"Persona e Comunità" è un blog di riflessione culturale, filosofica, religiosa, pedagogica, estetica. Tutti gli articoli sono scritti da: Gian Maria Zavattaro, Rossana Rolando, Rosario Grillo.
Post di Rossana Rolando Immagini delle illustrazioni di Gennaro Vallifuoco (qui il link).
Gennaro Vallifuoco, illustrazione a "Le Guaratelle", di Roberto De Simone
Leggendo
il libro di Tullio De Mauro, Guida
all’uso delle parole, si incontra un capitolo intitolato Il filosofo e Pulcinella in cui si
racconta il percorso di uno tra i più influenti pensatori del Novecento: il filosofo e matematico austriaco Ludwig Wittgenstein (1889-1951)¹. Tullio De
Mauro sa parlarne con semplicità - nonostante la difficoltà delle teorie legate
alla filosofia del linguaggio - da vero maestro, preoccupato di farsi capire,
come dice subito, senza cedere a tentazioni accademiche di sapore narcisistico.
Il
filosofo viene presentato a partire dal suo Tractatus logico-philosophicus
(1921), quindi dalla sua prima fondamentale opera sul funzionamento del
linguaggio, quella in cui la lingua viene considerata alla stregua di un
calcolo. In questa concezione le proposizioni sono simili ad operazioni
aritmetiche dal momento che le parole sono paragonate ai numeri e gli altri
simboli (le preposizioni, congiunzioni ecc.) sono assimilati ai segni che
permettono il calcolo (+; -; =; ✕; ecc).Tutti coloro che calcolano si intendono con
certezza se conoscono i meccanismi delle operazioni e i numeri cui sono
riconducibili tutte le possibili entità aritmetiche: “Forse uno può non avere
mai visto il numero 386.789,43. Ma le regole di formazione delle cifre arabe ci
consentono di capire al volo quanto vale questo numero perché tutti coloro che
conoscono l’aritmetica possiedono un numero ben delimitato di cifre (quelle che vanno dallo 0 al 9) che tutti conoscono e usano allo stesso modo”.² Se il parallelismo è valido questo dovrebbe
accadere anche nell’uso delle parole.
“A che serve un bilancio in pareggio se non è in pareggio la
vita?”
“Bisogna
entrare in politica con due soldi e uscirne con uno solo.”
Sarebbe grave
richiamare il passato per ricevere un effetto consolatorio. È una tentazione,
però, fortissima e difficilissima da combattere, quando si ritorna su figure
come quelle di Ernesto Balducci e di Giorgio La Pira. Si intrecciano i
loro destini negli anni travagliati dei Cinquanta in una Firenze che allungava
il passo, come gran parte dell’Italia in preparazione del “miracolo economico”. Provenienze
diverse: toscano l’uno, di origini siciliane l’altro, ma accomunati dalla
stessa curiosità per il profondo: sociale,
culturale, spirituale e politico. Nel ‘51 La Pira si
trovò eletto sindaco di Firenze e nel ‘52 i due diedero vita alla feconda
esperienza de Il Cenacolo, embrione del futuro “Testimonianze”, rivista che fu
un tutt’uno con il lavoro culturale e teologico di padre Balducci.
“Don Cojazzi era molto amato; era molto seguito. Il suo nome, associato a quello di P.G. Frassati, di cui egli seppe fare splendido esempio di giovanile virtù cattolica, è e sarà fra quelli più cari a quanti hanno lavorato per la rinascita cristiana del nostro paese, e in qualche modo sentito l'onda di speranze spirituali, che passa fra due generazioni provate dalla guerra e da travagliatissime crisi di pensiero e di costume” (Mons. Giovanni Battista Montini, 1953, poi Paolo VI).
“In ogni modo, Deo Gratias” (Don Cojazzi, in punto di morte).
Porta della Grande Casa (Roveredo in Piano) nella quale è nato don Antonio Cojazzi
Chi era don
Cojazzi e che cosa ha significato per lui l’incontro con P.G.
