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giovedì 25 luglio 2019

Wittgenstein spiegato con Pulcinella.

Post di Rossana Rolando
Immagini delle illustrazioni di Gennaro Vallifuoco (qui il link).

Gennaro Vallifuoco, illustrazione a 
"Le Guaratelle", di Roberto De Simone
Leggendo il libro di Tullio De Mauro, Guida all’uso delle parole, si incontra un capitolo intitolato Il filosofo e Pulcinella in cui si racconta il percorso di uno tra i più influenti pensatori del Novecento: il filosofo e matematico austriaco Ludwig Wittgenstein (1889-1951)¹. Tullio De Mauro sa parlarne con semplicità - nonostante la difficoltà delle teorie legate alla filosofia del linguaggio - da vero maestro, preoccupato di farsi capire, come dice subito, senza cedere a tentazioni accademiche di sapore  narcisistico.
Il filosofo viene presentato a partire dal suo Tractatus logico-philosophicus (1921), quindi dalla sua prima fondamentale opera sul funzionamento del linguaggio, quella in cui la lingua viene considerata alla stregua di un calcolo. In questa concezione le proposizioni sono simili ad operazioni aritmetiche dal momento che le parole sono paragonate ai numeri e gli altri simboli (le preposizioni, congiunzioni ecc.) sono assimilati ai segni che permettono il calcolo (+; -; =; ; ecc).  Tutti coloro che calcolano si intendono con certezza se conoscono i meccanismi delle operazioni e i numeri cui sono riconducibili tutte le possibili entità aritmetiche: “Forse uno può non avere mai visto il numero 386.789,43. Ma le regole di formazione delle cifre arabe ci consentono di capire al volo quanto vale questo numero perché tutti coloro che conoscono l’aritmetica possiedono un numero ben delimitato di cifre (quelle che vanno dallo 0 al 9) che tutti conoscono e usano allo stesso modo”.² Se il parallelismo è valido questo dovrebbe accadere anche nell’uso delle parole.

mercoledì 2 gennaio 2019

Sprazzi di vita e spirito. E. Balducci e G. La Pira.

Post di Rosario Grillo.

Giorgio La Pira 
ed Ernesto Balducci
A che serve un bilancio in pareggio se non è in pareggio la vita?
“Bisogna entrare in politica con due soldi e uscirne con uno solo.”

Sarebbe grave richiamare il passato per ricevere un effetto consolatorio.
È una tentazione, però, fortissima e difficilissima da combattere, quando si ritorna su figure come quelle di Ernesto Balducci e di Giorgio La Pira.
Si intrecciano i loro destini negli anni travagliati dei Cinquanta in una Firenze che allungava il passo, come gran parte dell’Italia in preparazione del “miracolo economico.
Provenienze diverse: toscano l’uno, di origini siciliane l’altro, ma accomunati dalla stessa curiosità per il profondo: sociale, culturale, spirituale e politico.
Nel ‘51 La Pira si trovò eletto sindaco di Firenze e nel ‘52 i due diedero vita alla feconda esperienza de Il Cenacolo, embrione del futuro “Testimonianze”, rivista che fu un tutt’uno con il lavoro culturale e teologico di padre Balducci.

lunedì 12 settembre 2016

Due nomi associati: Don A. Cojazzi e P.G. Frassati.

Di Gian Maria Zavattaro.
Mons. G.Battista Montini, 
poi Paolo VI
“Don Cojazzi era molto amato; era molto seguito. Il suo nome, associato a quello di P.G. Frassati, di cui egli seppe fare splendido esempio di giovanile virtù cattolica, è e sarà fra quelli più cari a quanti hanno lavorato per la rinascita cristiana del nostro paese, e in qualche modo sentito l'onda di speranze spirituali, che passa fra due generazioni provate dalla guerra e da travagliatissime crisi di pensiero e di costume (Mons. Giovanni Battista Montini, 1953, poi Paolo VI).
In ogni modo, Deo Gratias (Don Cojazzi, in punto di morte).


