Post di Gian Maria Zavattaro.
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Händel, Messiah, 1741
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“Apparso un istante tra noi, il Messia si è lasciato vedere e toccare, solo per perdersi una volta ancora, più luminoso ed ineffabile che mai, nell’abisso insondabile del futuro. È venuto. Ma adesso noi dobbiamo ancora e nuovamente - non più solamente un piccolo gruppo eletto, ma tutti gli uomini - attenderlo più che mai. Il Signore Gesù verrà presto solo se l’attenderemo ardentemente. Sarà un cumulo di desideri a far esplodere la parusia”. (P. Teilhard de Chardin, L’ambiente divino, Mi,1968, pp. 183 e seguenti).
“Ogni istante è la piccola porta da cui può entrare il Messia” (Walter Benjamin,
Saggi e frammenti, Einaudi, Torino 1962)
In questo tempo di covid e di guerra ci apprestiamo all’Avvento, frammisti ad una umanità divisa tra guerra e pace, amore e odio, spreco e fame, I Care e indifferenza, dedizione d’innumerevoli persone per gli sventurati e cinico profitto di speculatori. Perché attendere? Attendere chi, che cosa? Quale concreta attinenza hanno questi interrogativi con il vivere dolente e il tragico morire di tanti, con la dilagante povertà, la solitudine disperante, l’incertezza e precarietà della vita che scuote sicurezze, scelte, abitudini, modi di relazionarsi con gli altri e con se stessi?