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Visualizzazione post con etichetta resistenza. Mostra tutti i post
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lunedì 29 aprile 2024

Preti ribelli.

Articolo di Gian Maria Zavattaro, già pubblicato su Avvenire, pagina diocesana di Albenga Imperia del 28 aprile 2024.

Daniele La Corte, Tradito
Ogni giorno - tanto più il 25 aprile - occorre e fa bene ricordare: riportare alla memoria non solo eventi nazionali e mondiali ma anche persone da non dimenticare del nostro ponente ligure (e dintorni).
Ci aiuta “TRADITO Don Giacomo Bonavia e i preti “ribelli” (Fusta ed, ottobre 2023) del noto giornalista e scrittore Daniele La Corte sulla “resistenza” tra l’8 settembre ‘43 e il ’45.
Sintesi non casuale è la citazione iniziale di don Gallo: “Il posto di un prete è fra la gente: in chiesa, per strada, in fabbrica, a scuola, ovunque ci sia bisogno di lui, ovunque la gente soffra, lavori, si organizzi, lotti per i propri diritti e la propria dignità”.

mercoledì 24 aprile 2024

Resistere nel quotidiano.

Post di Gian Maria Zavattaro.
Immagini di Militanza Grafica (qui).
 
Militanza Grafica, Oh partigiano
“La Resistenza è un fatto di gratuità. La vera: la Resistenza al potere, non per instaurare un altro potere ma per la libertà dell’uomo. Per questo Resistenza è Gratuità  e Partigiano l’uomo gratuito. Il Dio gratuito non è forse il Dio Partigiano, che prende le parti di chi, in un modo o nell’altro, è perseguitato dal potere?” (Luisito Bianchi, Monologo partigiano sulla Gratuità).
 
“Sono i democratici che fanno le democrazie, è il cittadino che fa la repubblica. Una democrazia senza democratici, una repubblica senza cittadini, è già una dittatura, la dittatura dell’intrigo e della corruzione” (G. Bernanos, La Francia contro la civiltà degli automi, Brescia 1947, pag. 25).
 
Non amo le celebrazioni retoriche, ma soprattutto non amo - è il rischio odierno - la cancellazione della memoria che vuol dire vivere in modo sfibrato il 25 aprile, dimenticando il senso delle radici della propria libertà. (1)
Stiamo respirando un’aria pestifera: vergognosi comportamenti di troppi uomini e donne ai vertici politici, dissidi tra partiti,  clima di irridente e sfacciata omologazione volto a ridurci a docili servi o a truppe cammellate, dilagare di guerre e stragi di innocenti, iniquità e violenze di ogni genere, ‘indifferenza per le tragedie collettive altrui, sfruttamenti,  disuguaglianze, migrazioni dei disperati.. E  un futuro sempre più incerto soprattutto per i giovani… (clima, lavoro…).  Tutto ciò dovrebbe obbligarci ad abbandonare le celebrazioni agiografiche per riprenderci e vivere i valori resistenziali, mantenerci fedeli ad essi nella costruzione dell’oggi e del domani.
Ricordo ancora - io imberbe studentello ginnasiale - un articolo di C.A.Jemolo apparso tanti anni fa su “La Stampa”, che già allora mi aveva colpito e che sinteticamente ripropongo in  nota. (2)

domenica 7 aprile 2024

9 aprile, morte di Bonhoeffer.

Post di Gian Maria Zavattaro.

Dietrich Bonhoeffer
"Ci eravamo - scrive Bonhoeffer - molto semplicemente posta la questione: che cosa vogliamo fare nella vita? Lui disse: vorrei diventare santo (e ritengo lo sia diventato); la cosa mi fece allora grande impressione. Tuttavia replicai, dicendo pressapoco: io vorrei imparare a credere. Più tardi ho capito e non ho finito di capirlo e di impararlo, che soltanto nel pieno essere-di-questo-mondo della vita si impara a credere" (Resistenza e resa).
Il 9 aprile 1945 - era il lunedì dopo la Domenica in Albis – all’età di 39 anni moriva sul patibolo, impiccato dai nazisti, il teologo protestante DIETRICH BONHOEFFER. “Questa è la fine – per me è l’inizio della vita” furono le ultime parole, mentre gli aguzzini lo strappavano ai compagni di prigionia. 
Chi conosce anche poco, come me, del suo pensiero e della sua azione sa bene quanto le sue intuizioni abbiano influito sul rinnovamento della teologia protestante e cattolica e quanto esse siano  ancora vive. Un tema vorrei qui ricordare: la constatazione dell’avvento di un “tempo totalmente irreligioso”.

sabato 17 febbraio 2024

Giacomo Matteotti, l'antifascista.