Porta della Grande Casa
(Roveredo in Piano)
nella quale è nato 
don Antonio Cojazzi
Chi era don Cojazzi e che  cosa ha significato per lui  l’incontro con P.G. Frassati?  Ho cercato risposte da più parti, ma è soprattutto dal  Bollettino Salesiano del 1° ottobre 1973 (a. XCVII. n.19, ventesimo anniversario della sua morte), che ho trovato riflessioni e notizie decisamente interessanti e soprattutto cariche di autentica passione, che invito a consultare per una esauriente lettura. Dal canto mio mi limito a proporre non una impossibile sintesi, ma quanto ho saputo cogliere da varie letture, selettive come ogni lettura, virgolettando le citazioni che  ho attinto dal Bollettino.
 

Il sacerdote, l’educatore, l’animatore, lo scrittore. 
Antonio nasce nel 1880 a Roveredo in Piano, per lui il paese più bello del mondo. A 13 anni entra in collegio dai Salesiani e  dopo il ginnasio  decide di farsi salesiano e prete (1). Conseguita la maturità classica, inizia gli studi di teo­logia ed insieme frequenta l’Università a Torino. Si laurea in lettere nel 1905, nel 1906 in filosofia e  si abilita  all'insegnamento della lingua inglese dopo un impegnativo perfezionamento in Inghilterra. Lo ammirano professori illustri come G. De Sanctis e A. Graf, ma rifiuta la carriera universitaria. 
Roveredo in Piano, 
Piazza Roma
Nel 1908 è ordi­nato sacerdote e inizia l’insegnamento  prima di lettere poi di  filosofia al Liceo di Valsalice (lo terrà sino al 1948). Le sue ore di lezione rimarranno memorabili nei ricordi degli exallievi: vivi avvenimenti  in cui si incrociano la passione di educare dell’insegnante  e l’emozione degli allievi  che vivono lo studio  come apertura senza sosta dell’intelligenza e del cuore agli incontri, alla conoscenza, alla scoperta del bello ed alla ricerca del Vero. Sentono che lì si organizza la cultura, che ognuno a suo modo diventa protagonista, che una calda umanità vibra dentro l’aula scolastica dove ogni studente scopre o ritrova  la fiducia in se stesso, il fascino del vivere e l’entusiasmo   dello studiare.

venerdì 9 settembre 2016

P.G.Frassati in un opuscolo di Don Cojazzi (1926).

Di Gian Maria Zavattaro.

Pier Giorgio Frassati
(foto all'interno dell'opuscolo)
“Ecco. La vita è il paragone delle parole e degli atti esterni che valgono poco più delle parole. Quel giovane cattolico era anzitutto un cristiano, e traduceva le sue opinioni mistiche in vive opere di bontà umana, in atti costanti di pietà […] come un’assistenza immediata alla sventura; senza altri fini o secondi fini che  la espressione di un dovere sinceramente sentito e di un amore fraterno.  […] Tra l’odio e la superbia e lo spirito di dominio e di preda, questo “cristiano” che crede ed opera come crede, e parla come sente, e fa come parla, questo “intransigente” della sua religione, è pur un modello che può insegnare qualche cosa a tutti” (Filippo Turati, “La Giustizia”, 8 luglio1925). (1)
Qualche tempo fa, nel rovistare la soffitta della mia casetta nel Biellese mi capita tra le mani un opuscolo di 28 pagine PIER GIORGIO FRASSATI PAROLE DETTE DA DON COJAZZI il 14 dicembre 1925”, pubblicato nel 1926, 90 anni fa, dalla SEI di Torino «a cura del circolo universitario “Cesare Balbo” a totale beneficio dei poveri della propria conferenza di S. Vincenzo – v. Arcivescovado 12, Torino. £.2».
Frontespizio
Mi pare quasi doveroso, a distanza di 90 anni, dar conto di questo libricino - che non sono riuscito a trovare  citato da nessuna parte - ancora pregno di intense, accorate, emozioni a pochi mesi dalla morte inaspettata del giovane. 
Don Cojazzi – questo grande salesiano (2) – con il suo stile appassionato, che persuade e si fa ascoltare, spesso intercalato da metafore a tutti comprensibili - tesse tre riflessioni sulla falsariga dell’iscrizione situata sulla porta della chiesa di S. Francesco da Paola a Torino. Non intende fare un panegirico (ma lo fa...), vuole “dipingere la realtà” ed invita coloro che hanno conosciuto Pier Giorgio a fargli pervenire ”ricordi, fatti, impressioni dirette ed indirette” al fine di completare la biografia prevista “per il primo anniversario della trasfigurazione di Lui (4 luglio1926)”, che però sarà pubblicata solo nel 1928.

