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lunedì 29 aprile 2024

Preti ribelli.

Articolo di Gian Maria Zavattaro, già pubblicato su Avvenire, pagina diocesana di Albenga Imperia del 28 aprile 2024.

Daniele La Corte, Tradito
Ogni giorno - tanto più il 25 aprile - occorre e fa bene ricordare: riportare alla memoria non solo eventi nazionali e mondiali ma anche persone da non dimenticare del nostro ponente ligure (e dintorni).
Ci aiuta “TRADITO Don Giacomo Bonavia e i preti “ribelli” (Fusta ed, ottobre 2023) del noto giornalista e scrittore Daniele La Corte sulla “resistenza” tra l’8 settembre ‘43 e il ’45.
Sintesi non casuale è la citazione iniziale di don Gallo: “Il posto di un prete è fra la gente: in chiesa, per strada, in fabbrica, a scuola, ovunque ci sia bisogno di lui, ovunque la gente soffra, lavori, si organizzi, lotti per i propri diritti e la propria dignità”.

mercoledì 24 aprile 2024

Resistere nel quotidiano.

Post di Gian Maria Zavattaro.
Immagini di Militanza Grafica (qui).
 
Militanza Grafica, Oh partigiano
“La Resistenza è un fatto di gratuità. La vera: la Resistenza al potere, non per instaurare un altro potere ma per la libertà dell’uomo. Per questo Resistenza è Gratuità  e Partigiano l’uomo gratuito. Il Dio gratuito non è forse il Dio Partigiano, che prende le parti di chi, in un modo o nell’altro, è perseguitato dal potere?” (Luisito Bianchi, Monologo partigiano sulla Gratuità).
 
“Sono i democratici che fanno le democrazie, è il cittadino che fa la repubblica. Una democrazia senza democratici, una repubblica senza cittadini, è già una dittatura, la dittatura dell’intrigo e della corruzione” (G. Bernanos, La Francia contro la civiltà degli automi, Brescia 1947, pag. 25).
 
Non amo le celebrazioni retoriche, ma soprattutto non amo - è il rischio odierno - la cancellazione della memoria che vuol dire vivere in modo sfibrato il 25 aprile, dimenticando il senso delle radici della propria libertà. (1)
Stiamo respirando un’aria pestifera: vergognosi comportamenti di troppi uomini e donne ai vertici politici, dissidi tra partiti,  clima di irridente e sfacciata omologazione volto a ridurci a docili servi o a truppe cammellate, dilagare di guerre e stragi di innocenti, iniquità e violenze di ogni genere, ‘indifferenza per le tragedie collettive altrui, sfruttamenti,  disuguaglianze, migrazioni dei disperati.. E  un futuro sempre più incerto soprattutto per i giovani… (clima, lavoro…).  Tutto ciò dovrebbe obbligarci ad abbandonare le celebrazioni agiografiche per riprenderci e vivere i valori resistenziali, mantenerci fedeli ad essi nella costruzione dell’oggi e del domani.
Ricordo ancora - io imberbe studentello ginnasiale - un articolo di C.A.Jemolo apparso tanti anni fa su “La Stampa”, che già allora mi aveva colpito e che sinteticamente ripropongo in  nota. (2)

sabato 20 aprile 2024

L'arte del dimenticare.

Post di Rossana Rolando.

