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lunedì 30 maggio 2022

Guerra: arte, professione o dovere civico?

Post di Rosario Grillo.
Immagini delle opere sull'Ucraina di Vladimir Egorovič Makovskij, pittore russo vissuto tra il 1846 e il 1920.
 
Makovskij, Piccola Russia (Ucraina), 1885
“o pensare che non sia pace, o tanto prevalersi ne' tempi della guerra, che possano nella pace nutrirsi.”
(N. Machiavelli)
 
Davanti all’orrore della guerra si ergono impellenti obblighi morali, che consistono nella comprensione e nella reazione.
Obblighi che riguardano la comunità internazionale i singoli Stati; da lì discendono (e riguardano) i cittadini membri. Si devono aggiungere alla lista organismi non politici come le chiese; quindi per quanto ci tocca, la chiesa cattolica. Di questa, conosciamo bene la conduzione dell’attuale pontefice, in sintonia con i suoi precursori, almeno a partire da Benedetto XV. Bergoglio ha rimosso qualsiasi “ombra” (e compromesso) relativa al concetto di “guerra giusta (1) e messo in chiaro una pregiudiziale opzione per la pace.
Principio altamente fondato sulla dottrina evangelica riassunta nella dichiarazione di Cristo: “vi do la pace, la vera pace”. Se questo principio evangelico ha un senso, infatti, da esso si ricava che la guerra è errore: esercizio del nostro spirito egoistico, “insinuazione diabolica”.
Entrando poi nella pratica, risulta che con esso e da esso si impronta un sistema economico che privilegia il profitto individuale, a discapito della giustizia sociale (nella sfera di ciascuno Stato e nella sfera dei rapporti tra gli Stati).

domenica 22 maggio 2022

Il tempo della vita nel tempo del mondo.

Post di Gian Maria Zavattaro.
Immagini delle illustrazioni di Pepe Serra (qui il sito instagram).
 
Pepe Serra, Rallentare il tempo
Nell’attesa che il nostro ospite indesiderato - il covid - se ne vada per sempre, senza oltre indugiare, da casa nostra e da ogni altra casa, mia moglie ed io trascorriamo questo tempo di privazione osservando il tempo del mondo e sondando l’essenza del tempo delle nostre vite.
 
💥 1. Il tempo del mondo. (1) Ho riletto alcune pagine del “Tempo della vita e tempo del mondo” di H. Blumenberg (Il Mulino,1996). Il tempo del mondo, diacronico, ha una sua perturbante fisionomia priva di tenerezza e misericordia, impietoso di fronte al tempo di ogni vicenda umana, indifferente alle nostre singole sincroniche vite. Ma la brevità della vita - per quanto lunga possa essere - può divenire per alcuni la più corruttrice di tutte le ossessioni: tentazione del successo supremo, quello di ricomporre ed identificare il tempo sincronico delle nostre vite con quello diacronico del mondo. Secondo Blumenberg la chiave di lettura la fornirebbe Hitler: ha cercato in ogni modo di forzare il rapporto tra tempo del mondo diacronico e tempo della vita sincronico, facendoli coincidere e smarrendo il senso del sopravvivere del mondo al singolo. E poiché l’indifferenza che il tempo del mondo riserva ai miserabili affanni delle esistenze individuali non si fermava, non gli sarebbe rimasta che l’allucinata demoniaca soluzione possibile: finirlo, inabissarlo senza alcun superstite. E’ la tentazione che può colpire tutti oggi con la catastrofe nucleare. Ubris famelica tale da spingere anche oggi a travalicare oltre i limiti, sfidare il “tempo del mondo” con l’ostentazione del potere e l’illusione dell’onnipotenza.

sabato 14 maggio 2022

La rimozione delle lucciole.

Post di Rossana Rolando.