Post di Rossana Rolando.
Immagini di Militanza Grafica (qui il sito instagram)

Militanza Grafica, Giacomo Matteotti

Il centenario dell’assassinio di Giacomo Matteotti (1924-2024) è l’occasione per riprendere in considerazione - come esempio nobilissimo di impegno civile e morale - la figura del politico, dello studioso e dell’uomo. Lo fa Massimo L. Salvadori in un suo scritto dal titolo L’antifascista, uscito nell’ottobre dello scorso anno. Lo descrive come “uomo del coraggio”, capace di un’opposizione intransigente nei confronti del fascismo che, infatti, lo mette ben presto a tacere, consegnandolo alla tomba. Salvemini dirà: “Lui aveva fatto tutto il Suo dovere: e per questo era stato ucciso. Io non avevo fatto il mio dovere: e per questo mi avevano lasciato stare”.¹

L’idea del Socialismo. Nato nel 1885, in Veneto, da una famiglia benestante, Giacomo Matteotti sente la propria condizione privilegiata, rispetto a quella dei tanti braccianti della sua terra, come un appello all’impegno politico, all’interno del Partito socialista, al fine di lottare per migliorare le condizioni delle fasce più povere, deprivate di tutto, non solo sul piano economico, ma ben più a livello intellettuale e umano: “Il socialismo non sta per noi in un aumento di pane e in un più alto salario; benché anche questo sia sacrosanto e indispensabile a ogni altro elevamento […] Il Socialismo parte dalla realtà dolorosa del lavoratore che giace nella abiezione e nella servitù materiale e morale e intende e opera a sollevarlo e a condurlo a miglioramenti economici e intellettuali, a Libertà sociale e Libertà spirituale sempre più alte. Vuole cioè formare e realizzare in lui l’uomo che vive, fratello e non lupo con gli Uomini, in una umanità migliore per solidarietà e per giustizia”.²

sabato 23 aprile 2022

Libertà è liberazione. Dostoevskij.

 Post di Rossana Rolando.

Vincent van Gogh, La ronda dei carcerati, 1890, particolare, Mosca
Oggi, la parola liberazione, che ogni anno ricorre, legata al 25 aprile, si carica di nuovi pesanti fraintendimenti.

Festa civile fondativa della nostra convivenza, alla base dei valori della Costituzione italiana, essa è spesso motivo di divisione tra opposte parti politiche, segno di un rapporto irrisolto con il passato. La festa del 25 aprile risulta oggetto di rivendicazioni che molto svalutano il senso della liberazione: disdegnata da chi non si riconosce nella lotta dei partigiani, erroneamente considerati espressione di un solo ben connotato schieramento politico (essendo invece il risultato di molti e diversi partiti antifascisti); rifiutata  da chi guarda in modo nostalgico al ventennio fascista o addirittura all’ideologia nazista.

La guerra russo ucraina, e l’uso – da entrambe le parti - delle parole liberazione e resistenza, accompagna inoltre questo 25 aprile, inquinandolo con ulteriori polemiche: chi annovera la posizione dell’Ucraina nell’orizzonte semantico della resistenza e della liberazione dall’aggressore e chi non intende affatto applicare al fronte ucraino questi termini, interpretando il conflitto alla stregua di una guerra tra Nato e Russia.

venerdì 23 aprile 2021

Resistenza e scuola nel tempo del covid.

Post di Gian Maria Zavattaro 
Vignette di Mauro Biani (con gentile autorizzazione).
 
Mauro Biani, Liberazione, 25 aprile
Il 25 aprile (quest’anno cade di domenica) siamo tutti invitati a ripensare il valore della Resistenza e della nostra libertà, proprio alla vigilia di nuove speranze nei riguardi della resistenza al covid.
 
Penso soprattutto alla scuola ed ai suoi fondamenti valoriali radicati nei primi 12 articoli della Costituzione: dignità del lavoro, diritti inviolabili della persona e pari dignità di tutti, solidarietà politica economica e sociale, impegno a rimuovere gli ostacoli che impediscono libertà uguaglianza partecipazione dei cittadini, libertà religiosa, sviluppo della cultura e libertà della ricerca, tutela del paesaggio e del patrimonio storico ed artistico, accoglienza dello straniero, ripudio della guerra come valori essenziali dell’educazione, rapporto intrinseco tra pace e giustizia sociale ed internazionale.
 
Penso alla Resistenza, radice della Costituzione, e al valore della memoria (“senza memoria l’uomo non saprebbe nulla e non saprebbe fare nulla”), centrale soprattutto per lo sviluppo di una cittadinanza attiva giovanile.
 
