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martedì 18 settembre 2018

L'espulsione dell'Altro.

Una riflessione critica sulla comunicazione nell'epoca di internet e sul rapporto autentico con l'Altro.
Post di Gian Maria Zavattaro 
Immagini dell'illustratore Gianni De Conno (1957-2017), per gentile autorizzazione dei curatori della pagina facebook (qui il sito). 

Gianni De Conno, 
Emergency, Bianco e Nero
“La rumorosa società della stanchezza è sorda. La società a venire potrebbe invece chiamarsi una società dell’ascolto e dell’attenzione. Oggi è necessaria una rivoluzione del tempo che dia inizio  a un nuovo tipo di  tempo completamente diverso. Si tratta di scoprire  di nuovo il tempo dell’Altro.  L’attuale crisi del tempo non riguarda l’accelerazione, bensì la totalizzazione del tempo del Sé. Il tempo dell’Altro si sottrae alla logica di incremento della prestazione e dell’efficienza, che genera una spinta all’accelerazione. La politica neoliberistica del tempo elimina il tempo dell’Altro, considerato un tempo improduttivo […] elimina anche il tempo della festa, il tempo della celebrazione, che sfugge alla logica della produzione. Il tempo festivo riguarda infatti l’improduttività. All’opposto del tempo del Sé che ci rende soli e isola, il tempo dell’Altro istituisce una comunità. Questo tempo, perciò, è un buon tempo” (Byun-Chul Han, L’espulsione dell’Altro, ed. Nottetempo, Roma, 2017, p. 100).