Massimo Recalcati, Pasolini, 2022
Nel piccolo libro di Massimo Recalcati, da poco uscito, dal titolo “Pasolini. Il fantasma dell’Origine”, si dà molto spazio all’elemento del religioso e del sacro nella poetica pasoliniana.¹ In particolare, si insiste sulla tesi del mondo disincantato che caratterizza la società consumistica borghese:
non esiste un borghese che possegga un autentico sentimento religioso.² Per Pasolini il tentativo del fascismo storico di colonizzare le coscienze è riuscito solo superficialmente. Viceversa, il nuovo fascismo consumista (tecno-fascismo) ha permeato la mentalità collettiva, assorbendo in sé ogni desiderio e chiudendo l’uomo contemporaneo nella cerchia dei beni continuamente inseguiti e raggiunti. L’Altro, l’Origine, la Madre, l’Inedito - i tanti nomi di cui si riempie lo scarto tra l’aspirazione e la realtà – si eclissano dall’orizzonte del mondo, appiattendo il desiderio nell’ultimo prodotto, illusoriamente nuovo, che il mercato incessantemente propone. Il mondo non conosce più la meraviglia dell’Origine e le lucciole scomparse dalla campagna ne sono l’emblema: l’industrializzazione e le luci artificiali di stadi, concerti, schermi televisivi, hanno oscurato la capacità di vedere nel buio, da una parte, ma hanno anche azzerato la presenza stessa delle fonti di luce, metaforicamente rappresentate dai piccoli corpi volatili: “Le lucciole sono il simbolo di un tempo dove il mistero abitava ancora il mondo, un tempo che ha preceduto la violenza demitizzante della civiltà dei consumi”.³

sabato 7 maggio 2022

Preghiera.

Post di Rosario Grillo
Immagini dei dipinti della pittrice austriaca Marianne Stokes (1855-1927).
 
Marianne Stokes, Donna che prega
“Sorvoliamo - perché già denunziata - sulla carenza teologica di un concetto che non sembra ricordare che il soggetto primo della preghiera è Dio, con il suo colloquio trinitario, e soffermiamoci sull’aspetto psicologico, antropologico, culturale della obiezione.  In effetti l’uomo dell’Occidente, piuttosto refrattario alla contemplazione, non riesce più a riconoscere Dio, quando gli viene incontro, né a percepire i suoi messaggi perché sa cogliere quasi soltanto le proposte formulate in termini razionali, categoriali, didascalici ed ha atrofizzato le antenne per captare parole più profonde. Crede che Dio sia un maestro o un conversatore dialettico. Si attende da lui discorsi logici, morali, direttive pragmatiche: un aiuto, insomma tanto più comodo quanto meno profondo, un aiuto al livello di fare, di progettare, di eseguire. Invece lui no, vuol darci altro, vuol darci se stesso: vale a dire un mistero indecifrabile. Perciò la sua Parola più è vicina e meno è leggibile a livello tematico, categoriale, razionale, risolutore di problemi. Per coglierla dobbiamo sviluppare altri organi recettivi, altri modi più esistenziali e sapienziali di contatto. Perciò possono aiutarci le esperienze d’amore, l’esperienza dell’arte, i contatti esistenziali profondi con le cose: atteggiamenti, tutti, che postulano tipi diversi di rapporto, non limitati alla razionalità ma affondati in un deposito vitale più profondo.”
 
Sto centellinando con una lettura lenta il prezioso libro di Adriana Zarri, Nostro signore del deserto. Tema del libro: la preghiera (che cos’è, come nasce, i modi, le implicazioni). (1)
Nel frattempo, stimolato dalla mail di “Alzo gli occhi verso il cielo ascolto una puntata di Uomini e profeti (nuova versione), nella quale sono invitati Enzo Bianchi e Lidia Maggi. Tema della puntata: il corpo nella fede e nella società. Lo spunto provocatorio è dato da un provvedimento eccessivo, nel sistema scolastico inglese, che ha comminato una condanna pesante per un’insegnante che ha osato accarezzare un bambino con la misura dell’affetto/premio. Lo spazio è stato in effetti preso dalla disamina della considerazione corrente nella società odierna, alla luce dei due anni di pandemia e nel contesto della tragica guerra ucraina. Mi riallaccio inoltre a riflessioni continue emerse nei miei post dedicati al biopolitico, alla ecologia del pensiero, alle membra e all’espressione del corporeo.

domenica 1 maggio 2022

Insegnamento-apprendimento "significativo".