martedì 6 settembre 2016

Pier Giorgio Frassati, rivisitazione biografica.

Di Gian Maria Zavattaro.
Monte Mucrone, Santuario di Oropa (Biella),
Foto di Giancarlo Ticozzi, Panoramio
“Nell'esperienza umana e spirituale di Frassati non vi è alcuna contrapposizione tra la vita di giovane e la fede. In tutte le dimensioni, dalla preghiera allo studio, dalla politica all'impegno con i poveri, dallo sport all'incontro con gli amici, emerge la centralità di un incontro che non è mortificazione, ma al contrario, esaltazione della vita. Frassati non è un eremita, ma un ragazzo laico buttato nel mondo. Sta in questo la sua capacità di attrazione” (don L. Ramello, direttore Ufficio pastorale giovanile, diocesi di Torino).
 
Perché questo post (e altri prossimi articoli).  
A Cracovia, in occasione della 31ma Giornata mondiale della gioventù, sono state esposte alla venerazione dei giovani  le reliquie di Pier Giorgio Frassati, proclamato beato il 20 maggio 1990 da papa Wojtyla, che l'aveva definito “ragazzo delle otto Beatitudini” e...alpinista tremendo. Ebbene qualche tempo fa, nel rovistare la soffitta della mia vecchia casetta in quel di Biella, da un angolo nascosto mi sbuca fuori un opuscolo (28 pag.) PIER GIORGIO FRASSATI PAROLE DETTE DA DON COJAZZI il 14 dicembre 1925”, ed. SEI 1926 a cura del circolo universitario “Cesare Balbo” a totale beneficio dei poveri della propria conferenza di S. Vincenzo v. Arcivescovado 12, Torino. £.2. (1).
Poggio Frassati (m.1950), 
Oropa (Bi)
Foto di Giancarlo Ticozzi, 
Panoramio
Poi, sempre a Biella, trovo a luglio su una bancarella l’opuscolo “Mio fratello Pier Giorgio una vita mai spenta” (ristampato da Aragno - La Stampa, 2010) scritto dalla sorella Luciana Frassati, che narra gli ultimi giorni di vita del fratello ed in appendice pubblica il sorprendente (almeno per me) articolo di Filippo Turati. Eventi che mi hanno riportato a metà degli anni 90 quando  vivevo a Biella e il vescovo mons. Giustetti  (grande!)  tramite d. Alberto affidò ad alcuni laici  (c’ero anch’io) la scuola diocesana  di formazione  all’impegno sociale e politico,  titolata “P.G. Frassati”.
Così mi è parso  quasi doveroso dedicargli alcuni post: selezionare innanzitutto per me e per chi non lo conosce alcuni essenziali tratti biografici; chiosare il libricino del 1926 di don Cojazzi, che non ho trovato citato da nessuno; rileggere l’incontro tra i due come “avvenimento” che segna  la storia personale di entrambi.

martedì 15 dicembre 2015

Briciole di filosofia. Sul concetto di persona, con Ottorino Stefanini.

