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sabato 3 dicembre 2016

Sulla crisi della democrazia.

Il limite (al liberismo, all'individualismo, alla denigrazione, all'anarchismo plurisprospettico) come concetto chiave per riscoprire il senso vero della democrazia, passando attraverso la formazione culturale.
📝 Post di Rosario Grillo.
🎨 Le immagini di Hans Vredeman de Vries, pittore fiammingo vissuto tra il 1526 e il 1609, sono tutte relative a studi prospettici incisi su rame e stampati su carta, la cui modernissima complessità ci ricorda, in alcuni casi, le elaborazioni matematico figurative delle opere di M. C. Escher. Le abbiamo inserite in questo post per il legame ambivalente che sussiste tra prospettiva (la quale rimanda metaforicamente a pluriprospettivismo, pluralismo, molteplicità di punti di vista) e democrazia.
 
Hans Vredeman de Vries, 
Parte di una scala a chiocciola 
in prospettiva centrale
Di recente ho gustato un’intervista a Remo Bodei sui contenuti della sua ultima fatica. Non un ponderoso volume accademico ma un agile libretto che si sofferma su una parola chiave: limiti.
Ai limiti la nostra società è indifferente, anzi direi, di essi è insofferente.
Bodei conosce la differenza tra l’uomo greco, legato al limite del Cosmo (Ordine), e l’uomo moderno proiettato ad andare oltre i limiti imposti (dall’autorità, dalla Chiesa istituzione, dalla tradizione). Conosce anche la frattura culturale tra la fine dell’Ottocento e gli inizi del Novecento, racchiusa nel concetto della “morte di Dio”, conosce il nichilismo.
Ma il nichilismo è bifronte: può portare alla “nudità” più radicale, mutante in sterile quietismo, o in un vortice di esaltato libertarismo anarcoide.
Hans Vredeman de Vries, 
Arcata in prospettiva centrale
Mutando oggetto, è d’uopo soffermarsi sul nesso liberalismo-democrazia.
Per chiarezza, comunico l’intento del mio scrivere: andare un po' più in profondità nella disamina della crisi odierna della democrazia.
L’attuale  voga del Liberismo, prendendo forma dal reaganismo-tatcherismo e rinvigorendosi della “morte del Comunismo”, celebra indefinitamente la spinta al libero arbitrio e al “laissez faire”, non preoccupandosi di essere attento (e fedele) alla coscienza del limite, che era propria del Liberismo delle origini.
Solo ristabilendo questa dialettica, si può focalizzare il nesso tra liberalismo e democrazia. E svolgere, dalla loro reciprocità, il complemento necessario, integrativo, del Liberalismo che è la Democrazia, e il supporto necessario della Democrazia che è il Liberalismo.
Hans Vredeman de Vries,
Scala in prospettiva cavaliera
Benedetto Croce, appunto per questo, volle distinguere Liberalismo da Liberismo, onde riconoscere al primo la sostanza di “religione della libertà” (non re-ligio in via autoritaria, ma sostanza spirituale).
La democrazia, tenendo conto dei molti, denuncia la riduttiva formalità legalitaria dei diritti enunciati dal Liberalismo. Essa allarga l’orizzonte  alla uguaglianza, che chiede la prova della “traduzione pratica”.
Nel frattempo, l’esplorazione del campo dei diritti ha consentito di specificare che, al di là della universalità astratta (diritti di tutti, diritti dell’uomo universale), subentra la declinazione storico concreta (e potremmo dire: per una parte politico-nazionale, e per l’altra nazionalpopolare) del diritto. È stato questo il tema agitato dal Gius-positivismo.
Bisogna prendere coscienza che nel seno di questi “aggregati storico-politico-culturali” si annidano fomenti di differenziazioni, che se non controllati, portano ad un nuovo sciovinismo.
Nella democrazia, constatiamo così, c’è il  peso determinante dei molti.
Hans Vredeman de Vries, 
Colonne e pilastri a piramide 
in prospettiva centrale
Se nella proiezione positiva questo peso conosce la virtù della “partecipazione”, della spinta dal basso, nella proiezione negativa apre la porta: alla denigrazione, alla moltiplicazione dei punti di vista, caotica ed irriducibile, alla anarchia delle proposte, mancanti di un “senso del limite”.
Michele Ainis, di recente, ha parlato della democrazia come di un “sistema a rischio”, appunto perché pericolosamente esposta ai suoi denigratori. Denigratori che prendono attualmente le fogge di internauti e frequentatori disinibiti di social, illusi di poter passare incondizionatamente la propria opinione al di fuori di un dialogo costruttivo e senza il rispetto del confronto dialettico- problematico.
Maurizio Ferraris ha rincarato la dose, portando ad osservare le ragioni più profonde delle remore platoniche sulla democrazia.
Hans Vredeman de Vries,  
Vista prospettica di oggetti