Post di Gian Maria Zavattaro
Immagini delle illustrazioni di Andrea Ucini (qui il sito instagram).

Insegnare non è riempire un vaso, ma accendere un fuoco (Montaigne).
 
Andrea Ucini, Museo del fuoco
In base alla mia esperienza di docente e soprattutto di preside, si può essere d’accordo, almeno a parole, sull’affermazione che l’apprendimento scolastico per divenire “significativo” non deve mortificare né angosciare, pur esigendo fatica e rigore.
I due anni trascorsi di covid hanno prodotto un'abnorme situazione di emergenza (1) - contraddistinta per  quanto riguarda la scuola  da  reiterate improvvisate misure non sempre coerenti e da discutibili palliativi (banchi a rotelle, mascherine inutilizzate o inutilizzabili…) - che  ha colto tutti impreparati e impietosamente ha evidenziato luci e ombre circa “il problema dell’insegnamento - apprendimento”. (2)  La “dad” non è stata “luogo” di  tutti e di ciascuno, anzi spesso si è trasformata in “non-luogo” (3) per nulla gratificante, in cui si sono prodotti servizi scarsamente efficaci e funzionali, contestabili offerte di valore aggiunto, effimere relazioni educative e conseguenti apprendimenti ben poco “significativi”.
Non parlerò delle tecniche e tecnologie oggi di moda per indurre apprendimento che si presume significativo: le lascio agli addetti ai lavori ed a quanti si assumono la responsabilità di introdurle, diffonderle e ritenerle significative.

sabato 23 aprile 2022

Libertà è liberazione. Dostoevskij.

 Post di Rossana Rolando.

Vincent van Gogh, La ronda dei carcerati, 1890, particolare, Mosca
Oggi, la parola liberazione, che ogni anno ricorre, legata al 25 aprile, si carica di nuovi pesanti fraintendimenti.

Festa civile fondativa della nostra convivenza, alla base dei valori della Costituzione italiana, essa è spesso motivo di divisione tra opposte parti politiche, segno di un rapporto irrisolto con il passato. La festa del 25 aprile risulta oggetto di rivendicazioni che molto svalutano il senso della liberazione: disdegnata da chi non si riconosce nella lotta dei partigiani, erroneamente considerati espressione di un solo ben connotato schieramento politico (essendo invece il risultato di molti e diversi partiti antifascisti); rifiutata  da chi guarda in modo nostalgico al ventennio fascista o addirittura all’ideologia nazista.

La guerra russo ucraina, e l’uso – da entrambe le parti - delle parole liberazione e resistenza, accompagna inoltre questo 25 aprile, inquinandolo con ulteriori polemiche: chi annovera la posizione dell’Ucraina nell’orizzonte semantico della resistenza e della liberazione dall’aggressore e chi non intende affatto applicare al fronte ucraino questi termini, interpretando il conflitto alla stregua di una guerra tra Nato e Russia.

sabato 16 aprile 2022

Squarci di tenerezza.

Post di Rossana Rolando.
 
Donatello, Madonna Pazzi, foto personale
Aprile è inoltrato, siamo ormai alla vigilia di Pasqua. Nelle chiese si celebrano i grandi simboli della cristianità. Da quasi due mesi incombe la guerra in Ucraina. Gli appelli alla pace e alla deposizione delle armi sembrano parlare un linguaggio del tutto incoordinabile con la logica del conflitto: quel che si avverte è la distanza tra la durezza del realismo politico e le vie impossibili della pace.
Se non si rimane sommersi dall’indifferenza, anestetizzati spiritualmente, si avverte l’esigenza di riandare alle sorgenti di un’umanità perduta. Quando tutto è così duro, ostile, ferreo, pesante, sentire dentro qualcosa che intenerisce, si smuove, si fa delicato e molle, è un segno. Montale direbbe: “E il segno dun’altra orbita: tu seguilo”.¹
 
C’è chi vorrebbe scrivere una storia della tenerezza. Isabella Guanzini ha dedicato ad essa un libro.² In questo post, più sommessamente, rimando ad alcuni squarci di tenerezza.

venerdì 8 aprile 2022

L'alba dell'Europa.