Frassati? Ho cercato risposte da più parti, ma è soprattutto
dal Bollettino Salesiano del 1° ottobre 1973 (a. XCVII. n.19, ventesimo
anniversario della sua morte), che ho trovato riflessioni e notizie
decisamente interessanti e soprattutto cariche di autentica passione, che
invito a consultare per una esauriente lettura. Dal canto mio mi limito a
proporre non una impossibile sintesi, ma quanto ho saputo cogliere da varie
letture, selettive come ogni lettura, virgolettando le citazioni che
ho attinto dal Bollettino. Il sacerdote, l’educatore, l’animatore, lo scrittore. Antonio
nasce nel 1880 a Roveredo in Piano, per lui il paese più bello del mondo. A 13
anni entra in collegio dai Salesiani e dopo il ginnasio decide di
farsi salesiano e prete (1). Conseguita la maturità classica, inizia gli studi di
teologia ed insieme frequenta l’Università a Torino. Si laurea in lettere nel 1905,
nel 1906 in filosofia e si abilita all'insegnamento della lingua
inglese dopo un impegnativo perfezionamento in Inghilterra. Lo ammirano professori
illustri come G. De Sanctis e A. Graf, ma rifiuta la carriera universitaria.
Roveredo in Piano, Piazza Roma
Nel 1908 è ordinato sacerdote e inizial’insegnamento prima di lettere
poi di filosofia al Liceo di Valsalice (lo terrà sino al 1948). Le
sue ore di lezione rimarranno memorabili nei ricordi degli exallievi:
vivi avvenimenti in cui si incrociano la passione di educare
dell’insegnante e l’emozione degli allievi che vivono
lo studio come apertura senza sosta dell’intelligenza e del cuore agli
incontri, alla conoscenza, alla scoperta del bello ed alla ricerca
del Vero. Sentono che lì si organizza la cultura, che ognuno a suo modo diventa
protagonista, che una calda umanità vibra dentro l’aula scolastica dove ogni
studente scopre o ritrova la fiducia in se stesso, il fascino del
vivere e l’entusiasmo dello studiare.
Pier Giorgio Frassati (foto all'interno dell'opuscolo)
“Ecco. La vita è il paragone delle
parole e degli atti esterni che valgono poco più delle parole. Quel giovane
cattolico era anzitutto un cristiano, e traduceva le sue opinioni mistiche in
vive opere di bontà umana, in atti costanti di pietà […] come un’assistenza
immediata alla sventura; senza altri fini o secondi fini che la
espressione di un dovere sinceramente sentito e di un amore fraterno. […]
Tra l’odio e la superbia e lo spirito di dominio e di preda, questo “cristiano”
che crede ed opera come crede, e parla come sente, e fa come parla, questo
“intransigente” della sua religione, è pur un modello che può insegnare qualche
cosa a tutti” (Filippo Turati, “La Giustizia”, 8 luglio1925). (1)
Qualche tempo
fa, nel rovistare la soffitta della mia casetta nel Biellese mi capita tra le
mani un opuscolo di 28 pagine “PIER GIORGIO FRASSATI PAROLE DETTE DA
DON COJAZZI il 14 dicembre 1925”, pubblicato nel 1926, 90 anni fa, dalla
SEI di Torino «a cura del circolo universitario “Cesare Balbo” a totale
beneficio dei poveri della propria conferenza di S. Vincenzo – v. Arcivescovado
12, Torino. £.2».
Frontespizio
Mi pare
quasi doveroso, a distanza di 90 anni, dar conto di questo libricino - che non
sono riuscito a trovare citato da nessuna parte - ancora pregno di
intense, accorate, emozioni a pochi mesi dalla morte inaspettata del
giovane. Don Cojazzi
– questo grande salesiano (2) – con il suo stile appassionato, che persuade e
si fa ascoltare, spesso intercalato da metafore a tutti comprensibili - tesse
tre riflessioni sulla falsariga dell’iscrizione situata sulla porta della
chiesa di S. Francesco da Paola a Torino.Non intende fare un panegirico
(ma lo fa...), vuole “dipingere la realtà” ed invita coloro che hanno
conosciuto Pier Giorgio a fargli pervenire ”ricordi, fatti, impressioni dirette
ed indirette” al fine di completare la biografia prevista “per il primo
anniversario della trasfigurazione di Lui (4 luglio1926)”, che però sarà
pubblicata solo nel 1928.
