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sabato 18 maggio 2024

Una favola d'altri tempi? La città rinata.

Post di Gian Maria Zavattaro
Fotografie di Rossana Rolando.

Albenga e le sue torri
Anche le città credono d’essere opera
della mente o del caso ma né l’una né l’altro
bastano a tener su le loro mura. D’una città non
godi le sette o settantasette meraviglie, ma la
risposta che dà alla tua domanda.
(Italo Calvino, Le città invisibili).
 
La città rinata: una favola d'altri tempi?
 
C’era una volta molto tempo fa una città, Erebo, in riva al mare, ad un tiro di schioppo dalle montagne - città accorata, con un che di oscura malinconia (nomen omen!) -, dove tutti, (uomini, donne, vecchi, bambini, gatti, cani e canarini) non facevano altro che lavorare, ammassare soldi e contare i loro guadagni alla faccia degli altri: rendite, stipendi, conti in banca(ovviamente in  paradisi fiscali), interessi, affitti e profitti,  vantaggi e svantaggi e tutta la serie di cavilli di elusione fiscale. Non solo. Animati da una furia contagiosa, in parossismo collettivo passavano il tempo a calcolare tutto: larghezza, lunghezza, peso, distanze, cibi, bevande, cielo terra e spiagge pubbliche diventate private, amici, conoscenti,  turisti e stranieri (non i "migranti", troppo diversi), figli, scuola, lavoro, ferie e festività sacre e profane, serre, fiori, carciofi, asparagi, pomodori, trombette…Tutto! Forse che la vita non è altro che un calcolo continuo? 

giovedì 9 maggio 2024

Fuori della "gabbia d'acciaio".

Post di Rosario Grillo.

Charlie Chaplin, Tempi moderni
Remo Bodei nel capitolo VII, Il mondo e lo sguardo, de La filosofia del ‘900 (1), passa in rassegna filosofi lontani e vicini alla nostra epoca, da Husserl a Foucault, mirando a definire la cosalità, aderente alla funzionalità tecnica e deviata dalla libertà del soggetto. Richiama così Odradek, uno strano congegno meccanico descritto in uno dei racconti di Kafka. Ne fa un simbolo di un importuno “intralcio”: per arcano, capace di reinventare la sua esistenza. Kafka ne consiglia l’oblio. Bodei chiosa l’episodio: “per Heidegger bisogna, al contrario, sottrarre le cose dall’oblio della metafisica, farle aprire nuovamente a un dialogo, dar voce alla loro alterità, rifondarne il senso, renderle, attraverso il linguaggio, crocevia di relazione, supporti di una diversa possibile esperienza non manipolata” (2).
*
Ricordo la definizione data alla tecnica da Max Weber: gabbia d’acciaio. Riproduce alla perfezione il meccanismo infernale in cui si trova incastrato l’operaio Charlot di Tempi moderni. Qualche decennio prima la sociologia americana aveva configurato il sistema taylorista (3): una piena sincronizzazione delle fasi della produzione (catena di montaggio), cronometrazione, asettica pianificazione, momenti di una radicale razionalizzazione. La “ragione strumentale” prendeva il sopravvento accompagnandosi alla calcolabilità, alla serialità ed alla riproducibilità tecnica.