Per noi anziani il tempo è costituito da un passato, dal presente e in minima parte da un futuro. Per i giovani il tempo è costituito soprattutto dal presente e da un futuro che appare oggi più come minaccia che come promessa. E’ inutile che ci lamentiamo dei giovani che non sanno progettare e guardare al futuro. Uno dei risultati del modo con cui gli adulti stanno gestendo la società è proprio la deprivazione del futuro per i giovani, senza la possibilità per loro di progettare a medio e lungo termine.
L’unica realtà che oggi percepiscono è questo tempo ferito, un presente dilatato senza confini precisi: non determinato da un passato per loro poco comprensibile data la velocità dei cambiamenti e non proiettabile in un futuro data l’incertezza nella quale si vive in questo tempo di covid. Se poi osserviamo la realtà in modo impietoso, possiamo constatare che spesso siamo noi adulti - in specie non pochi di coloro che sono ai vertici dei poteri - ad essere incapaci di guardare lontano per costruire un futuro che apparterrà ad altri.

venerdì 27 novembre 2020

Pietro Chiodi, un testimone.

 Post di Rosario Grillo.

Pietro Chiodi

Viviamo tempi critici se qualcuno scrive: Oggi il diritto è diventato pretesa e il narcisismo diffuso, triste lascito del Sessantotto e ancor più dei movimenti successivi, ci ha portato fino all’ossessione dei selfie o dei finti dibattiti televisivi. Ormai, grazie all’elettronica, tutti noi, anche i più renitenti, siamo diventati mosche prigioniere in una rete di rimandi che più si estende più ci invischia. Lo specchio della Regina di Biancaneve è il nostro emblema. Abbiamo sempre più difficoltà a misurarci con l’altro da noi e a obbligarci nei suoi confronti. Che altro c’è alla base dei sovranismi, dei respingimenti, dell’indifferenza per i bisogni del prossimo, delle fatue ed egoistiche rivendicazioni di autonomia sanitaria (“io la mascherina non la metto!”) se non il rifiuto, il fascista me ne frego, di riconoscere l’umanità degli altri?(1)

Il rimando al nome di Pietro Chiodi mette in moto il mio bagaglio mnemonico, dal quale ripesco: un lettore della filosofia kantiana, un esponente di un esistenzialismo italiano (corrente poco conosciuta, composta dei nomi di Nicola Abbagnano, Enzo Paci, L. Pareyson, C. Fabro).

sabato 25 aprile 2020

25 aprile, con le vignette di Mauro Biani.

Proponiamo qui alcune vignette di Mauro Biani (con gentile concessione), emblematiche della "Resistenza" oggi, di quel 25 aprile che dovremmo celebrare ogni giorno, per liberare la terra. In coda rimandiamo ad alcuni post di questo blog sul tema.

🌔Liberare come disarmare.


🌔Liberare dal cinismo.


sabato 8 febbraio 2020

Ogni generazione ha la sua resistenza.

Post di Gian Maria Zavattaro
Immagini di Nicola Gobbi (inventore del logo delle sardine), per gentile autorizzazione.

Nicola Gobbi, 2019
Non è casuale la coincidenza dei risultati delle  elezioni regionali in Emilia Romagna e Calabria con la giornata della Shoah. Era il banco di prova  circa la consapevolezza degli italiani, uomini e donne di oggi, del rischio tremendo della democratura. Era il test sul non dimenticare, sul resistere all’assordante frastuono degli spargitori di virus (paura, odio, ostracismo degli “altri”), dei manipolatori della parola, ipnotizzatori di bassa lega che con mille astuzie seduttive e spettacolari colpi di mano vogliono trascinare noi italiani nella sedazione profonda continuata del non pensare. (1)
Domenica 26 gennaio nessun partito ha vinto. Semplicemente è rinata la speranza democratica, perché i giovani coralmente hanno deciso di assumere il compito al quale troppi di noi adulti ed anziani hanno abdicato: essere “testimoni-passatori” del resistere.

martedì 13 agosto 2019

Fermiamo il cinismo che avanza.

Post di Gian Maria Zavattaro
Vignette di Stefano Rolli (con gentile autorizzazione).

Vignetta di Stefano Rolli
Premessa. Il cinismo è entrato prepotentemente nella politica italiana: un modo di vivere (essere-pensare-agire) la relazione con gli altri nell’ottica strumentale del dominio.  E’ un comportamento che si può e si deve giudicare ed a mio avviso ripudiare alla luce dei principi costituzionali, lasciando ai singoli cittadini il giudizio sulle persone che oggi in Italia, anche in seguito alle ultimissime vicende politiche (probabile crisi di governo dagli esiti ancora imprevedibili), visibilmente lo stanno incarnando.