Secondo Mounier...
Ottorino Stefanini, 
Cappelli di OttO,
Singolare collettivo, 
2013



«Ogni persona ha un significato tale da non poter essere sostituita nel posto che essa occupa nell'universo delle persone. Tale è la maestosa grandezza della persona che le conferisce la dignità di un universo; e tuttavia [tale è anche] la sua piccolezza, in quanto ogni persona è equivalente in questa dignità, e le persone sono più numerose delle stelle » (Il Personalismo, AVE, Roma 1964, p. 81).

Ottorino Stefanini, Human, Kites Men B
2011 (Uomini aquiloni)
La categoria della persona.
Mounier, pur rifiutando lo “spirito di sistema”, si è impegnato a fondare teoricamente la categoria della persona con tratti spesso sorprendenti e suggestivi, senza mai pretendere una rigorosa definizione. Se infatti la persona è storia in movimento, dinamica e non statica, non può essere compresa né compressa in una definizione esaustiva: essa emerge, sporge, non è inglobabile.
La relazione è strutturalmente costitutiva dell’essere della persona. 
La comunicazione è al centro dell’universo personale. Dire persona è dire relazione strutturalmente costitutiva del suo essere: è l’io che nasce dal confronto con il tu, dall’incontro con l’altro; è apertura, uscita da sé,  in un cammino di lenta, progressiva e graduale costruzione.

lunedì 7 dicembre 2015

Martin Buber e il principio della responsabilità.

Martin Buber, 
Il principio 
dialogico
Martin Buber nasce a Vienna nel 1879. Affidato ai nonni nel 1882, si trasferisce in Ucraina, dove compie i primi studi, entrando  in contatto con le comunità chassidiche. Nel 1896 è  a Vienna, poi a Lipsia, Berlino, Basilea e Zurigo, dove nel 1904 consegue il dottorato in filosofia con una tesi su J. Bohme e Nicola Cusano. Si sposa. Si avvicina al movimento sionista.  Nel 1923 pubblica “L’io e il tu” ed inizia ad  insegnare presso l’Università di Francoforte. Lavora con Franz Rosenzweig sulla traduzione in tedesco della Bibbia ebraica che, dopo la morte dell’amico, continuerà e terminerà nel 1961. Nel 1927 visita Gerusalemme, ritorna in Europa, prendendo le distanze dal sionismo. Resiste al nazismo fino al 1938, quando si trasferisce ad insegnare sociologia presso l’Università Ebraica di Gerusalemme. Si impegna nel dialogo tra ebrei ed arabi, collabora con numerose riviste (tra cui Esprit), pubblica in particolare “Mosè”, “Il principio dialogico”, “Il problema dell’uomo”, “L’eclissi di Dio”. Muore a Gerusalemme nel 1965.

venerdì 4 dicembre 2015

Nikolaj Berdjaev, il grande pensatore russo del primo Novecento.

Nikolaj Bardjaev
(1874-1948).
BREVI CENNI BIOGRAFICI. A causa delle sue posizioni inizialmente marxiste fu sottoposto alla deportazione da parte del regime zarista. Poi, riabbracciato con tutto il cuore e la mente il cristianesimo ortodosso, dopo l’avvento del regime bolscevico subì il bando di tutti i suoi libri nei paesi del blocco sovietico ed egli stesso nel 1922, insieme con altri 159 intellettuali, fu costretto all’esilio ed imbarcato a Riga su una nave (“la nave filosofica”, così battezzata con amara ironia). Si stabilì prima a Berlino e poi a Parigi dove fondò la rivista Put (la via), pubblicò le sue opere, conobbe Mounier e collaborò alla rivista Esprit.