Monte Mucrone, Santuario di Oropa (Biella), Foto di Giancarlo Ticozzi, Panoramio
“Nell'esperienza umana e
spirituale di Frassati non vi è alcuna contrapposizione tra la vita di giovane
e la fede. In tutte le dimensioni, dalla preghiera allo studio, dalla politica
all'impegno con i poveri, dallo sport all'incontro con gli amici, emerge la
centralità di un incontro che non è mortificazione, ma al contrario,
esaltazione della vita. Frassati non è un eremita, ma un ragazzo laico buttato
nel mondo. Sta in questo la sua capacità di attrazione”(don L. Ramello, direttore Ufficio
pastorale giovanile, diocesi di Torino).
Perché questo post (e altri prossimi articoli). A Cracovia, in occasione della 31ma
Giornata mondiale della gioventù, sono state esposte alla venerazione dei
giovani le reliquie di Pier Giorgio Frassati, proclamato beato il 20
maggio 1990 da papa Wojtyla, che l'aveva definito “ragazzo delle otto Beatitudini”
e...“alpinista tremendo”. Ebbene qualche tempo fa, nel
rovistare la soffitta della mia vecchia casetta in quel di Biella, da un angolo
nascosto mi sbuca fuori un opuscolo (28 pag.) “PIER GIORGIO
FRASSATI PAROLE
DETTE DA DON COJAZZI il 14 dicembre 1925”, ed. SEI 1926 “a cura del circolo
universitario “Cesare Balbo” a totale beneficio dei poveri della propria
conferenza di S. Vincenzo v. Arcivescovado 12, Torino. £.2.”(1).
Poggio Frassati (m.1950), Oropa (Bi) Foto di Giancarlo Ticozzi, Panoramio
Poi, sempre a Biella, trovo a luglio
su una bancarella l’opuscolo “Mio fratello Pier
Giorgio una vita mai spenta” (ristampato da Aragno - La Stampa, 2010)
scritto dalla sorella Luciana Frassati, che narra gli ultimi giorni di vita del
fratello ed in appendice pubblica il sorprendente (almeno per me) articolo di
Filippo Turati.Eventi che mi hanno riportato a metà degli anni 90 quando vivevo
a Biella e il vescovo mons. Giustetti (grande!) tramite d. Alberto
affidò ad alcuni laici (c’ero anch’io) la scuola diocesana di
formazione all’impegno sociale e politico, titolata “P.G.
Frassati”.
Così mi è parso quasi doveroso
dedicargli alcuni post: selezionare innanzitutto per me e per chi non lo
conosce alcuni essenziali tratti biografici; chiosare il libricino del
1926 di don Cojazzi, che non ho trovato citato da nessuno; rileggere
l’incontro tra i due come “avvenimento” che segna la storia personale di
entrambi.
Ottorino Stefanini, Human, Kites Men B, 2011 (Uomini aquiloni)
La categoria della persona. Mounier, pur rifiutando lo “spirito
di sistema”, si è impegnatoafondareteoricamente la categoria della
persona con tratti spesso sorprendenti e suggestivi, senza mai
pretendere una rigorosa definizione. Se infatti la persona è storia in movimento, dinamica e non statica, non può essere compresa né compressa in una
definizione esaustiva: essa emerge, sporge, non è inglobabile. La relazione è
strutturalmente costitutiva dell’essere della persona.
La comunicazione è al centro
dell’universo personale. Dire persona è dire relazione strutturalmente
costitutiva del suo essere: è l’io che nasce dal confronto con il tu,
dall’incontro con l’altro; è apertura, uscita da sé, in un cammino
di lenta, progressiva e graduale costruzione.