Post di Rosario Grillo.

Luci della terra, immagine NASA, 2002
Non esiste, ad onor del vero, un’entità già costituita alla quale possiamo dare il nome di Europa. Terra del tramonto: questo il “segno
” impresso, mentre la mitologia narra della principessa Europa violentata da Zeus in sembianze di toro.
Per questa ragione attingiamo dalle radici culturali; in questo modo, si impongono all’attenzione per primi: la tradizione giuridica romana e la Chiesa romana, assurta, tra Costantino e Teodosio, a “resume” della Roma imperiale, mentre sulla via della canonica aveva raggiunto una sintesi tra filosofia greca e dogmatica patristica.
Resta il bisogno di fissare una dimora. A questo riguardo, se Roma, la sede del vescovo di Roma, godeva della simbologia romana, contano: gli avamposti che l’impero bizantino manteneva nella penisola, l’insediamento dei regni romano barbarici, tra i quali, alla fine, prevalgono i Franchi (avevano fermato l’avanzata islamica a Poitiers), la costante instabilità a causa dell’espansionismo arabo (i saraceni nel Mediterraneo) e la nuova ondata di invasioni per mano dei vichinghi e degli Ungari. Questi ultimi, con grande evidenza, ci spingono a guardare ad est.
Così, svegliata la nostra coscienza storica, riconosciamo che buona parte dei barbari che avevano insidiato l’impero romano venivano dall’area di mezzo dell’oriente, che si estende dal Reno agli Urali, che si protende verso la penisola scandinava, che nel meridione comprende pianure ungheresi ed ucraine fino al Mar Nero. Non c’è Europa senza questo “melting”.
Sorprendentemente (perché nel medioevo, nonostante la difficoltà delle comunicazioni, ci si spostava) Carlo Magno diplomaticamente intrattiene rapporti con l’impero bizantino, i Vichinghi, con diverse vicissitudini, sono la cellula del regno normanno del sud che interagisce con arabi e con bizantini; più in là sarà Enrico I, imperatore del sacro Romano impero germanico, a sposare la vedova di Vladimiro I di Rus’.

sabato 2 aprile 2022

“Signore, disarmali. E disarmaci”!

Post di Gian Maria Zavattaro
Immagini del "Regno della pace" di Edward Hicks (pittore americano, 1780-1849), in diverse versioni. 

Edward Hicks, Regno della pace
-
La pace non è assenza di guerra, è una virtù, uno stato d’animo, una disposizione alla benevolenza, alla fiducia, alla giustizia” (B. Spinoza, Trattato teologico - politico, Einaudi, 2007).
- La pace è il più grande bene umano, perché è la somma di tutti i beni messianici. Come la pace è sintesi e simbolo di tutti i beni, così la guerra è sintesi e simbolo di tutti i mali. Non si può mai volere la guerra per se stessa, perché è sistematica violazione di sostanziali diritti umani.” (Card. Martini, omelia in S. Ambrogio a Milano del 6.12.01, estratto La Repubblica del 7.12.01).
- “Per superare l’idolo dell’odio e della violenza è molto importante imparare a guardare al dolore dell’altro. La memoria delle sofferenze accumulate in tanti anni alimenta l’odio quando essa è memoria soltanto di se stessi, quando è riferita esclusivamente al sé, al proprio gruppo, alla propria giusta causa. Se ciascun popolo guarderà solo al proprio dolore, allora prevarrà sempre la ragione del risentimento, della rappresaglia, della vendetta. Ma se la memoria del dolore sarà anche memoria della sofferenza dell’altro, dell’estraneo e persino del nemico, allora essa può rappresentare l’inizio di un processo di comprensione. Dare voce al dolore altrui è premessa di ogni futura politica di pace.” (Card. Martini, “Ogni popolo guardi il dolore dell’altro e la pace sarà vicina” dall’articolo del Corriere della sera 27.08.2003).