Nikolaj Berdjaev, 
La concezione 
di Dostoevskij
La lettura di Dostoevskij. L’uomo, Dio, libertà, persona, verità, bene, male, perdizione, redenzione, amore, speranza, disperazione, espiazione, la rinascita: in una parola l’enigma della vita. Da dove veniamo, chi siamo, dove andiamo, qual è il nostro destino? Sono i “problemi maledetti” di Dostoevskij  sui quali si accanisce la sua inquieta penna: nessun altro scrittore se ne è occupato con altrettanto tormento e profondità. E’ proprio la lettura di Dostoevskij ad essere decisiva per la formazione intellettuale e spirituale di Nikolaj Berdjaev (1874-1948), forse il più significativo filosofo russo del primo Novecento, la cui ispirazione esistenzialista e personalista cristiana è ancor oggi pressoché ignorata dai manuali filosofici.

domenica 8 novembre 2015

La figura di Simone Weil.


Simone Weil, 
La persona 
e il sacro.
Non potendo delineare in poche righe la complessa personalità di Simone Weil (1909-1943), mi limito ad indicare due direttrici:  (1) fu sempre dalla parte degli oppressi e degli “sventurati”; (2) la sua ricerca religiosa, intensa, mistica e profonda, l’avvicinò alla fede cattolica.
(1) In prima fila nelle lotte sindacali e politiche, sperimenta il duro lavoro nelle fabbriche e nei campi, partecipa alla guerra civile spagnola, intuisce la gravità del nazismo che intende combattere senza risparmiarsi e si lascia infine morire d’inedia per partecipare alle sofferenze degli ebrei.
Simone Weil, 
La questione 
operaia
Insegna filosofia tra il 1931-38 nei licei femminili di varie città francesi, disorientando alunne e cittadini per le sue iniziative. Dello stipendio spende per sé solo l’equivalente del sussidio ai disoccupati, per condividerne le ristrettezze di vita. In varie pubblicazioni denuncia anche lo stalinismo come forma di oppressione non dissimile dal fascismo. Ospita per qualche tempo a Parigi l’esule Trockij, con il quale si scontra verbalmente, lasciandolo interdetto: “appartiene forse all’esercito della salvezza”.

giovedì 5 novembre 2015

Emmanuel Mounier, il pensiero.


Emmanuel Mounier
La filosofia “personalista e comunitaria” di Mounier (1905-1950) non è un sistema speculativo né un movimento politico. E’ una filosofia (spesso guardata con supponenza  dagli accademici e vista con sospetto da certi ecclesiastici curiali), “provvisoria”, destinata ad essere superata nella misura in cui si realizzano le persone e la comunità.
Il Personalismo.
Anti-ideologica per vocazione, si oppone ad ogni  distorsione mistificatoria del pensiero in funzione di interessi particolari e intende smascherare il “disordine stabilito” ed ogni forma di potere  che minaccia la libertà delle persone. E’ “lotta per l’uomo”, “pensiero combattivo”, “progetto”, “engagement” (termine usato da Mounier molto prima di Sartre).


martedì 27 ottobre 2015

Maritain e Mounier.



Emmanuel Mounier 
(1905-1950)
Jacques Maritain
(1882-1973)


















Lascio alla letteratura specialistica la trattazione esaustiva del tema annunciato nel titolo.  Metto semplicemente in evidenza che sotto certi aspetti Maritain e Mounier sono molto vicini: entrambi cattolici dichiarati con fitta corrispondenza tra i due. Per altri versi invece differenti ed anche distanti: Maritain ripresenta il tomismo sotto forma ritenuta adatta ai tempi ed in una esplicita metafisica sistematica;   Mounier,  più giovane di 23 anni, apprezza il tomismo ma ne è fuori e, molto  più coinvolto nel dialogo con la cultura contemporanea, in particolare con l’esistenzialismo, rivolge  la sua filosofia “militante” all’impegno, “engagement”.

martedì 11 agosto 2015

Il sogno di Romena. Incontro con don Luigi Verdi.