Martin Buber
nasce a Vienna nel 1879. Affidato ai nonni nel 1882, si trasferisce in Ucraina,
dove compie i primi studi, entrando in contatto con le comunità
chassidiche. Nel 1896 è a Vienna, poi a Lipsia, Berlino, Basilea e
Zurigo, dove nel 1904 consegue il dottorato in filosofia con una tesi su
J. Bohme e Nicola Cusano. Si sposa. Si avvicina al movimento sionista.
Nel 1923 pubblica “L’io e il tu” ed inizia ad insegnare presso
l’Università di Francoforte. Lavora con Franz Rosenzweig sulla traduzione in tedesco
della Bibbia ebraica che, dopo la morte dell’amico, continuerà e terminerà nel
1961. Nel 1927 visita Gerusalemme, ritorna in Europa, prendendo le distanze dal
sionismo. Resiste al nazismo fino al 1938, quando si trasferisce ad insegnare
sociologia presso l’Università Ebraica di Gerusalemme. Si impegna nel
dialogo tra ebrei ed arabi, collabora con numerose riviste (tra cui Esprit),
pubblica in particolare “Mosè”, “Il principio dialogico”, “Il
problema dell’uomo”, “L’eclissi di Dio”. Muore a Gerusalemme nel 1965.
La lettura di Dostoevskij.L’uomo, Dio, libertà, persona,
verità, bene, male, perdizione, redenzione, amore, speranza, disperazione,
espiazione, la rinascita: in una parola l’enigma della vita. Da dove veniamo,
chi siamo, dove andiamo, qual è il nostro destino? Sono i “problemi maledetti”
di Dostoevskij sui quali si accanisce la sua inquieta penna: nessun altro
scrittore se ne è occupato con altrettanto tormento e profondità. E’ proprio la
lettura di Dostoevskij ad essere decisiva per la formazione
intellettuale e spirituale di Nikolaj Berdjaev (1874-1948), forse il più
significativo filosofo russo del primo Novecento, la cui ispirazione
esistenzialista e personalista cristiana è ancor oggi pressoché ignorata dai
manuali filosofici.
Non potendo
delineare in poche righe la complessa personalità di Simone Weil(1909-1943), mi limito ad
indicare due direttrici: (1) fu sempre dalla parte degli oppressi e degli
“sventurati”; (2) la sua ricerca religiosa, intensa, mistica e profonda,
l’avvicinò alla fede cattolica. (1) In prima
fila nelle lotte sindacali e politiche, sperimenta il duro lavoro nelle
fabbriche e nei campi, partecipa alla guerra civile spagnola, intuisce la gravità
del nazismo che intende combattere senza risparmiarsi e si lascia infine morire
d’inedia per partecipare alle sofferenze degli ebrei.
Simone Weil, La questione operaia
Insegna
filosofia tra il 1931-38 nei licei femminili di varie città francesi,
disorientando alunne e cittadini per le sue iniziative. Dello stipendio spende
per sé solo l’equivalente del sussidio ai disoccupati, per condividerne le
ristrettezze di vita. In varie pubblicazioni denuncia anche lo stalinismo come
forma di oppressione non dissimile dal fascismo. Ospita per qualche tempo a
Parigi l’esule Trockij, con il quale si scontra verbalmente, lasciandolo
interdetto: “appartiene forse all’esercito della salvezza”.
La filosofia
“personalista e comunitaria” di Mounier (1905-1950) non è un
sistema speculativo né un movimento politico. E’ una filosofia (spesso
guardata con supponenza dagli accademici e vista con sospetto da
certiecclesiastici curiali), “provvisoria”, destinata ad essere superata
nella misura in cui si realizzano le persone e la comunità.
Il Personalismo.