Seleziono alcune riflessioni contenute nel libro sopra citato di Han, stringenti e provocanti sia nella disperante pars destruens sia nella sperante pars construens. Solo in parte ritengo condivisibile il suo pessimismo nei riguardi della rete digitale di cui mette in luce limiti, patologie, aberrazioni. La mia impressione, anche sulla base del vissuto esperienziale mio e di tanti amici, è che la sua critica si rivolga non tanto alla substantia della rete, quanto all’ambivalenza presente in ogni fenomeno umano.
Gianni De Conno, 
Frammenti
Gli abissi di alienazione digitale impietosamente rilevati da Han rappresentano innegabilmente una realtà largamente diffusa. Ma sono altrettanto innegabili  la consapevolezza, la volontà e l’impegno di tantissimi  fruitori di umanizzare la rete proprio negli aspetti che Han critica pesantemente: il like, la disfatta della relazione con l’altro in quanto altro, il non pensare e non esperire, la scomparsa della voce dello sguardo dell’ascolto… Il like ad es. non è solo compiacente autoreferenzialità e rifiuto del conflitto, può essere I Care digitale, metacomunicazione che riconosce l’altro in quanto altro e sa valorizzarlo empaticamente (“forza” “sono con te” “resisti” “va avanti” “non sei solo/a”…). Altrettanto si può dire dell’amicizia, del pensare, dell’ascolto dell’Altro, ecc. La critica di Han vale soprattutto come monito ad interrogarci continuamente, a vigilare per non lasciarci sopraffare nel quotidiano dalla dipendenza digitale dell’autoreferenzialità, rivendicando e praticando la nostra libertà di pensare, discutere, ascoltare, accogliere ed entrare in relazione empatica con gli altri. Il mondo digitale e quello fisico-reale non sono mondi paralleli, li abitiamo entrambi in un continuo interscambio che caratterizza il nostro tempo rispetto a tutto il passato. Solo ponendo attenzione ai pericoli che Han individua e dando ascolto alle condizioni che precisa, potremo sperare in un futuro, reale e digitale, più umano e liberante. Lasciamo dunque parlare Han…
Gianni De Conno, 
Scenario del futuro
🌟Il terrore dell’Uguale. Il tempo in cui c’era l’Altro è passato” (1). Se incontrare l’Altro significa secondo Lévinas “essere tenuti svegli da un enigma”, questa esperienza dell’Altro come enigma e mistero è oggi per noi svanita. L’Altro è diventato  un’altra faccia del mio “io”, un Identico, un Uguale. La proliferazione dell’Uguale è il male del nostro tempo che investe ogni ambito vitale della società dominata dai rapporti neoliberistici di produzione, iperconsumo, ipercomunicazione digitale: “ci si ingozza fino  allo stordimento”. Uguale significa massa indifferenziata dove “tutti hanno lo stesso volto e parlano la stessa voce” ma “paradossalmente ognuno vuole essere diverso dagli altri” (2), pretendendo di essere autentico (3), mentre in realtà non fa che prolungare l’Uguale. Non ci sono difese immunitarie da questa violenza invisibile che rende tutto comparabile interscambiabile, cioè uguale: “uno svuotamento di senso, perché il senso è qualcosa di incomparabile”(4).     
🌟L’eliminazione di ogni negatività è un altro aspetto caratteristico del nostro tempo: l’eliminazione di “qualcosa che mi si rivolge contro, che mi si getta contro, mi si oppone, mi contraddice, mi contrasta e oppone resistenza”(5). La comunicazione ammette solo “altri uguali o simili”, diventa scambio di compiacenti cortesie, come il mi-piace (6). Eppure è proprio la negatività a nutrire la vita dello spirito. Dove è promossa solo la positività dell’Uguale, la vita s’impoverisce, esperienza e conoscenza sono sostituite dalla mera informazione (7), alle relazioni personali subentrano le connessioni telematiche e nuove patologie come angoscia e autodistruttività. Nel contempo si fa di tutto per bandire la negatività della tristezza, del conflitto, della morte (8).
Gianni De Conno, 
La distanza dalla luna
🌟L’onnipervasiva rete digitale, dichiara Han, rende difficile l’incontro con gli altri, serve piuttosto a trovare l’Uguale e chi la pensa come noi, ad accumulare amici  e follower senza mai incontrarli davvero, lasciando da parte i diversi e gli altri, rendendo sempre più angusto il nostro orizzonte. “L’assenza di distanza prende il posto della vicinanza e della lontananza: si perde così il valore costitutivo del rapporto con l’Altro, ovvero la distanza (11). Così viene distrutto l’essere di fronte dell’Altro: sia il tu, “che custodisce la vicinanza della lontananza”, sia le relazioni sostituite dalle connessioni, sia le immagini che non ci stanno più di fronte con una loro vita propria e la loro propria forza capace di far versare lacrime, irritare, incantare, sorprendere, esaltare, sedurre. Gli stessi oggetti, divenuti in ogni momento disponibili, non hanno più un proprio tempo ed una vita propria, non sono più obicere, gettare contro, tenere davanti o gettare davanti”. Perdere chi o ciò che ci sta di fronte (l’essere-di-fronte) significa perdere l’incontro con il totalmente Altro, che si manifesta come sguardo e come voce (12).“Windows è una finestra priva di sguardo”.
🌟La voce e il linguaggio. Le connessioni in rete si stabiliscono senza sguardo e senza voce, ben diverse dagli incontri e dalle relazioni che hanno bisogno del Tu, di voce, di sguardi corporali. La voce viene da altrove, da fuori, dall’Altro, rappresenta un’istanza superiore, una trascendenza, risuona dall’alto, dal totalmente Altro. In essa è insita un’esteriorità interiore, la voce dell’imperativo morale, della coscienza, della ragione, la voce celeste (15). 
Gianni De Conno, 
Poesie alla luna
Al linguaggio della voce appartengono in modo essenziale gli spazi di silenzio e solitudine dove solo è possibile dire cose che meritano davvero di essere dette. Arte, poesia e filosofia hanno il compito di aprirci all’attenzione degli altri, scoprire il tempo dell’Altro, restituendogli la sua sconcertante stupefacente alterità (16). L’Altro non è solo ogni uomo, ma ogni cosa che la poesia invoca e incontra nella sua alterità, entrando  in un rapporto dialogico in cui tutto appare come un Tu.
🌟L'ascolto. Stiamo sempre più perdendo la capacità di offrire ascolto agli altri, alle loro parole, al loro dolore. Ognuno è in un modo o nell’altro solo con il proprio dolore ed angosce. Si fa  finta di non vedere la dimensione sociale della sofferenza. Perciò il tempo dell’ascolto è particolare: tempo dell’Altro, che si dedica agli altri, che riconcilia, guarisce, redime (17). L’ascolto non è passivo, ma una particolare attività: innanzitutto è il benvenuto all’Altro nella sua alterità; poi è offerta, dono, aiuto a prendere la parola. Anzi il silenzio dell’ascolto invita l’Altro a esprimersi liberamente nella sua alterità ancor prima che parli: è ospitale, terapeutico, incoraggiamento non giudicante, pazienza (“prima massima dell’ascolto”!).
Gianni De Conno, 
Poesie alla luna
L’ascolto ha una dimensione politica: è attiva partecipazione all’esistenza  e sofferenze altrui,  apre la strada alla riconciliazione in cui il lontano e il diverso restano tali ma in un’accorata vicinanza (18) protesa verso una comunità di pace ed ospitalità, oggi resa impossibile dall’onnipresente autoreferenzialità, terrorismo e nazionalismo compresi(19).   
Pace ed ospitalità non sono fantasie utopiche (20), sono la più alta espressione della ragione. L’ospitalità con la sua gentilezza riconosce l’Altro nella sua alterità, gli dà il benvenuto, è “promessa di riconciliazione” e da un punto di vista estetico si manifesta come bellezza. La politica della bellezza è la politica dell’ospitalità. Invece l’ostilità verso lo straniero è “brutta e odiosa”, segno  che la società non si trova in una condizione conciliata: si può misurare il grado di civiltà della società proprio sulla base della  sua capacità di essere ospitale e della sua gentilezza. Conciliazione significa gentilezza. Gentilezza significa libertà  (21).
Han esorta a riconsiderare la vita come ascolto dell’Altro, a dargli priorità etica con il linguaggio dell’ospitalità e della gentilezza, perché “il tempo dell’Altro istituisce una comunità. Questo tempo è perciò un buon tempo”.


