Romanzo d'esordio di Maria Costanza Boldrini
Post di Rossana Rolando
“Non approfittare del dono, non speculare sull’abbondanza.
Un miracolo è tale ed è gratuito, guai a farsi pagare!”
(p. 330)
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Copertina |
Il libro d’esordio di Maria Costanza Boldrini, dal titolo Gli anni dell’abbondanza (Casa Editrice Nord, gennaio 2025), convince perché non è costruito con lo scopo di essere venduto, come accade per la produzione “artistica” asservita alle logiche del mercato, ma perché risponde alla vocazione profonda della scrittura e all’autentica volontà di saldare il debito di riconoscenza verso la propria famiglia e la terra d’origine.Per questo non indulge a mode, ma respira nell’ampio filone dei classici, dal romanzo storico al realismo magico.
E’ la saga di una famiglia, con particolare riferimento alle figure femminili, lungo il corso di diverse generazioni, dalla fine dell’Ottocento agli anni ’80 del Novecento. La microstoria, in primo piano, si staglia sullo sfondo della grande Storia, con gli eventi drammatici in cui è coinvolta l’Italia, dalla Prima alla Seconda guerra mondiale, fino agli anni del terrorismo. Come nella tradizione del grande romanzo storico, le vicende e i ricordi legati ai singoli individui si innestano sulla trama della memoria collettiva.
L’abbondanza. Il titolo richiama una tematica che si snoda in tutta la narrazione. Così si legge nel blog “Una parola al giorno” che vede come collaboratrice la stessa Boldrini:
“Significato [di abbondanza]: Essere in grande quantità; essere molto provvisto; usare con larghezza
Etimologia: voce dotta, recuperata dal latino abundāre propriamente ‘inondare, traboccare’, derivato di unda ‘onda’, con prefisso ab- ‘da, via da’.
Difficile aspettarselo: il verbo ‘abbondare’ è fratello dell’inondare e dell’esondare, tutti appartenenti alla famiglia dell’unda latina. Ma c’è poco di strano se pensiamo che la sua immagine è quasi sovrapponibile a quella del traboccare”.
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Ivan Olinsky, La moglie del militare, 1942 |
E’ con questo termine che si indica una dote particolare, una capacità che risulta straordinaria e quindi magica. Per esempio, una delle protagoniste (per me la preferita) dal nome Clarice, ha il talento del cucire e lo sa fare con una bravura e una velocità inaudite. In ciascuna delle donne – che danno il titolo ai diversi capitoli del romanzo, esteso per 381 pagine – l’abbondanza è destinata a sparire a causa di un evento luttuoso. Il dolore che attraversa il mondo e lambisce la vita di questa famiglia ha il potere di mutilare ciò che era fiorito. Solo Maddalena, la giovane donna con cui si apre il romanzo e con cui – a cerchio – si chiude, sarà destinata a conservare e coltivare la sua abbondanza, quella della scrittura: a lei – controfigura dell’autrice stessa - è affidato il compito di raccontare gli eventi, raccogliendone l’eredità. Costruire una storia, come avviene nelle pagine del libro, significa dare un ordine e quindi un senso a ciò che altrimenti rimarrebbe sepolto nel passato caotico e muto degli eventi. Anche il dolore può essere quindi generativo: l’abbondanza di Maddalena non sarà troncata dalla sofferenza – la morte di nonna Clarice - anzi troverà in essa nuova linfa creativa: “nel suo caso era la perdita stessa ad averla innestata”, consegnandole il compito di far rivivere nella parola scritta “la verità di generazioni che si stavano perdendo nella nebbia degli anni” (p. 374).
Si torna quindi al tema della scrittura. Anch’essa appartiene al registro della classicità, senza cedimenti alle tendenze del momento. Le frasi sono articolate, con molte subordinate, eppure risultano ariose, scorrevoli, limpide, pulite. Le parole sono precise, ricercate, con il gusto e il dominio sicuro della lingua letteraria e parlata. Anche lo stile – via via arricchito di parti dialogate – segue l’andamento della storia, dalla condizione di analfabetismo dei protagonisti all’acquisizione di maggiori capacità comunicative ed espressive, legate alla possibilità di frequentare la scuola e acculturarsi.
Il realismo. L’elemento magico e l’aspetto religioso s’intrecciano, come si può verosimilmente comprendere nella descrizione di un paesino delle Marche, nel passaggio tra XIX e XX secolo. Entrambi danno spessore al racconto. La realtà non è solo quella visibile e ovvia, vicina e banale, ma si carica di significati lontani, di poteri, prodigi, incanto, presagi. La durezza degli avvenimenti e la violenza che intesse la storia non vengono affatto edulcorate, ma trovano la possibilità di un trascendimento nell’infinità del tempo, di cui la scrittura possiede le chiavi (l’intreccio tra presente e passato, tra vivi e morti, nel flusso delle generazioni) e nella pluralità dello spazio (la dimensione delle relazioni tra le persone che vivono negli stessi anni). In particolare, l’abbondanza di cui sono portatrici Beata, Clarice, Antonia… non rimane un dono solipsistico, ma si fa prodigio diffusivo: un’onda che trabocca e diventa strumento di aiuto e solidarietà, (p. 46) capace di “portare un po’ d’amore nel mondo orrendo” (p.114).
Nota
Innesto una piccola riflessione provocata dalla tua delicata ed insieme profonda recensione del libro. La riflessione si accosta piano piano al già scritto per aggiungere: l’abbondanza molte volte si trova nel “ cesto povero”, mentre è più difficile che l’abbondanza dell’accumulo affannoso trabocchi in versi di solidarietà. Il traboccare dell’abbondanza ha perciò la piega del “miracolo dei pani”. Un abbraccio, Rossana!
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