Il cinismo in politica non è che il sintomo e l’espressione del generale vuoto nella cultura e nella società: segno terribile della tragedia di un popolo ingannato e di una gioventù preda di false guide. "Tutto è permesso" è la sua  formula: nella ridda di maschere che indossa e cambia può dire tutto ed il contrario di tutto, non si riconosce sottoposto a nulla, tranquillamente  vive la convertibilità degli opposti, ogni atto viene giustificato perché mai contraddittorio rispetto al nulla.  
Chi è dunque il cinico? Un millantatore: vende i suoi calcoli di parte come bene comune; non crede nei consensi ottenuti attraverso la ragione, ma attraverso l'occulta manipolazione dei social media e del sondaggio teleguidato; alla ragione sostituisce la seduzione delle pulsioni pilotate,  alla verità intera l'inganno delle menzogne e delle mezze verità, la  brutalità impudente che irride l'avversario, la violenza verbale che allude-prelude a ben altre violenze (1) e persino la spudoratezza di esibire il rosario o l’invereconda invocazione alla Vergine Maria. Perché tutto fa brodo e tutto, comprese le persone, è strumentale ai propri interessi ed ambizioni. 
Vignetta di Stefano Rolli
Obiettivo: mettere le mani in modo permanente sul maggior numero di voti da sfruttare. Per questo va bene il sarcasmo come modalità relazionale, va bene il linguaggio lubrico (scurrile triviale volgare), va bene il continuo frastuono seduttivo in perenne campagna elettorale, va bene la martellante manipolazione dei “professionisti dell’inganno” per imporre i propri slogan ed oscurare i veri decisivi problemi del vivere sociale. Così addomestica il popolo e trasforma il governo democratico in “signoria politica” (dei “pieni poteri”!).
Attraverso il sarcasmo: modalità relazionale di noncuranza e  disprezzo degli “altri”, i nemici, verso cui si convogliano sentimenti irrazionali di astio rancoroso (l'U.E., l'opposizione...) e, nel caso dei migranti, si emanano drastiche radicali soluzioni, distorcendo con toni concitati la realtà e distogliendo l’attenzione dai veri problemi.   
Attraverso il frastuono delle parole e delle menzogne. Le uniche parole che conosce sono quelle che fanno rumore, contrabbandate come linguaggio che elimina le distanze tra la gente ed i nuovi governanti; linguaggio dai  meccanismi sapientemente dosati da seduttori e manipolatori di mestiere; linguaggio malioso, che incide sulle pulsioni profonde dell’irrazionale e dell’inconscio e conquista l’opinione pubblica più fragile; linguaggio del dire senza dire, nella odierna situazione di  grande incertezza; linguaggio che non solo distoglie dal guardare in faccia la realtà, ma fa in modo che  un linguaggio diverso sia rimosso per autocensura collettiva, respinto da un indotto riflesso condizionato.
Vignetta di Stefano Rolli
La menzogna diventa difficilmente smascherabile: la notizia falsa, ripetuta miriadi di volte nello stesso giorno, assume per ciò stesso veridicità nel continuo fluire di messaggi e immagini. La reiterazione martellante non solo conferisce veridicità a notizie, promesse e propositi ma li fa percepire come fatti realizzati. Non solo: anche la ripetizione enfatizzata di una notizia in sé vera (es. delitto reale compiuto  da  “un clandestino”) diventa falsa quando si trasforma in “tutti i clandestini  sono delinquenti”. E non importa la parallela notizia del delinquente “italiano”…
Menzogna è indurre a credere come esistente una realtà che non esiste; sondare gli umori della propria maggioranza, scegliere quanto risponde alle sue attese e spacciarlo come bene ed interesse  nazionale; trasformare  con retorica prosopopea iniziative di corto respiro o al limite della costituzionalità in successi clamorosi; stordire i creduli con promesse irrealizzabili; canalizzare rabbia e rancori sociali contro capri espiatori impossibilitati a difendersi (es. i “migranti”!). Sistema menzognero che fa leva su due fattori: accettazione sociale della menzogna politica assicurata da truppe cammellate compiacenti verso la menzogna amica; la complicità dei media: di qui il loro controllo e progressiva colonizzazione. Si aggiunga l’incorreggibilità della notizia falsa nell’attuale sistema dei media. 
Così si diffonde la percezione dell’insicurezza, si approva e si celebra “il decreto sicurezza bis” senza colpo ferire.   
Vignetta di Stefano Rolli
Ma la vera tragedia nazionale è l’affermarsi della “signoria politica”, il cui segno ben visibile sono: l'agonia-esautoramento fattuale del Parlamento, non più luogo dove si legifera, si progetta e si costruisce insieme la casa comune nella ricerca di nobili compromessi  che tengano conto di tutte le parti in causa, ma non-luogo, strumentalmente  attivo solo per il voto di fiducia (il che significa essere ostaggi nelle mani di chi deciderà dei candidati prossimi); lo stravolgimento della divisione dei poteri legislativo esecutivo  giudiziario a favore della volontà di chi comanda; l'oltraggio ed il disprezzo della Costituzione, dei “doveri inderogabili di solidarietà” e delle norme del diritto internazionale.
Tragedia emblematicamente espressa giorni fa dall’annuncio della fine del governo espletato in un comizietto preelettorale di parte, in spregio alla Costituzione e al Parlamento, unico luogo legittimato. Dietro le nuove probabili imminenti elezioni è ben visibile il disegno di un fatidico 2022, in cui sostituire all’ingombrante Presidente della Repubblica, il  gentiluomo Mattarella strenuo difensore della Costituzione, un'accomodante figura.
Dossetti  nel 1994  uscì dal suo silenzio monacale con un accorato appello ai cattolici in difesa della Costituzione, in quella che non esitò a chiamare la “notte” della politica italiana. Nel citare Is 21: 12, la sua proposta era ricostruire le coscienze "in tanto baccanale dell'esteriore" e riscoprire “l'uomo interiore”, che vive secondo le virtù cardinali della fortezza temperanza prudenza e giustizia e, per il credente, “l'uomo salvato e potentemente rafforzato dall'azione dello Spirito di Dio” (2).
Vignetta di Stefano Rolli
Non esistono scorciatoie per uscire dalla “notte” oggi ancor più profonda: “notte” della  perdita del senso della comunità, del dilagare della  cultura dello scarto, della corruzione dilagante, della metamorfosi del potere di governo in “signoria politica”.  Non c'è scampo. 
Occorre attendere l’alba non come  sforzo generoso  di pochi, ma in unione con tutte le persone di buona volontà, al di là delle appartenenze politiche, ognuno testimoniando nel quotidiano la realtà della comunità e fraternità, parole obsolete in questi giorni di privazione, praticando la scelta di accogliere ogni persona, qualunque sia la sua condizione.
Attendere l’alba nel ripudiare la violenza ed ogni forma di sopraffazione, nell’indignarci sino alla collera ben sapendo che l’amore, più forte dell’odio, va oltre la giustizia e sa  perdonare, dimenticare, ricominciare.
Attendere l’alba nel  continuare a credere e sperare in un mondo nuovo dove far regnare la vera pace che riconcilia ed unisce le persone, senza sottrarsi agli inevitabili conflitti, ma  lottando  con cuore puro e mani pulite, centrati sul bene degli altri, sulla sorte dei poveri e delle sterminate folle dì diseredati e migranti.
Attendere l’alba, per me credente, è ascoltare e diffondere  la voce profetica di papa Francesco, che troppo spesso si ha l’impressione che  non venga vissuta né intesa  come libera attenta e profetica voce del Vangelo da professi cristiani immersi nel silenzio o, peggio, nel rifiuto mortale.   

