armi in Ucraina, da parte dell'Europa
(qui), l'altro relativo al binomio vita e libertà (qui). In quest'ultimo viene posto il seguente interrogativo: "Ci sono momenti nei quali la Storia bussa alla porta della coscienza e impone domande decisive, rispondendo alle quali si ha una rivelazione. Sono i momenti «apocalittici». Io penso che noi ne stiamo vivendo uno e la domanda apocalittica o rivelativa che sento premere dentro di me è la seguente: vale di più la vita o la libertà?  Vita e libertà sono i due valori decisivi per l’esistenza di ognuno di noi: la vita è la nostra dimensione fisica, la libertà è la nostra dimensione morale."
 
Salvare la vita in cambio della libertà e, con questo, accettare di diventare schiavi, oppure combattere per la libertà, pronti a sacrificare anche la vita? Questo è il grande dilemma che si presenta. 
Dall'altra parte, l'economista e storico dell'economia, Luigino Bruni  ha scritto di rimando (qui): "La vita è un valore etico, non è faccenda biologica, è faccenda etica e spirituale. Altrimenti la non violenza, la scelta di Abele che muore per non uccidere, non avrebbe valore etico. Inoltre la scelta della mitezza non è alternativa alla libertà, è solo un mezzo diverso per raggiungerla."

domenica 6 marzo 2022

Figure del nemico.

Post di Rossana Rolando
Immagini dei dipinti del pittore ucraino Kyriak Kostandi (1852-1921).

Kyriac Kostandi, Fuori nel mondo, 1885
Sentiamo che molto ci sfugge. Ci lambisce continuamente il sentimento profondo dell’insensatezza di questa guerra. Assurdi i combattimenti, assurdi i morti tra i quali molti bambini, assurdo lo sventolio della possibile deflagrazione nucleare della guerra. Eppure la storia insegna che l’insensatezza non è mai tale per chi la vive e la interpreta: tutto risponde ad una logica, magari semplificata e perversa, ma pur sempre ad una logica. Specialmente nei regimi.
 
Abbiamo letto nei giorni scorsi, dall’inizio di questa guerra della Russia di Putin contro l’Ucraina, numerose analisi storiche e politiche; abbiamo ascoltato molte voci soprattutto per cercare di capire – che non vuol dire affatto giustificare – le motivazioni che hanno mosso Putin verso un passo così atroce, rispetto al quale si è alzata netta, forte e unita la condanna dei paesi europei e di molti altri nel mondo.
 
Le ragioni dell’Ucraina non hanno bisogno di essere cercate, sono lì evidenti: una nazione indipendente che viene aggredita, violata nel suo territorio, nelle sue città, nelle sue strade e nei suoi palazzi, massacrata nella carne della sua gente, ridotta alla fame, costretta a fuggire. Un paese che resiste orgogliosamente con le famiglie che si spezzano e con gli uomini che rimangono a combattere, un popolo niente affatto indebolito dalla consuetudine alla libertà, fiero, pronto a morire per riguadagnare la propria sovranità.