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giovedì 28 luglio 2022

In cammino.

 Post di Rosario Grillo.

💥ANSIA E CURA.
Anonimo bizantino, Gabriel, XIV secolo
Mentre siamo turbati dalla pandemia, atterriti dei segni premonitori di una catastrofe ecologica, incapaci di unire le forze per rispondere alle sfide terrene - intendo: le forze dell’alchimia politica e delle alleanze sociali strategiche - a noi cristiani sovviene la verità delle raccomandazioni depositate nella “lettera a Diogneto
”.
Lontanissime nel tempo: tali appaiono ai cantori del tempo presente, a coloro che esaltano la forza intrinseca alla tecnologia, usata per scardinare ogni ostacolo e procedere sul binario di un progresso inarrestabile.
La liturgia della VI domenica del tempo ordinario vede il profeta Geremia maledire colui che confida nell’uomo e benedire colui che confida nel Signore. È un vigoroso monito che non vuole rinnegare la fiducia che Dio ha posto nell’uomo, inviando il Figlio a salvarci, confinarla invece nel solco di una reciprocità.
Quale reciprocità?
Non sovrastimiamoci, perché l’infinito è comunque incommensurabile con il finito; verso l’uomo però si porge l’infinita misericordia, sigillata con il crisma dell’amore donativo.
Ecco il viatico, nel regno dei cieli il nostro destino.
Come quella “lettera” ha attraversato i secoli, fiduciando i credenti in Cristo, manifestando un fronte di laceranti sconfitte e di importanti vittorie (1), allo stesso modo, qui ed ora, a noi è richiesta risposta, pronta e drammatica, per battere i sentieri non sempre chiari e molto spesso lontani dal tragitto occidentale, a continuare il cammino della Chiesa cristiana. (2)
Un amico filosofo, Giovanni Scarafile, porge una bussola, quando si adopera per mettere in luce la pregnanza di certi inviti di Papa Francesco. Nello specifico: l’incompiutezza del conoscere con il dialogo tra i saperi. (3) In virtù dell’incompiuto, l’uomo muove a superare confini, ad individuare nuovi bisogni; il dialogo assicura intanto la interdisciplinarità e, per essa, il superamento di ottiche settoriali, mette in prova il pensiero e lo spinge sulla via della scienza autentica.

venerdì 22 luglio 2022

Papa Francesco e la pace.

Post di Gian Maria Zavattaro.
 
Papa Francesco contro la guerra
CONTRO LA GUERRA
PERCHÉ NON LA PACE?  PERCHÉ LA GUERRA?
 
“Questo Dio, siamo noi che ve lo abbiamo dato. Che cosa ne avete fatto? E’ per questo che ve lo abbiamo dato? Perché i poveri siano più poveri, perché i ricchi siano più ricchi? Perché i proprietari riscuotano i loro affitti? Perché i benestanti bevano e mangino?  Perché dei re mezzo pazzi regnino su popoli abbruttiti? E perché là dove i vecchi re cadono sorgano per dar loro il cambio degli orribili avvocati con i pantaloni neri, dei furbi, dei convulsionari, dei professori, degli ipocriti con le mascelle di lupo, mischiati a vecchie donne, degli uomini come mio padre? E che sia proibito di cambiare niente a tutto ciò? Perché ogni potere viene da Dio?” (P. Claudel, Pensée a Orian, Le Père humiliè, 1948).
 
La gente come me, che non conta nulla o ben poco,  possiede però un bene prezioso: la parola contro il silenzio. Mi riferisco alla parola trasparente, pulita, chiara, lampante, netta, inequivocabile. Come ci insegna il linguaggio di  papa Francesco in Contro la guerra Il coraggio di costruire la pace (LEV, 2022). Dopo aver letto Contro la guerra  capisco che anche per la gente come me parlare diventa necessità, dovere, obbligo: innanzitutto di ascoltare senza pregiudizi tutte le parti - i pro, i contro, i sì, i no, i boh,  i ma, i se… - e capire che hanno delle ragioni, ma che una sola è la ragione; di smascherare la frastornante ridondanza di tanti/e salottieri/e,  mentre tanti innocenti continuano ad essere falciati dalle guerre; di denunciare lo  stordimento e smarrimento prodotto dai media per i quali ogni guerra si riconduce al business dello spettacolo televisivo o alle fatue chiacchiere dei bar virtuali finché l’audience conviene, per passare poi, dopo il pieno della saturazione, ad ammannirci ben altri squallori.

martedì 12 luglio 2022

Frammenti alla deriva.

Post di Rossana Rolando
Immagini delle opere di Bordalo II (qui la pagina facebook).
 
Bordalo II, Mezzo colibrì
Detriti, resti, immondizia, spazzatura: nomi tutti che richiamano alla mente tutto ciò che è logoro e, ad un tempo, sporco – immondo –, fatto per essere spazzato via.
Sentiamo ogni giorno notizie che riguardano l’emergenza rifiuti in molte città. In particolare Roma, capitale splendida, coperta da cumuli di spazzatura, che attirano animali mai visti prima nelle strade cittadine; Roma devastata da incendi e soffocata da effluvi maleodoranti. Ci colpisce per il suo valore simbolico, ma sappiamo che il degrado coinvolge molte parti d’Italia, deturpando la bellezza naturale e la ricchezza culturale del nostro paese.
Le soluzioni sono rese difficili da ingarbugliate matasse di questioni politiche, economiche, sociali, civili. Nel frattempo, il rischio è quello dell’assuefazione allo sporco, al brutto e alla logica del buttar via.
I mondi culturali non sono indifferenti al tema e possono illuminare in molti modi il rapporto con l’oggetto-rifiuto.
Non mi riferisco alla pur bellissima poetica del detrito - lontana dalla problematica ambientale - che ha idealizzato lo scarto, facendone una tematica esistenziale, metafora di un mondo a cui si sente di non appartenere, che rigetta come il mare le sue scorie.¹
Piuttosto penso ad alcuni spunti che pongono proprio al centro della riflessione o della creazione artistica ciò che resta, senza alcuna idealizzazione.

martedì 5 luglio 2022

I bambini ci educano.

Post di Rosario Grillo.
 
Sowerby e Emmerson, Frutto proibito
Qualcuno disse che “invecchiando si ridiventa bambini”. Di certo, lo stato di dipendenza accomuna le due età. Ma qui voglio considerare un lato creativo dell’essere-bambino, emerso in tante occasioni recenti nelle mie letture. Può trovare degno apprezzamento da un essere-senile.
Indizio di saggezza: la proba saggezza che i classici sapevano riconoscere.
 
- Wittgenstein, maestro delle elementari.
L’esperienza della docenza nelle scuole elementari è la sorpresa che colpisce gli studiosi del pensiero di Wittgenstein. Spigoloso il contrasto tra le formulazioni delle enunciazioni logiche del Tractatus e l’improvviso abbandono del cenacolo di Trinity College di Cambridge.
Se la prima ragione si trova nella partecipazione al conflitto mondiale dal quale ricavò lo stato di prigionia scontato a Cassino, la più recondita possiamo ricondurla ad uno “stupore” che lo spinse a dedicarsi all’insegnamento elementare.
Un libriccino, Ina e Ludwig (1), ricostruisce in forma romanzata la possibile fonte dello stupore provato dal filosofo viennese, che non fece ritorno al gruppo di Cambridge e scelse invece di dedicarsi all’insegnamento.
Il contatto cercato ed avuto con l’età infantile ebbe la stessa qualità di un rapporto “mistico”. (2)