Vignetta di Stefano Rolli
Note
1. cfr. La violenza è vicina di Raniero La Valle in http://ranierolavalle.blogspot.com/2019/07/la-violenza-e-vicina.html . La conclusione che se ne deve trarre è che l’intera azione di governo, se sopravvivrà, è fondata sul falso conclamato di una fiducia che non c’è. Essa viene simulata solo ai fini del calcolo sulle tattiche più utili per la conservazione del potere. Naturalmente secondo le regole formali governo e democrazia possono funzionare lo stesso, quello però che dai vertici del sistema si diffonde e discende fino ai rami più bassi della società è il senso di una corruzione profonda per cui tutto è lecito e ogni cosa, ogni “difesa”, è legittima per il proprio tornaconto, nella vita privata non meno che in quella pubblica. In questo contesto assume valore fortemente simbolico l’abbandono, da parte del magistrato che ne era stato incaricato, dell’ufficio di Autoritá per la lotta alla corruzione: quel tempo in cui la si credeva possibile, egli dice, è passato, la cultura è cambiata, la corruzione è il nostro destino. Ma noi possiamo accettare questo? Attenzione, su questa strada la violenza è vicina”.
2. cfr. qui: “Mi gridano da Seir: Sentinella quanto resta della notte? Sentinella, quanto resta della notte?  La sentinella risponde: viene il mattino, e poi anche la notte; se volete domandare, domandate,  convertitevi, venite". (Indice: La sentinella interpellata,1 Nessun rimpianto per il giorno precedente, 3  - La notte va riconosciuta per notte, 7 - La notte delle comunità, 12  L’illusione dei rimedi facili e delle scorciatoie per uscire dalla notte, 18  - Convertitevi!, 25  - L’uomo interiore, 29 -  L’uomo nuovo e la Città dell’uomo, 33). Cfr. pure G. Dossetti, Sentinella, quanto resta della notte? (Isaia 21, 1-12), Commemorazione di G. Lazzati nell’anniversario della morte, Milano 18/5/1994, ed. S. Lorenzo, RE 1994. Cfr. inoltre Saluto di don Giorgio Scatto, priore della comunità monastica di Marango di Caorle…….. qui