Riprendendo in considerazione il mito della caverna, si può notare che l’avversione al rientro del prigioniero, liberatosi dalle catene dell’“opinione fallace” e sopraggiunto alla conoscenza del Vero-Bene, è motivata dalla avversione di coloro che sono rimasti incatenati nella caverna. Si osservi che queste catene sono il frutto di una conoscenza che non è progredita verso il Vero, quindi hanno il loro fondamento nel mancato investimento per l’educazione, per la “crescita culturale”.
Mettiamo così il primo punto fermo: la Democrazia richiede un investimento capitale in CULTURA.
Vien data in tal modo risposta negativa alla domanda popolare, ingenua, di restringere la sovranità popolare, basamento della democrazia, per ovviare all’ignoranza della  gente comune.
Hans Vredeman de Vries, 
 Esercizi per rappresentazione prospettica di porte
Non dal restringimento quantitativo della sovranità, ma dall’aumento, convinto, dei fondi d’investimento in Formazione Culturale, può venire la corretta risposta agli sbandamenti “pulsionali” della democrazia di massa.
Si arriverebbe alla stessa conclusione, se si prendesse la strada dell’esame del ruolo ingigantito dei mass-media.
Questi ultimi, certamente, subiscono il peso dell’ingerenza delle forze economico-sociali dominanti, ma è solo dal lato dei fruitori che si può erigere la barriera regolatrice per un loro corretto uso e consumo.
Occorre mettere ben in chiaro che siamo andati al di là della fase di alfabetizzazione e che bisogna, con urgenza, programmare la rialfabetizzazione (contro l’analfabetismo di ritorno), per la digitalizzazione e  formazione informatica, per un’ampia, qualificata e continua crescita culturale.
Hans Vredeman de Vries,
Chiostro in prospettiva centrale
In verità, per questo lato, si sgrana la “miseria” degli interventi compiuti, pilotati sul lavoro forzatoo precarizzato, mentre la vera urgenza è nella formazione culturale.
Sociologi avvertiti (ma fuori delle “sale di palazzo”) hanno da tempo suggerito meno lavoro, più produttivo (perché effetto di uno status di felicità) e più tempo libero (fantasia, creatività, impegno: semi della Democrazia).
In quest’ottica la crisi in cui si è imbattuto il sistema economico dal 2008 non ha una natura congiunturale ma strutturale e dovrebbe essere l’occasione per un ripensamento totale ed organico del modello di vita e di conseguenza dei rapporti internazionali.
A questo punto c’e modo di rivisitare (e riproporre) l’orizzonte del cosmopolitismo, aggregato istituzionale correttamente e concretamente complementare della Globalizzazione.
Hans Vredeman de Vries,
Scala a chiocciola
Sfuggendo alle insidie, negative ed ingenue, del neotribalismo, del nazionalismo risorgente.
Rispolverato questo banco di lavoro, può essere dato lo sprone necessario ai partiti, rimasti invischiati negli ingranaggi anacronistici dei partiti nazionali.
Non c’e alcun dubbio sul ruolo che ancora spetta ai partiti, organi fondamentali in quella organizzazione della democrazia rappresentativa  che andiamo a confermare.
Chiusa la porta alla democrazia diretta, vanno rinforzati i corpi intermedi, tra cui un posto di primo piano spetta ai partiti. Qualcuno parla di costo della politica  per diffidare o per mettere in guardia. Al costo della politica si risponde agevolando le nuove forme di comunicazione, temperando la professionalità della politica per respingere la corruzione ed il clientelismo, rimotivando l’affezione sociale al sistema dei partiti, vissuti non più come comitati d’affari, ma come convogli di democrazia dal basso.
Hans Vredeman de Vries, 
Rappresentazione geometrica 
della prospettiva
I partiti, organismi che convertono la discussione, le preferenze, le opzioni, verso fini di crescita collettiva, ricostituiscono le cellule de dibattito civile e politico. D’altra parte, obbligatoriamente, essi si muoveranno oltre l’orizzonte nazionale, su un piano trans-nazionale, aiutando al contempo la vocazione internazionalista dei cittadini.
In ogni caso, il sottofondo di questa rinascita prende le mosse dalla consapevolezza dei limiti impliciti alla Democrazia.

Hans Vredeman de Vries,  
Centro città con mercato, municipio e fontana.

14 commenti:

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  3. Articolo interessante; grazie e buon giorno.

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  5. Molto interessante. Condivido l'analisi e la proposta di cambio del modello di società. Anche secondo me è necessario un grande investimento in cultura, non solo nella conoscenza dell'informatica.Grazie. Continuo a seguirvi con interesse.

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  6. Interessante sì. Se consideriamo ancora fondamentale il ruolo dei partiti nello sviluppo democratico della società, globalizzata, è sufficiente stimolare dall'esterno nel mare dell'opinione pubblica o non sarebbe meglio impegnarsi direttamente all'interno dei partiti?