Riflessioni di Rossana Rolando.

Un incontro... 
(Romena, figura dell'abbraccio)

Tempore famis si legge nell’abaco del primo capitello a sinistra,
accanto alla data in caratteri romani, MCLII, 1152.
Tempore famis cioè tempo di fame, di carestia.
In un momento di grave disagio,
la popolazione offriva al divino
tutto il meglio della propria creatività
per far cessare le tribolazioni.
La crisi diventava così strumento di riscatto,
di valorizzazione delle proprie potenzialità”
(dal sito della fratermità di Romena.).
La pieve di San Pietro a Romena, 
Pratovecchio, Toscana
Arriviamo a Romena. E’ la prima volta. Una mattina di agosto. Il sole inonda l’abside della pieve preceduto dal bagliore dei girasoli. Entriamo. Musica appena sussurrata, bellezza spoglia ed essenziale del romanico...

martedì 14 luglio 2015

Arturo Paoli, grande testimone del nostro tempo.



Arturo Paoli...
Ci ha lasciato Arturo Paoli, Piccolo Fratello della congregazione di Charles de Foucauld, grande profeta del nostro tempo. Giusto tra le Nazioni – per aver salvato centinaia di ebrei nella Seconda guerra mondiale - instancabile compagno dei poveri e degli indifesi, prima in Italia e poi in Argentina, lì condannato a morte dal regime militare, quindi esule …

...ha conosciuto il deserto...
Molte notizie si possono trovare in queste ore sul web. Noi vogliamo sommessamente ricordarlo andando a rovistare in mezzo ai nostri libri. E’ tra coloro che hanno accompagnato la nostra vita giovane e adulta. Una voce ricca di spiritualità e di profonda libera umanità. Ma anche una voce scomoda, difficile, esigente. Una parola forte, nutrita di un Vangelo che non conosce mezze misure, che scuote da false sicurezze, una fonte di acqua limpida e pulita…

... ha lasciato una traccia ...
Troviamo tra i libri il testo La radice dell’uomo, regalato a mia moglie da un amico scout nel 1983. Leggiamo questo passo che vogliamo condividere con gli amici del blog, come ricordo e ringraziamento per questo dono che la vita e la testimonianza di Arturo Paoli hanno rappresentato per noi e per molti. 

... ha trasmesso un messaggio ...
“La bellezza è il fine della storia: la pace, l’armonia, l’unità, la musica sono diverse parole che esprimono la stessa realtà. Dare la vita perché il mondo sia più bello, più giusto, più in pace: impedire che fini egoistici parziali sciupino questa armonia dell’insieme, è essere religioso. E’ religioso il contemplativo che, spinto alla radice dell’essere, riscopre il senso delle cose […]. Ed è religioso il rivoluzionario che non accetta l’ordine esistente, e rifiuta di vivere in una successione senza senso, e lotta per ricreare una realtà sociale il sui senso sia il convivere nell’amore e nella ricerca costante di una dignità, nell’altro.
Fuori di questi limiti, la religione è espressione di paura, travestimento dell’interesse, idolatria, non libera l’uomo dal deserto perché lo rinchiude in forme storiche cristallizzate e non lo apre all’appello originale e personale dell’Essere”.

... ci ha donato bellezza.
Grazie Arturo Paoli,
grande testimone del nostro tempo.

mercoledì 17 giugno 2015

José "Pepe" Mujica: un Presidente loco?

José Pepe Mujica,  
in una vignetta che lo rappresenta con un'arma 
da cui spunta un fiore.

Pensieri  sul  libro-intervista di José Mujica (La felicità al potere, EIR, 2014).