Non ho nessuna chiave di lettura da proporre, nessuna dichiarazione  pro o contro. Semplicemente manifesto l'incondizionata disponibilità a tessere insieme con chiunque “legami di pace”; a potenziare insieme le “fabbriche della pace” in opposizione ad ogni fabbrica di guerra; ad invitare all’ascolto di tutti senza pregiudizi, comprese le parti belligeranti; ad imparare a cogliere la distanza siderea tra ritenere di avere delle ragioni e avere ragione; a parlare e parlarsi senza nascondere la propria identità; a continuare a convivere nel rispetto dell'altro, accanto a noi con la sua diversa cultura, lingua, esperienza di fede. E soprattutto condividere gioie e dolori degli altri “per capire che cosa fa gioire e soffrire l'altro, che cosa spera, che cosa desidera, perché così si può conoscere realmente concretamente l’ "altro" e insieme “prendere apertamente le parti contro l'odio e la violenza, riconoscere la differenza di ognuno, ma anche le affinità, pur con significati diversi”.  

Edward Hicks, Regno della pace
Noi, cittadini senza alcun potere, in questo momento abbiamo solo la forza della parola e dell’ascolto. Soprattutto la necessità di un linguaggio pulito, chiaro, non inquinato, oltre i sofismi degli intelligentoni, oltre la grandine di falsità, oltre il gioco disonesto delle ambiguità semantiche e delle ipocrisie concettuali di pace e di guerra, parole chiave che rischiano di essere solo suoni o rumori o peggio strumenti piegati per servire mortiferi interessi noti ed ignoti. 
Pace? Il deserto dei cimiteri (ricordate Tacito!)? Il silenzio delle città distrutte dalle bombe  e le fosse comuni? Eppure in tutte le lingue, al di là dei molteplici significati, c’è un’esperienza comune, un comun denominatore molto vicino allo SHALOM ebraico: integrità santità buon ordine stato di compiutezza e di perfezione. Un concetto positivo, riempito di qualcosa: non assenza ma presenza!
Guerra? Difensiva, aggressiva,totale, globale, preventiva, legittima? Giusta? Quando mai?
Spinoza afferma che “la pace non è assenza di guerra”: mi pare voglia farci capire che non basta dire ciò che la pace non è, ma ciò che è o deve essere. E’ certamente assenza di guerra: essere per la pace significa essere contro la guerra, non accettarla come fatalità, rifiutare tutte le guerre soprattutto oggi, quando le modalità distruttive sono talmente imponderabili che non c’è nessuno in grado di controllarle e di impedire che l’umanità precipiti nella “pace” dei cimiteri. Spinoza sapeva bene che la parola pace (Shalom) è concetto  positivo, riempito dalla presenza di uno stato d’animo virtuoso. Riguarda non solo i popoli ed i loro governanti, ma ognuno di noi, come ci avverte la Pacem in terris”: “A tutti gli uomini di buona volontà spetta un compito immenso: il compito di ricomporre i rapporti della convivenza nella verità, nella giustizia, nell’amore, nella libertà: i rapporti della convivenza tra i singoli esseri umani; fra i cittadini e le rispettive comunità politiche; fra le stesse comunità politiche; fra individui, famiglie, corpi intermedi e comunità politiche da una parte e dall’altra la comunità mondiale”.
Edward Hicks, Il Regno della pace
La pace non c’entra niente con i parolai dei salotti virtuali. Non ci interessano né il pacifismo della paura, dell’astensione e della propria tranquillità disturbata, né i salotti virtuali 
su chi ha torto e chi ha ragione, spettacoli di alterchi sprezzanti di chi non è in guerra ma fomenta litigiose incomprensioni, il livore uccide il dialogo ed ognuno fa il suo gioco.
Rivendico piuttosto il dovere silente di essere operatore di pace!
Ogni giorno siamo invasi dalla mortale tragedia di un mare di persone. Che cosa possiamo fare in concreto noi, cittadini inermi, oltre che non stare zitti e gridare la nostra rivolta morale, per fermare una spirale che non si sa dove finirà?
Scriveva Paul Ricoeur: “Dentro lo spessore del male introdurre la follia della compassione. Ho la responsabilità di far diminuire il male con la giustizia e la poetica dell'agape”. Scriveva Aziz Fuad: Faccio ogni giorno quello che posso perché l'assurdità della guerra scompaia dalla vita di ogni uomo”.