Anti-ideologica per vocazione, si oppone ad ogni distorsione
mistificatoria del pensiero in funzione di interessi particolari e
intende smascherare il “disordine stabilito” ed ogni forma di
potere che minaccia la libertà delle persone. E’“lotta per
l’uomo”, “pensiero combattivo”, “progetto”, “engagement” (termine usato da Mounier molto prima di Sartre).
Lascio alla letteratura
specialistica la trattazione esaustiva del tema annunciato nel titolo. Metto semplicemente in evidenza che sotto certi aspetti Maritain e Mounier sono molto vicini: entrambi cattolici dichiarati con fitta
corrispondenza tra i due. Per altri versi invece differenti ed anche distanti: Maritain ripresenta il tomismo sotto
forma ritenuta adatta ai tempi ed in una esplicita metafisica sistematica; Mounier, più giovane di 23 anni, apprezza il tomismo
ma ne è fuori e, molto più coinvolto nel dialogo con la cultura contemporanea,
in particolare con l’esistenzialismo, rivolge la sua filosofia
“militante” all’impegno, “engagement”.
La pieve di San Pietro a Romena, Pratovecchio, Toscana
Arriviamo a Romena. E’ la
prima volta. Una mattina di agosto. Il sole inonda l’abside della pieve
preceduto dal bagliore dei girasoli. Entriamo. Musica appena sussurrata,
bellezza spoglia ed essenziale del romanico...
Ci ha lasciato Arturo
Paoli, Piccolo Fratello della congregazione
di Charles de Foucauld, grande profeta del nostro tempo. Giusto tra le
Nazioni – per aver salvato centinaia di ebrei nella Seconda guerra mondiale -
instancabile compagno dei poveri e degli indifesi, prima in Italia e poi in
Argentina, lì condannato a morte dal regime militare, quindi esule …
...ha conosciuto il deserto...
Molte notizie si
possono trovare in queste ore sul web. Noi vogliamo sommessamente ricordarlo
andando a rovistare in mezzo ai nostri libri. E’ tra coloro che hanno accompagnato la
nostra vita giovane e adulta. Una voce ricca di spiritualità e di profonda libera umanità. Ma anche una voce scomoda, difficile, esigente. Una parola forte, nutrita di un
Vangelo che non conosce mezze misure, che scuote da false sicurezze, una fonte
di acqua limpida e pulita…
... ha lasciato una traccia ...
Troviamo tra i libri il
testo La radice dell’uomo, regalato a
mia moglie da un amico scout nel 1983. Leggiamo questo passo che vogliamo
condividere con gli amici del blog, come ricordo e ringraziamento per questo
dono che la vita e la testimonianza di Arturo Paoli hanno rappresentato per noi
e per molti.
... ha trasmesso un messaggio ...
“La bellezza è il fine
della storia: la pace, l’armonia, l’unità, la musica sono diverse parole che
esprimono la stessa realtà. Dare la vita perché il mondo sia più bello, più
giusto, più in pace: impedire che fini egoistici parziali sciupino questa
armonia dell’insieme, è essere religioso. E’ religioso il contemplativo che,
spinto alla radice dell’essere, riscopre il senso delle cose […]. Ed è
religioso il rivoluzionario che non accetta l’ordine esistente, e rifiuta di
vivere in una successione senza senso, e lotta per ricreare una realtà sociale
il sui senso sia il convivere nell’amore e nella ricerca costante di una
dignità, nell’altro.
Fuori di questi limiti,
la religione è espressione di paura, travestimento dell’interesse, idolatria,
non libera l’uomo dal deserto perché lo rinchiude in forme storiche
cristallizzate e non lo apre all’appello originale e personale dell’Essere”.
... ci ha donato bellezza.
Grazie
Arturo Paoli, grande
testimone del nostro tempo.
José Pepe Mujica, in una vignetta che lo rappresenta con un'arma da cui spunta un fiore.
Pensieri sul libro-intervista di José
Mujica (La felicità al potere, EIR, 2014).
Tratto da José Pepe Mujica, La felicità al potere, a cura di C.