Tratto da José Pepe Mujica, La felicità al potere, 
a cura di C. Guarnieri e M. Sgroi, 
EIR, Ariccia, 2014, p.10
E continua:
Perché fa scalpore che qualcuno lanci l’allarme contro il crescente discredito che, per mancanza di questo esempio, i politici e la politica stanno soffrendo in molti Paesi? In realtà credo che tutto questo susciti attenzione non tanto per il merito di chi propone questi temi, quanto per l’assenza di altre idee, di altre proposte e di altri esempi” (José Pepe Mujica, La felicità al potere, a cura di C. Guarnieri e M. Sgroi, EIR, Ariccia, 2014, p.10).

José Pepe Mujica 
davanti alla sua modestissima casa di Montevideo 
nel giugno 2013...
Chi è José “Pepe” Mujica Cordano.
Lo chiamavano “il presidente più povero”, ma lui non si sente povero, perché povero è chi vuole sempre di più. E’questione di libertà: non si può passare la vita come uno schiavo per sostenere uno stile di vita costoso e non avere più tempo  per se stessi.

... una figura dalla semplicità 
disarmante...
E’stato Presidente dell’Uruguay dal 1.3.2010 al 1.3.2015: per molti è un mito, per altri un “loco” (matto, strano, scomodo). Ha rifiutato i lussi della residenza ufficiale; tratteneva un decimo circa dello stipendio mensile, il resto andava a programmi di solidarietà. Come ex presidente riceve  260.259 pesos al mese (ca 8300 euro) e ne dona il 90% ad organizzazioni non governative impegnate  ogni giorno contro la povertà. Motivo? Se è la maggioranza che sceglie chi deve governare, bisogna vivere come la maggioranza, con poco, ed avere un bagaglio leggero per affrontare la vita. E’sposato con Lucìa Topolansky sua compagna di lotta; vive alla periferia di Montevideo in una vecchia fattoria senza acqua corrente; è vegetariano; guida un vecchio maggiolino; ha un cane. 

... alla guida di un vecchio maggiolino...
Ha un passato di combattente nei Tupamaros contro la dittatura e la corruzione in Uruguay. Come prigioniero politico ha trascorso in carcere 14 anni durissimi, passati per lo più in isolamento. Finito il mandato presidenziale, con la moglie ha visitato Spagna ed Italia “alla scoperta delle origini”: il padre era originario di un paese basco; la madre di un paese del’entroterra ligure.

... intervistato in Uruguay...
L’incontro con papa Francesco in Vaticano. 
Il 28.5.2015, lui ateo dichiarato, ha incontrato papa Francesco, con il quale a lungo ha discusso della pace internazionale, dei diritti umani, della giustizia: lontani nella fede e così vicini nella virtù della sobrietà, nella denuncia della “cultura dello scarto” e nella scelta degli ultimi e degli oppressi. Dice che Bergoglio è un papa singolare e che parlare con lui è come parlare ad un amico che sa aprire le porte dell’intimità. E' convinto che, se lo lasceranno fare, porterà un cambiamento essenziale nella Chiesa (cfr. op. cit. pp. 76-77).


... durante l'incontro con papa Francesco...
Presentazione de “La felicità al potere”. 
Successivamente ha presentato in un hotel di Roma il libro-intervista curato da Cristina Guarnieri e Massimo Sgroi. Erano presenti la Gabbanelli  e  Saviano, con cui ha discusso  vari temi, tra i quali  mi limito a citare l’immigrazione: se la vecchia Europa - dice – non la  pensa come una ricchezza, allora siamo persi. Siamo tutti immigrati, non dobbiamo avere paura di unirci con gli altri, purché  siano persone che si impegnano. Quello che sta succedendo nel Mediterraneo non è un problema dell’Africa, è un problema dell’umanità, di cui deve farsi carico il mondo.