Quante volte ci siamo detti che la pace dipende anche da ognuno di noi, dalla nostra quotidiana relazione con noi stessi prima di tutto e con gli altri, dalla nostra capacità di accoglierci ed ospitarci reciprocamente! E’ vero, terribilmente vero, ma non basta a mutare a ciò che succede ora in Ucraina e in tante altre parti del mondo. 
L’invocazione “Signore, disarmaci e disarmali!”(1) è preghiera e  insieme grido che si fa voce delle vittime, appello urgente a chi può “fermare immediatamente l’inumana tragedia”. Penso alle incessabili suppliche invocazioni gesti di papa Francesco! Anche a noi compete il precipuo  dovere della preghiera, che interpella la nostra coscienza di cristiani. Anche noi dobbiamo dare voce al dolore altrui, premessa di ogni futura politica di pace, non cedere all'assuefazione-rassegnazione fatalistica o a fugaci effimere reazioni emotive, non  cadere nelle trappole della guerra-spettacolo, delle informazioni manipolate e del verminaio di contrastanti interessi noti ed ignoti.  
Edward Hicks, Regno della pace
Rimane indubbiamente difficile decifrare in modo certo e non ideologico la storia complicata di odio e violenze secolari delle presenti vicende belliche (2).
Rimane l’urgenza di rischiarare,  in primis a me stesso, il dibattito “bellicisti-pacifisti”. Meditare e rimeditare, nel mio caso,  lapidarie considerazioni, nelle quali mi riconosco, di Emmanuel Mounier, che già nel 1939 poneva in discussione la guerra "giusta" e che insieme ammoniva che "una pace apparente è un male spirituale equivalente al male della guerra" (3).
Concludo con un interrogativo: la scuola? Ha il dovere della parola, contro la ridondanza frastornante e la presunzione di tanti saccenti e nuovi sofisti, contro lo smarrimento prodotto dai media, contro la guerra come puro spettacolo. Ha il dovere di educare alla pace: far comprendere che la giustizia è il vero fondamento della pace, che non è solo assenza di guerra, ma profonda esperienza spirituale e rispetto dei diritti-doveri; suscitare una corale coscienza internazionale; promuovere consapevolezza che la guerra non è l'unica trasgressione del diritto alla vita, lo sono pure povertà ingiustizia disuguaglianze; coinvolgere i giovani, al di là della retorica e delle tautologie, ad essere ognuno qui adesso costruttore di pace. E continuare a proclamare la nostra presenza a quanti soffrono le guerre: “Voi tutti  che nel mondo soffrite per la guerra non siete abbandonati: noi con voi vogliamo la pace e insieme costruirla”. 
Edward Hicks, Regno della pace
Ma le parole da sole non liberano. Ci vuole l’esempio, la testimonianza, la com-passione che si fa azione. Non si educa alla pace se non la si pratica e la si vive ogni giorno  in un contesto dove docenti e studenti respirano l'I Care della pace che trasformano insieme in  esperienza di pace. Pensate a cosa possono fare, uniti,  nelle scuole docenti studenti genitori non docenti, dove si vive l’ospitalità reciproca, l’indifferenza è bandita, ci si impegna sul versante dei diritti umani, si pratica il dono del volontariato, alla luce non solo dell’art. 11 della Costituzione, ma di tutti i primi dodici articoli. Altrimenti ci prendiamo in giro: non si può educare alla pace se non si è credibili, se non la si pratica e la si vive in contesti dove non ci si considera nemici. Se io studente sperimento con il mio insegnante la relazione di pace, farò altrettanto con gli altri, sarò spronato a volere e vivere anch’io una cultura di pace. Pensate a cosa può fare una scuola che promuove concerti, mostre artistiche, scambi con scuole italiane e di altre nazioni, pratiche di solidarietà sul territorio o nell’ambito mondiale, che difende i diritti umani e l’ambiente, che sollecita la riflessione su tematiche di grande attualità e di ampio respiro, che pratica  l’accoglienza di chi è in difficoltà o fugge dalle guerre, dalla fame, dall'orrore! Scuola che ogni giorno vive la cultura di pace e la trasforma in esperienza di pace. Ed insieme tutti contribuiscono alla costruzione del futuro, insieme tessono “legami di pace”, si curano dell’altro, s’incontrano senza sospetti, si riconoscono come persone, sognano insieme. Ognuno di noi assuma le proprie responsabilità. Solo allora potremo anche noi intonare con il card. Martini  la
 