martedì 23 aprile 2019

Marco Balzano, "Resto qui". Restare in quanto resistere.

Post di Rossana Rolando.

Marco Balzano, 
Resto qui, Einaudi
❄️Ho appena finito di leggere il libro “Resto qui” di Marco Balzano¹, scrittore che ho avuto il piacere e l’onore di ascoltare il 12 aprile 2019, in occasione del Premio letterario tenuto nel Liceo in cui insegno.
Se associo questo suo libro alla ricorrenza del 25 aprile non è certo per il contenuto storico di liberazione dal nazifascismo - e dall’orrore del potere rappresentato da esso - che la giornata tradizionalmente richiama.
La storia raccontata non rileva alcuna vera discontinuità tra il prima e il dopo (rispetto al 25/4/1945). Narra di un paese della Val Venosta, nel sud Tirolo, vicino alla Svizzera, che conosce l’occupazione fascista prima (fino al 1943) e quella nazista poi (fino al 1945). La politica di italianizzazione condotta dal regime nei confronti della popolazione, di lingua tedesca, innesca una guerra tra italiani e sud tirolesi, tale da condurre questi ultimi, o almeno molti di loro, a vedere nel führer una possibilità di scampo rispetto all’oppressione fascista.
E, soprattutto, racconta di una diga - progettata prima degli anni ’20, iniziata nel 1940 e portata a termine nel 1950, a guerra conclusa - che seppellisce sotto una tomba d’acqua il paese di Curon (di cui fanno parte i protagonisti del romanzo), lasciando al suo posto un grande lago, da cui emerge soltanto il campanile di una chiesa, unica vestigia di un passato dimenticato.
Tra il fascismo e il dopoguerra, per il destino del luogo – “i masi, la chiesa, le botteghe, i campi dove pascolavano le bestie”² - non cambia nulla: nessun 25 aprile interrompe quella logica per cui “il progresso vale più di un mucchietto di case”³.

❄️Dunque il motivo per il quale credo di poter associare “Resto qui” al 25 aprile va ben al di là della semplice ricorrenza storica: è lo spirito che attraversa il libro e che trova la sua sintesi nella postfazione dello stesso Marco Balzano:
“Se la storia di quella terra e della diga non mi fossero parse da subito capaci di ospitare una storia più intima e personale, attraverso cui filtrare la Storia con la s maiuscola, se non mi fossero immediatamente sembrate di valore più generale per parlare di incuria, di confini, di violenza del potere, dell’importanza e dell’impotenza della parola, non avrei, nonostante il fascino che questa realtà esercita su di me, trovato interesse sufficiente per studiare quelle vicende e scrivere un romanzo”⁴.

martedì 24 aprile 2018

Rifare la Resistenza. Omaggio a Luisito Bianchi.

Post di Gian Maria Zavattaro
Immagini delle xilografie sulla Resistenza recuperate e riportate alla luce  a Ferrara (qui il sito).