Hieronymus Bosch, Il giardino delle delizie, uomo con topo
Funes, nel racconto di Borges. In un racconto di Borges, contenuto in Finzioni, si narra di un certo Ireneo Funes che, dopo essere stato travolto da un cavallo selvaggio, è rimasto paralizzato nel corpo e mutato nella mente, in particolare nella facoltà di ricordare. Prima della caduta è uno smemorato che dimentica tutto o quasi tutto.
Dopo, al contrario, la sua percezione del reale diviene quasi intollerabile, tanto è ricca e nitida, così come è particolareggiata la rimembranza degli eventi più antichi e banali. Ireneo ha più ricordi – lui solo – di tutti gli uomini messi insieme, in tutti i tempi. Non può nemmeno dormire, teso com’è a recepire il mondo. Ha imparato facilmente le lingue: l’inglese, il francese, il portoghese, il latino… Ma c’è qualcosa che non funziona in questa sua potentissima facoltà di ricordare. Nel suo mondo sovraccarico di dettagli - inutili come un “deposito di rifiuti” - manca l’attitudine al pensare, perché essa esige processi di selezione, generalizzazione, in una parola richiede la capacità di dimenticare piccole variazioni per unificare sotto un unico concetto: “Non solo gli era difficile comprendere come il simbolo generico «cane» potesse designare un così vasto assortimento di individui diversi per dimensioni e per forma; ma anche l’infastidiva il fatto che il cane delle tre e quattordici (visto di profilo) avesse lo stesso nome del cane delle tre e un quarto (visto di fronte).”¹

sabato 13 aprile 2024

Nella latitudine del Multiversum.

 Post di Rosario Grillo.
 
“Cos’è il tempo? Un mistero; un mistero privo di essenza, inafferrabile e potente. Una condizione del mondo delle apparenze, un movimento congiunto e immedesimato all’esistenza del corpo nello spazio e nel suo movimento. Ma se non ci fosse movimento forse che non ci sarebbe neppure il tempo? E non essendoci il tempo forse che non esisterebbe neppure il movimento? O viceversa? O essi sono una sola e identica cosa? Troppe domande! Il tempo è attivo, agisce, produce. Che cosa produce? Cambiamenti!” (La montagna incantata).
 
Premessa.
Esiste un’Italia minore, costituita da centri montani e borghi dispersi su e giù per la dorsale appenninica che attraversa la nostra penisola: luoghi colpiti dal fenomeno di un inesorabile spopolamento e luoghi vittime, in buona parte, del flagello dei terremoti, che scuotono il nostro territorio, di natura sismica. Su di essi concentro l’attenzione, dietro la scuola di autori che ne hanno studiato morfologia e tendenze, alla ricerca di un esperimento di coesistenza (in altro modo, detto anche di com-unità).
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Oggi “multiversum” è un concetto acquisito in quella cosmologia che teorizza la possibilità della pluralità degli universi, riecheggiando dottrine antiche (atomistica, G. Bruno) intonate alla pluralità dei mondi.
Più potente la valenza del “multiversum” correlata al tema curato dal filosofo E. Bloch (1) perché mette in risalto l’equivocità del tempo (2).
Fin da subito, è lecito sostenere che il multiversum blochiano s’immette nel solco della proposta di Sant’Agostino e si inoltra nella via aperta da Kant, che al tempo e allo spazio aveva riconosciuto natura trascendentale.
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domenica 7 aprile 2024

9 aprile, morte di Bonhoeffer.

Post di Gian Maria Zavattaro.

Dietrich Bonhoeffer
"Ci eravamo - scrive Bonhoeffer - molto semplicemente posta la questione: che cosa vogliamo fare nella vita? Lui disse: vorrei diventare santo (e ritengo lo sia diventato); la cosa mi fece allora grande impressione. Tuttavia replicai, dicendo pressapoco: io vorrei imparare a credere. Più tardi ho capito e non ho finito di capirlo e di impararlo, che soltanto nel pieno essere-di-questo-mondo della vita si impara a credere" (Resistenza e resa).
Il 9 aprile 1945 - era il lunedì dopo la Domenica in Albis – all’età di 39 anni moriva sul patibolo, impiccato dai nazisti, il teologo protestante DIETRICH BONHOEFFER. “Questa è la fine – per me è l’inizio della vita” furono le ultime parole, mentre gli aguzzini lo strappavano ai compagni di prigionia. 
Chi conosce anche poco, come me, del suo pensiero e della sua azione sa bene quanto le sue intuizioni abbiano influito sul rinnovamento della teologia protestante e cattolica e quanto esse siano  ancora vive. Un tema vorrei qui ricordare: la constatazione dell’avvento di un “tempo totalmente irreligioso”.