La presentazione del libro...
Il libro-intervista:  fare politica. 
Per “Pepe” il peggiore  imbroglio e  la  più grande sofferenza del nostro tempo è fare politica perché si ama il denaro. La politica  esiste per servire le persone, è impegno perché  tutti possano vivere meglio, non solo avere  di più, ma soprattutto essere più felici. Fare politica vuol dire amare la pace: se nel passato si riteneva che ci fossero guerre giuste, come le guerre di liberazione nazionale o di indipendenza, oggi  sappiamo che, per quanto la causa possa essere giusta, le guerre puniscono sempre  inevitabilmente gli innocenti ed i più poveri. (cfr. p.82).

...il libro di José Pepe Mujica,  
La felicità al potere.
Il libro-intervista: i giovani.
E’ bello che i giovani vogliano fare politica, è meraviglioso vederli lottare per ciò che pensano e sentono, purché vivano  come pensano. Ai giovani dice di non farsi scippare la vita, di non conformarsi a vivere in ginocchio, di non lasciarsi trasformare in schiavi per correre dietro un mondo di sperperi, di non farsi prendere per il naso dal marketing della moda, perché la moda è essere liberi, è onorare le cose fondamentali dell’esistenza dell’uomo, come l’amore, l’amicizia, la solidarietà (cfr. p. 87, 188).

La dedica scritta da Cristina Guarnieri sul libro di José Pepe Mujica: Al sindaco Marino, perché renda più felice la città di Roma, la più bella del mondo! E legga questo libro!
Il libro-intervista: la felicità.
La felicità è il tesoro più importante che abbiamo. Non ci può essere felicità senza il tempo per viverla e per costruirla per sé e per gli altri. Il tempo non si compra e la vita, che  se ne fugge via, bisogna conquistarla, altrimenti te la rubano e diventa un prodotto ed una causa  di mercato  (cfr. p. 188).

La presentazione del libro.
Il libro-intervista: consumismo, disuguaglianza.
C’è un problema di carattere politico: la nostra civiltà è basata sull’usa  e getta, in una spirale, un circolo infernale, dal quale tutti dobbiamo decidere di uscire. E c’è un problema economico: 85 persone possiedono quasi la stessa ricchezza del 40% dell’umanità; più cresce la ricchezza più aumenta la disuguaglianza. Eliminare indigenza e povertà è una priorità: i soldi ci sarebbero, se pensiamo che nel mondo si spendono milioni di dollari al minuto in bilanci militari… (cfr. pp.189-190).

Roberto Saviano con il libro tra le mani.
Il libro-intervista: sognare e dedicarvi la vita intera.
Guai a cessare di sognare e sognare in grande, ma con i piedi  ben piantati  a terra, perché una cosa è il sogno giovanile, un’altra dedicare la vita intera a servire questo sogno (cfr. p.192). 
Non so fino a che punto possa essere un modello da imitare. Nessuno pretende che noi si viva in catapecchie, seguendo le orme  di S. Francesco d’Assisi o la scelta laica di “Pepe”. Che la politica non sia strumento di arricchimento ma servizio alle persone, passione superiore, esempio di vita sobria e vicina a quella della maggioranza”, questo sì, lo dobbiamo  volere e pretendere da tutti. 
Non so quanta risonanza sui media possa avere il libro-intervista. Il fare, dire ed essere di Mujica mal si concilia  con le azioni dei “grandi” della Terra ed il loro modo di intendere la globalizzazione e lo sviluppo. Ciò che dice è però ciò che da sempre mette  in pratica  e  testimonia ogni giorno della sua vita. Non so perché, il pensiero corre, al film “Il grande dittatore”, al discorso finale di Chaplin: “Le macchine che danno l’abbondanza ci hanno lasciato nel bisogno. La nostra sapienza ci ha reso cinici e l’intelligenza duri e spietati. Abbiamo bisogno di umanità, abbiamo bisogno di dolcezza e di bontà. Altrimenti la vita sarà violenta e tutto andrà perduto…”.  
Sig. Presidente “Pepe”, il Suo modo di essere “loco”  mi avvince.

Si consiglia di mettere in pausa la musica del blog prima di avviare il video.