 🌟🌟🌟🌟🌟OMAGGIO A LUISITO BIANCHI🌟🌟🌟🌟🌟
“Partigiano è un termine già troppo insidiato da quando lo intesi per la prima volta, nel terribile ed esaltante 1944, per poterlo a cuor leggero declassare da sostantivo ad aggettivo, col pericolo che quest’ultimo lo deturpi e lo vesta di “partitico”. Oh no, partigiano non ha nulla  a che vedere con partitico, che prende i suoi legami clientelari dai partiti. Partigiano è figlio della Resistenza, ed esiste solo dove sussiste Resistenza, ma è anche condizione e annuncio di Resistenza. E la Resistenza è un fatto di gratuità. La vera: la Resistenza al potere, non per instaurare un altro potere ma per la libertà dell’uomo. Quella che  nel 1944-45 viveva nelle baite bruciate, che portava le sue insegne sui corpi penzolanti degli impiccati, che disseminava di speranze ovunque il suo potente soffio sciogliesse nevi e cuori. Non la Resistenza contro qualcuno  o in favore di qualcuno, ma quella, di vivi e di morti, perché il potere perdesse la sua punta velenosa, distruttrice della libertà, e, quindi, dell’uomo. Per questo Resistenza è gratuità, e Partigiano l’uomo gratuito. Il Dio Gratuito non è forse il Dio partigiano, che prende le parti di chi, in un modo o nell’altro, è perseguitato dal potere? La Resistenza del 1944-45, dei morti e di quei vivi che non l’hanno mai svilita ad instaurazione di nuovi poteri, fu la grande parola laica di gratuità, che ha generato e genera ancora figli ogni qualvolta si resiste al potere dell’uomo in nome dell’uomo. […] E’ la voce dei morti che hanno dato la loro vita gratuitamente, senza nessun contraccambio; e dei vivi che stanno morendo senza avere visto il mondo nuovo che doveva uscire dalla Gratuità” (Luisito Bianchi, MONOLOGO PARTIGIANO SULLA GRATUITÀ, Appunti per una storia della gratuità del ministero nella Chiesa, ed. il Poligrafo, Padova, 2004, pp. 224-225). 

Don Luisito Bianchi, autore de La Messa dell’uomo disarmato: v. qui

Carlo Rambaldi, 
Ore d'angoscia
In un  tempo nel quale sembra prevalere ciò che Bellow definiva “l’inferno della stupidità” parlare della Resistenza nel senso indicato da don Luisito ha significato solo se insieme ci si interroga sul nostro resistere quotidiano. 
Ogni generazione ha la sua resistenza da praticare, di cui la Resistenza con la R maiuscola è il riferimento ideale per capire che cosa essa significhi. Resistere era opporsi al fascismo ed al nazismo, alla guerra, alla violenza, alle leggi razziali, alla mancanza di libertà, alla sopraffazione ed usurpazione. Non solo opporsi: resistere per ri-esistere, ridare vita alla democrazia, riaffermare i diritti-doveri intangibili di ogni persona,  la pace, la libertà, la giustizia, l’uguaglianza, la fraternità universale…

sabato 23 aprile 2016

25 aprile. "Resistere" oggi, i no e i sì.

“Sono i democratici   che fanno le democrazie, è il cittadino che fa la repubblica. Una democrazia senza democratici, una repubblica senza cittadini, è già una dittatura, la dittatura dell’intrigo e della corruzione” (G. Bernanos, La Francia contro la civiltà degli automi, Brescia 1947, p. 25).

Dire no
(Alessandro Gottardo, Shout,
Cinque modi per dire no)

71 anni dalla Resistenza! E soprattutto 71 anni di resistenza, non di tutti, non per tutti. Non ho dubbi su quanto ogni anno sia importante anzi indispensabile onorare lo spirito della Resistenza, inneggiare ai partigiani ed ai valori per cui molti si immolarono. Il dubbio riguarda il rischio di una vuota ipocrita recita sui valori della Resistenza da parte di troppi retori (non importa se si dichiarano di destra o di sinistra), tesi ai propri affari e intrighi di consorteria.
Quali valori? Quale resistere oggi?
Coinvolti
(Alessandro Gottardo, Shout)
In questa bella giornata di festa democratica mi piacerebbe che tutti provassero ad  elencare almeno approssimativamente ma in modo molto concreto i valori della Resistenza di ieri che ognuno di noi oggi dovrebbe proclamare e soprattutto praticare. Provo ad elencarne qualcuno, iniziando da quello che ritengo il primo fondante valore della Resistenza: Luisito Bianchi lo chiama “gratuità”, ma altri potrebbero chiamarlo diversamente, con nomi quali amore, solidarietà, condivisione, cura di sé e degli altri,  future generazioni comprese. Andiamo a leggere o rileggere “La messa di un uomo disarmato” e sentiremo e soffriremo il senso della gratuità per gli altri.

domenica 19 luglio 2015

Un pensiero mattutino, con Erri De Luca. La parola contraria.

 
Liberare la parola.

Un pensiero mattutino, con Erri De Luca. 
La parola contraria.

“In margine al diritto di parola contraria, desidero scrivere che per me si tratta di dovere.
Se non lo facessi, se per convenienza tacessi, badando ai fatti miei, mi si guasterebbero le parole in bocca. Il mio vocabolario di scrittore si ammalerebbe di reticenza, di censura. […] Per me, da scrittore e da cittadino, la parola contraria è un dovere prima di essere un diritto” (Erri de Luca, La parola contraria).