Guarnieri e M. Sgroi, EIR, Ariccia, 2014, p.10
E continua:
“Perché fa scalpore
che qualcuno lanci l’allarme contro il crescente discredito che, per mancanza
di questo esempio, i politici e la politica stanno soffrendo in molti Paesi? In
realtà credo che tutto questo susciti attenzione non tanto per il merito di chi
propone questi temi, quanto per l’assenza di altre idee, di altre proposte e di
altri esempi” (José Pepe Mujica, La felicità al potere, a cura di C.
Guarnieri e M. Sgroi, EIR, Ariccia, 2014, p.10).
José Pepe Mujica davanti alla sua modestissima casa di Montevideo nel giugno 2013...
Chi è José “Pepe” Mujica Cordano.
Lo chiamavano “il presidente più povero”, ma lui non si sente
povero, perché povero è chi vuole sempre di più. E’questione di libertà: non si può passare la vita come uno schiavo per sostenere uno stile di vita
costoso e non avere più tempo per se stessi.
... una figura dalla semplicità disarmante...
E’stato Presidente dell’Uruguay dal
1.3.2010 al 1.3.2015: per molti è un mito, per altri un “loco” (matto,
strano, scomodo). Ha rifiutato i lussi della
residenza ufficiale; tratteneva un decimo circa dello stipendio mensile, il
resto andava a programmi di solidarietà. Come ex
presidente riceve 260.259 pesos al mese (ca 8300 euro) e ne dona il 90%
ad organizzazioni non governative impegnate ogni giorno contro la
povertà. Motivo? Se è la maggioranza che sceglie chi deve governare,
bisogna vivere come la maggioranza, con poco, ed avere un bagaglio leggero per
affrontare la vita. E’sposato con Lucìa Topolansky sua compagna di lotta; vive
alla periferia di Montevideo in una vecchia fattoria senza acqua corrente; è
vegetariano; guida un vecchio maggiolino; ha un cane.
... alla guida di un vecchio maggiolino...
Ha
un passato di combattente nei Tupamaros contro la dittatura e la corruzione in
Uruguay. Come prigioniero politico ha trascorso in carcere 14 anni durissimi,
passati per lo più in isolamento. Finito il mandato presidenziale,
con la moglie ha visitato Spagna ed Italia “alla scoperta
delle origini”: il padre era originario di un paese basco; la madre di un paese
del’entroterra ligure.
... intervistato in Uruguay...
L’incontro con papa Francesco in Vaticano.
Il 28.5.2015, lui ateo dichiarato, ha incontrato papa Francesco, con il
quale a lungo ha discusso della pace internazionale, dei diritti umani, della
giustizia: lontani nella fede e così vicini nella virtù della sobrietà, nella
denuncia della “cultura dello scarto” e nella scelta degli ultimi e degli
oppressi. Dice che Bergoglio è un papa singolare e che parlare con lui è
come parlare ad un amico che sa aprire le porte dell’intimità. E' convinto che,
se lo lasceranno fare, porterà un cambiamento essenziale nella Chiesa (cfr. op.
cit. pp. 76-77).
... durante l'incontro con papa Francesco...
Presentazione
de “La felicità al potere”.
Successivamente ha presentato in un hotel di Roma il libro-intervista
curato da Cristina Guarnieri e Massimo Sgroi. Erano presenti la Gabbanelli
e Saviano, con cui ha discusso vari temi, tra i quali
mi limito a citare l’immigrazione: se la vecchia Europa - dice – non la
pensa come una ricchezza, allora siamo persi. Siamo tutti immigrati, non
dobbiamo avere paura di unirci con gli altri, purché siano persone che si
impegnano. Quello che sta succedendo nel Mediterraneo non è un problema
dell’Africa, è un problema dell’umanità, di cui deve farsi carico il mondo.
La presentazione del libro...
Il
libro-intervista: fare politica.