  PREGHIERA PER L'EUROPA
   Padre dell'umanità, Signore della storia,
guarda questo continente europeo 
al quale tu hai inviato tanti filosofi, legislatori e saggi, 
precursori della fede nel tuo Figlio morto e risorto.

Guarda questi popoli evangelizzati da Pietro e Paolo,
dai profeti, dai monaci, dai santi;
guarda queste regioni bagnate dal sangue dei martiri
e toccate dalla voce dei Riformatori.

Guarda i popoli uniti da tanti legami
ma anche divisi, nel tempo, dall'odio e dalla guerra.
Donaci di lavorare per una Europa dello Spirito
fondata non soltanto sugli accordi economici,
ma anche sui valori umani ed eterni.

Una Europa capace di riconciliazioni etniche ed ecumeniche,
pronta ad accogliere lo straniero, rispettosa di ogni dignità.
Donaci di assumere con fiducia il nostro dovere
di suscitare e promuovere un' intesa tra i popoli
che assicuri per tutti i continenti,
la giustizia e il pane, la libertà e la pace.

(P. Carlo Maria Martini)

Note. 

Edward Hicks, Regno della pace
(
1) Preghiera diffusa dai vescovi francesi nel novembre 2015, scritta nello spirito di Tibhirine da frère Dominique Motte, domenicano del Convento di Lille. Riporto parte del testo:“Disarmali Signore: e fa che sorgano in mezzo a loro profeti che gridano la loro indignazione e la loro vergogna nel vedere come hanno sfigurato l’immagine dell’Uomo, l’immagine di Dio”. “Disarmali, Signore dandoci, se necessario, poiché è necessario, di adottare tutti i mezzi utili per proteggere gli innocenti con determinazione. Ma senza odio. Disarma anche noi, Signore[…] senza ovviamente giustificare il circolo vizioso della vendetta […]. Dacci, Signore, la capacità di ascoltare profeti guidati dal tuo Spirito. Non farci cadere nella disperazione, anche se siamo confusi dall’ampiezza del male in questo mondo”. “Disarmaci e fa' in modo che non ci irrigidiamo dietro porte chiuse, memorie sorde e cieche, dietro privilegi che non vogliamo condividere. Disarmaci, a immagine del tuo Figlio adorato la cui sola logica è la sola veramente all’altezza degli avvenimenti che ci colpiscono: ‘Non prendono la mia vita. Sono io che la dono’ ”.
 