La parola che libera.
Il diritto di parola contraria non è il semplice diritto di esprimere verbalmente il proprio pensiero e le proprie idee, è il diritto di affermare un pensiero critico, opposto, resistente a qualcosa, contrario.
Non una parola che contraddice per capriccio o per istinto, no. Piuttosto una parola pensata e pesata, che si oppone a ciò che non è buono e non è giusto. 
Perciò diventa un dovere. Dallo spazio della libertà – sono libero di dire si entra in quello della giustizia e dell’etica: devo dire, non posso tacere. 

La parola che si oppone 
alle catene dell'ingiustizia.
La parola contraria ha un costo, si paga al duro prezzo dell'accusa, della sofferenza e dell'intima solitudine. 
Essa, infatti, si dissocia dalla convenienza e dalla noncuranza, è parola dettata dalla tensione verso un bene che supera l'individualità ed esce dall’io, dalla tranquilla e sicura soggettività per andare nella direzione dell’altro.
Perciò è il dovere di chi pensa ad alta voce ed è ascoltato, di chi scrive ed è letto, di chi guida ed è seguito. 
Ma è il dovere di ciascuno, di ogni cittadino che voglia essere davvero tale.

La parola contraria.
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sabato 25 aprile 2015

La resistenza come categoria interpretativa del vivere. Omaggio a Luisito Bianchi.

a cura di Rossana Rolando
(per la presentazione di questo lungo articolo, 
di carattere filosofico,
si rimanda al post precedente: 
La Resistenza di Luisito Bianchi).

« …La Resistenza è un fatto di gratuità. 
La vera: la Resistenza al potere, non per instaurare un altro potere ma per la libertà dell’uomo. 
Per questo Resistenza è Gratuità, e Partigiano l’uomo gratuito. 
Il Dio gratuito non è forse il Dio Partigiano, 
che prende le parti di chi, in un modo o nell’altro, 
è perseguitato dal potere?»
Luisito Bianchi 
(da Monologo partigiano sulla Gratuità) 
  
Il silenzio di Dio ...
 (Marianne von Werefkin, La preghiera)
 Il XX secolo ha interrogato profondamente la coscienza dell’uomo contemporaneo e per chi, dopo Nietzsche, non ha rinunciato al concetto di Dio, ha posto domande brucianti sul silenzio e l’assenza di Dio, sull’impotenza di Dio nei confronti del male, rendendo problematico il  pensiero secondo cui Dio è il signore della storia, l’eterna Provvidenza che garantisce un senso alle vicende degli uomini.
Per questo le teologie e le filosofie della storia, che tanta parte hanno avuto nella cultura occidentale – da Agostino fino ad Hegel – sono avvertite oggi come insufficienti, “superate”. Altre prospettive, altre vie debbono aprirsi, affinché il discorso possa continuare. E’ questa la lezione di autori provenienti dall’area ebraica, quali Wiesel e Jonas, Adorno e Lévinas, i cui contributi risultano fondamentali per una riproposizione del concetto di Dio “dopo Auschwitz”, simbolicamente considerato come spartiacque ineludibile[1].

... dov'era Dio nella notte del male?  ...
(Marianne von Werefkin, Donna con lanterna)
Ed è in questa ottica che intendiamo riflettere con Luisito Bianchi, a partire da La messa dell’uomo disarmato[2]. E’ difficile definire il genere cui appartiene questo libro. Certo romanzo storico che si svolge nel periodo della seconda guerra mondiale, delle due guerre – di cui fa memoria Nuto Revelli: quella del fascio accanto ai tedeschi e quella partigiana contro fascisti e tedeschi[3] -, ma soprattutto romanzo sulla resistenza, come recita il sottotitolo.
Eppure nell’ambito della ricchissima letteratura della resistenza, da B. Fenoglio a C. Pavese, da I. Calvino ad A. Gobetti, questo libro costituisce anche un unicum[4]. Si riaggancia per certi versi al romanzo popolare, nella linea manzoniana degli umili protagonisti della storia, di una storia vista dal basso, dal popolo, in una coralità che senza sbiadire la fisionomia propria di ogni personaggio, la inserisce in un tessuto di relazioni inclusive, solidali, il cui centro propulsore e aggregatore è rappresentato dalla “Campanella”, una cascina in mezzo alla piana padana[5]. E manzoniana è anche la vena ironica che accompagna alcuni quadretti di vita popolare e alcune figure.