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    1. Caro Gianni, da parte mia vorrei esprimerti una riflessione, senza pretese e senza decidere se sia meglio stimolare dall’esterno o impegnarsi all’interno del partito in cui si crede, lasciando ad ognuno la libera scelta. Mi preme piuttosto insistere su un’ovvietà: la politica non sta solo dentro il palazzo e nei partiti, ma abita nelle situazioni che quotidianamente viviamo. E’ una consapevolezza scomoda perché impone ad ognuno di noi una quota relativa di responsabilità. Il “potere” non è tutto concentrato in un’unica stanza dei bottoni, anche il comune cittadino ha possibilità di decisioni. La scheda elettorale non è l’unico strumento a disposizione: ci sono – oltre allo sdegno, l’indignazione, la denuncia – altri mezzi non meno morali come la raccolta e diffusione di informazioni, la sensibilizzazione, le proposte, l’uso dei media…. E’ qui che poi subentra il “discernimento” dell’assumersi responsabilità dentro o fuori dei partiti. Credo che oggi la democrazia continui ad aver bisogno delle grandi battaglie sui principi, ma essa vive e cresce solo se “i comuni cittadini” sono attivi, se nel quotidiano s’impegnano, ognuno come può, nei processi decisionali della politica. Oggi soprattutto c’è urgente necessità di un costante lavoro di formazione in questo senso.

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    2. Già Gian Maria mi ha preceduto nel sottolineare la priorità de l''impegno personale, corredato di spirito critico attinto da un'offerta formativa opportuna. Agire dall'interno dei partiti? Sì, certo, ma bisogna " sfondare" il muro del " cursus honorum" ch'essi sono diventati.

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    3. Grazie a entrambi per le riflessioni proposte. E'un giorno particolare questo che ha visto la scheda elettorale tornare prepotente a dettare una sua volontà, nello specifico per me amara.
      Si è verissimo che per poter far sentire la propria voce dall'interno di un partito sia necessario avere una voce ben robusta e modulata in tonalità compatibilili con un "mercato" molto competitivo. Ho prospettato un impegno all'interno dei partiti forse pensando ad altri, certamente non è nelle mie corde principali. Mi consolano le considerazioni di Gian Maria che comunque riservano a ciascuno la possibilità e la responsabilità di incidere, sempre che, umilmente, lo si voglia. Ci attende un periodo difficile, speriamo che in buoni frutti.

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    4. Caro Gianni, ci unisce l’amarezza (un’amarezza che ritengo stringa tante persone, anche del no) che, alla mia età e per la mia formazione personale, trova soccorso nella lezione (ancora una volta ) di Mounier: l’impegno non è dato dalla scelta del partito, ma dal cambiamento personale, dalla testimonianza come fedeltà permanente alla verità, dalla capacità di unire forza e generosità, mistica e politica, affrontando incomprensioni e delusioni, senza temere né l’accusa di utopia né i rischi dello scacco. E così ritrovare il senso dell’avventura umana e (per noi) cristiana.

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  7. @Rosario. Il primo passo per una possibile rinascita civile è rendersi consapevoli dei limiti (rischi, confusioni, aporie, pericoli…) che tu hai descritto, rendendo con ciò il concetto di democrazia (letteralmente = partecipazione di tutti) meno oscuro e a tutti comprensibile. E’ anche condizione per inoltrasi su altri non secondari nodi e sgombrare la strada da una serie di equivoci e falsità: la democrazia è insieme strumento e valore in sé ed i due termini non sono opposti ma vanno congiunti; la democrazia è insieme funzione descrittiva e prescrittiva e vuole entrambe; la democrazia diretta non sempre si accompagna ad una vocazione democratica e la democrazia rappresentativa è tale solo se c’è fiducia, accettazione del limite, separazione, differimento nel tempo; la democrazia è un ideale da trasformare progressivamente in possesso duraturo non senza rischi continui; la nostra attuale democrazia è più formale che sostanziale e lo sarà fino a quando non sarà risolta la dialettica tra libertà (intesa come non impedimento, libertà da per essere liberi di) e uguaglianza (intesa come equilibrio tra disuguaglianze esistenti, sistema di reciprocità e concreta compensazione tra disuguaglianze). Forse allora si può capire ed anche accettare quanto Maritain affermava: “la democrazia è per essenza evangelica” (Cristianesimo e democrazia, Mi, 1953, p.51)

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    1. Tu tocchi, Gian Maria, i nodi " nevralgici", che confermano la necessità del'impegno in prima persona, coadiuvato da partiti rigenerati. Ci siamo adagiati sugli allori, in primis i partiti, che, degenerando, hanno solo parlato di " esportazione " della democrazia. Con questo intendo dire, che il possesso della democrazia non è mai " compiuto" ed aveva ragione Renan, quando diceva che è " un referendum quotidiano ". Sono andate così a vuoto le lezioni de vari Kelsen, Maritain, Mounier....

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