2. Non è solo questione di guardarsi dalle false notizie o di tenersi lontani dagli spettacoli dei salotti virtuali. È molto di più, è questione di essere liberi, di essere persone  che pensano, problema di "cultura" quale la intendono le persone che sanno bene che “chi conosce tutte le risposte, non si è fatto tutte le domande” (Confucio): "cultura" che può impedire agli uomini di accanirsi l’uno contro l’altro perché coltiva il dubbio, perché seleziona i dati da fonti affidabili non inficiate da pregiudizi, conosce ed approfondisce la geografia e la storia come  come bussole di orientamento per capire meglio il mondo e i suoi abitanti e mettere in prospettiva quello che succede.
3.cfr. I cristiani e la pace, Ecumenica ed., Bari, 1978. Mounier pubblica “Les crètiens devant le problème de la paix” nel 1939, all’indomani del malaccorto imprevidente patto di Monaco. La guerra, sempre un flagello, è oggi un cataclisma sproporzionato a qualunque possibile causa ed una catastrofe spirituale totale. “È inconcepibile che il cristiano possa oggi scherzare con leggerezza sull’eventualità di un conflitto che sarebbe la confessione dello scacco della cristianità occidentale. Sarebbe intollerabile che vi pensasse come a un rimedio estremo, che l’accettasse come una fatalità, mentre la guerra non è che uno scasso, un muro di disperazione. Una nuova guerra consacrerebbe le dimissioni di questa cristianità”(cfr. pp.75-76). "La possibilità di una guerra giusta secondo la definizione scolastica è dunque sempre più contestabile" (p.73).
La guerra è abbandono dell'"ordine interiore e della giustizia visibile", abdicazione dalla "virtù cristiana della fortezza", negazione della virtù della "carità": è "dimissione". Ma per Mounier  "la guerra non è la sola dimissione possibile". Lo è anche “acquistare la pace a prezzo di un accrescimento di bassezza, di un nuovo regresso dello spirito cristiano dinanzi alle forze anti-cristiane. Il cristiano non ha il diritto di fare questa scelta. Anche davanti alla catastrofe della guerra? Sì, anche davanti ad essa” (pp.75-77). “La pace apparente, a certe condizioni, è un male spirituale equivalente al male della guerra” (p.18).
“In una situazione fatale in cui sembra che non si abbia altra scelta che la guerra ad ogni costo, anche a costo della salvezza della propria nazione, occorre esplicare tesori di energia e di ingegnosità politica per cambiare la situazione, come i grandi caratteri possono sempre fare, al fine di salvare con ogni impegno e la pace e l’onore, e cercare di non mettersi più in tali conseguenze estreme” (76-77). “In un mondo dove alcuni vogliono la guerra o alcuni non escludono di ricorrervi, il rifiutarsi a qualsiasi azione potendo correrne il rischio, significa rifiutarsi a qualsiasi resistenza, poiché tale rischio si trova ovunque, salvo che nell’avvilimento o nel suicidio deliberato. Si deve correre questo rischio mentre si deve fare uno sforzo tanto più eroico per scongiurarlo. Dio deciderà il risultato. Sarebbe vano dissimulare l’aspetto tragico di queste opzioni in un mondo in cui ogni opinione sembra carica di disperazione e di peccato. Ma, ridotto in vicoli ciechi così tenebrosi, il cristiano non può ripiegare su di una falsa pace, fatta di tradimento e di compromesso, egli passa all’assalto” (77). 
Quale futuro? Quali strategie? Nel nostro piccolo dobbiamo rispondere. Non ci si salva da soli né spiritualmente né socialmente. Conoscere il dato storico e piegarlo al massimo del servizio cristiano. Lottiamo come disperati contro la guerra che viene, non accordiamole neppure un briciolo di complicità. Ma non arriveremo ad esorcizzarla se non come si scongiura una malattia, presentandole un’anima sana in un corpo sano. Contro “il bellicismo” questo riduttore: l’assoluto della Carità cristiana; contro la forma di “pacifismo” che serve le imprese della violenza: la vocazione terrena del cristiano, l’umiltà che è il senso della terra, una pazienza con la storia che è la stessa inesauribile pazienza di Dio” (77-78).