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domenica 15 dicembre 2024

In assenza di maestri.

Han Kang, "L'ora di greco" e il non sapere socratico.
Post di Rossana Rolando
 
Han Kang, L'ora di greco
«Fin da quando ero bambina, ho sempre voluto conoscere. Conoscere il motivo per cui siamo nati. La ragione per cui esistono la sofferenza e l'amore. Queste domande sono state poste dalla letteratura per migliaia di anni e continuano a essere poste oggi»
- Dal discorso di Han Kang alla cerimonia di premiazione 
del Premio Nobel per la Letteratura.
 
παθεῖν/μαθεῖν
Soffrire e apprendere: due verbi quasi identici, non un semplice gioco di parole. 
Trovo questo accostamento nell’intenso libro, dal titolo L’ora di greco, di Han Kang, vincitrice del premio Nobel 2024. Un legame – quello tra soffrire e capire – tutt’altro che ovvio, anche se gode di un’antica tradizione, a partire dal mondo antico, in particolare dalla tragedia di Eschilo.
L’autrice coreana si riferisce ad un presunto passo platonico, in cui fa dire a Socrate che παθεῖν/μαθεῖν sono due atti simili di reciproca implicanza. E spiega, poco dopo, la prossimità dei termini, notando come, per Socrate, apprendere significhi letteralmente soffrire. In particolare, l’identificazione viene ad attuarsi dopo il noto responso dell’oracolo di Delfi, che ha definito Socrate il più sapiente tra gli uomini, perché sa di non sapere. A partire da lì, viene dato inizio alla seconda parte della vita socratica, paragonabile ad una nave in mezzo alle onde, sballottata qua e là.
Ji Seok Cheol, Non esistenza, 2009 (dalla prima di copertina di "L'ora di greco")
Da quel momento, infatti, egli è descritto come un mendicante all’ingresso del mercato, un attaccabrighe che importuna chi incontra e ripete a tutti di non sapere: “Non so nulla di nulla, qualunque maestro andrà bene, ma vi prego insegnatemi cos’è la saggezza”. Il resto dei suoi giorni Socrate lo trascorre ad apprendere senza un maestro, “un tempo della sofferenza di cui tutti oggi conosciamo la conclusione”.
L’interpretazione del παθεῖν/μαθεῖν che Han Kang suggerisce è molto originale, degna della grande letteratura filosofica. L’accento è posto sul non sapere e sull’assenza di maestri. 
 
Nella tradizione filosofica, il non sapere è l’atteggiamento ironico del filosofo, necessario al fine di liberare coloro che presumono erroneamente di conoscere dalle posizioni mentali assunte in modo acritico. Socrate – figlio di una levatrice - aiuta l’interlocutore a generare il suo autentico punto di vista su una determinata tematica, solitamente riguardante la sfera dei valori: la giustizia, il coraggio, la santità… Un percorso faticoso - paragonabile alle doglie del parto - di abbandono delle false certezze, degli stereotipi, e di acquisizione del proprio autentico pensiero. Socrate è il modello del maestro che non pretende di riempire l’allievo di certezze precostituite, ma tira fuori la verità sepolta nell’interiorità, stimolando un processo autonomo di autoeducazione.
 
Ji Seok Cheol, Non esistenza, 2009 (dalla prima di copertina di "L'ora di greco")
Ne L’ora di greco, invece, la sofferenza è quella dello stesso Socrate, nel momento in cui scopre che tutta la sua sapienza sta nel non sapere. Inizia un cammino di dis-orientamento, come quello di “una nave in mezzo alle onde”, alla ricerca di un maestro, qualunque egli sia.
Socrate invoca la saggezza e non trova nessuno che possa insegnargliela. Non c’è autorità intellettuale e morale che lo liberi dal non sapere. Questa è la fonte della sua maggiore sofferenza.
I due protagonisti del libro di Hans Kang, vivono la stessa esperienza del non sapere socratico così tragicamente inteso: soffrono l’una di afasia – la donna che vuole imparare il greco antico – l’altro di cecità – il professore che lo insegna. Sarebbe un grave fraintendimento ridurre queste limitazioni a disabilità di tipo fisico. Si tratta, infatti, di descrizioni metafisiche relative alla condizione esistenziale dell’uomo: entrambe – afasia e cecità – sono potenti metafore del non sapere: non avere la parola, non poter vedere, senza differenza tra docente e discente, accomunati dallo stesso spaesamento. Non a caso il libro si apre con la citazione di Borges: c’è una lama potente e affilata (la cecità) che si frappone tra il poeta e il mondo.
In particolare, in questa reinterpretazione di Socrate, mi pare si adombri la condizione dell’uomo contemporaneo, nella sua perdita di ogni orientamento. E’ questo il “tempo della sofferenza di cui tutti oggi conosciamo la conclusione”, quella dell’essere sballottati qua e là, senza una guida che orienti il cammino.
L’invocazione di Socrate, mendicante di saggezza, è forse la preghiera inespressa - muta - dell’umanità di oggi, incapace di vedere e riconoscere maestri.
 
Nota
1. Han Kang, L'ora di greco, Adelphi, Milano 2023, pp. 77-79.

2 commenti:

  1. Cara Rossana, leggo il motivo contenuto nel tuo post attraverso le parole odierne del Vangelo. Le continue domande a Giovanni Battista ricevono una chiara risposta: rispettare i propri compiti…Oggi la confusione delle lingue e la proliferazione dei finti maestri crea molta ignoranza, quella veramente pericolosa perché “ non sa di esserlo”. Un abbraccio da Rosario 🤗💫

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  2. Grazie, Rosario. Sì, ho trovato sorprendente l'interpretazione di Han Kang, relativamente all'ignoranza socratica, come condizione universale di spaesamento, e interessante per l'applicazione che può trovare nell'oggi, in una stagione che stenta a riconoscere maestri. D'altra parte, e ancor prima, come tu dici, è necessario riconoscere il proprio non sapere, per poter iniziare un percorso di ricerca.
    Quanto ha bisogno di filosofia socratica questo nostro tempo...
    Un caro saluto, Rossana.

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