Per “Pepe” il peggiore imbroglio e la più
grande sofferenza del nostro tempo è fare politica perché si ama il
denaro. La politica esiste per servire le persone, è impegno perché
tutti possano vivere meglio, non solo avere di più, ma soprattutto essere
più felici. Fare politica vuol dire amare la pace: se nel passato si
riteneva che ci fossero guerre giuste, come le guerre di liberazione nazionale
o di indipendenza, oggi sappiamo che, per quanto la causa possa essere
giusta, le guerre puniscono sempre inevitabilmente gli innocenti ed i più
poveri. (cfr. p.82).
...il libro di José Pepe Mujica, La felicità al potere.
Il
libro-intervista: i giovani.
E’ bello che i giovani vogliano fare politica, è meraviglioso
vederli lottare per ciò che pensano e sentono, purché vivano come
pensano. Ai giovani dice di non farsi scippare la vita, di non conformarsi a
vivere in ginocchio, di non lasciarsi trasformare in schiavi per correre dietro
un mondo di sperperi, di non farsi prendere per il naso dal marketing della moda,
perché la moda è essere liberi, è onorare le cose fondamentali dell’esistenza
dell’uomo, come l’amore, l’amicizia, la solidarietà (cfr. p. 87, 188).
La dedica scritta da Cristina Guarnieri sul libro di José Pepe Mujica: “Al sindaco Marino, perché renda più felice la città di Roma, la più bella del mondo! E legga questo libro!”
Il
libro-intervista: la felicità.
La
felicità è il tesoro più importante che abbiamo. Non ci può essere felicità
senza il tempo per viverla e per costruirla per sé e per gli altri. Il tempo
non si compra e la vita, che se ne fugge via, bisogna conquistarla,
altrimenti te la rubano e diventa un prodotto ed una causa di
mercato (cfr. p. 188).
La presentazione del libro.
Il libro-intervista: consumismo, disuguaglianza.
C’è un problema di carattere politico: la nostra civiltà è
basata sull’usa e getta, in una spirale, un circolo infernale, dal quale
tutti dobbiamo decidere di uscire. E c’è un problema economico: 85 persone possiedono
quasi la stessa ricchezza del 40% dell’umanità; più cresce la ricchezza più
aumenta la disuguaglianza. Eliminare indigenza e povertà è una priorità: i
soldi ci sarebbero, se pensiamo che nel mondo si spendono milioni di dollari al
minuto in bilanci militari… (cfr. pp.189-190).
Roberto Saviano con il libro tra le mani.
Il libro-intervista: sognare e dedicarvi la vita intera.
Guai a cessare di sognare e sognare in grande, ma con i
piedi ben piantati a terra, perché una cosa è il sogno giovanile,
un’altra dedicare la vita intera a servire questo sogno (cfr. p.192). Non
so fino a che punto possa essere un modello da imitare. Nessuno pretende che
noi si viva in catapecchie, seguendo le orme di S. Francesco d’Assisi o la scelta laica di “Pepe”. Che la politica non sia strumento di
arricchimento ma servizio alle persone, “passione superiore, esempio di vita sobria e vicina a
quella della maggioranza”, questo sì, lo dobbiamovolere e pretendere da tutti.
Non so quanta risonanza sui media possa avere il
libro-intervista. Il fare, dire ed essere di Mujica mal si concilia
con le azioni dei “grandi” della Terra ed il loro modo di intendere la
globalizzazione e lo sviluppo. Ciò che dice è però ciò che da sempre mette
in pratica e testimonia ogni giorno della sua vita. Non so
perché, il pensiero corre, al film “Il grande dittatore”, al discorso finale di
Chaplin: “Le macchine che danno l’abbondanza ci hanno lasciato nel bisogno.
La nostra sapienza ci ha reso cinici e l’intelligenza duri e spietati. Abbiamo
bisogno di umanità, abbiamo bisogno di dolcezza e di bontà. Altrimenti la vita
sarà violenta e tutto andrà perduto…”.
Sig. Presidente “Pepe”, il Suo modo
di essere “loco” mi avvince.
Si consiglia di mettere in pausa la musica del blog prima di avviare il video.