🌟Note.
Gianni De Conno, 
Premio Bancarella 2011
(1)  o.c. p.7.  Non c’è in Han una visione elegiaca del’Altro (il non-io, ciò che è estraneo e diverso) che può avere risvolti anche inquietanti: non è solo il “volto” (Lévinas!)  che mi provoca a pensare, a riflettere, ad amare, a riconoscere la sua irriducibile diversità; è anche colui che mi “nega”, mi induce al conflitto, mi mette in difficoltà, mi  introduce al dolore, all’angoscia, all’odio, all’inferno.
(2) o.c.pp.16 e 17 in cui Han non teme di far uso di dure espressioni quali marionette teleguidate” e “cloni”.
(3) Oggi si parla molto di autenticità nella veste di emancipazione: essere autentici significa essere liberi da modelli di espressione e di comportamento precostituiti e stabiliti  dall’esterno. Obbligo di somigliare definirsi solo  a se stessi di essere gli artefici di  se stessi. L’imperativo dell’autenticità promuove un obbligo verso se stessi, a consultare di continuo  auscultarsi scrutarsi assediare se stessi_ intensifica in tal modo l’egocentrismo narcisistico. In definitiva l’autenticità è la forma di produzione neoliberistica del Sé, perché rende ognuno produttore di se stesso e fattore di incremento delle vendite.30 Lo sforzo di essere autentici, di somigliare soltanto a se stessi, provoca un continuo paragone con gli altri, così l’autenticità dell’essere diverso consolida la conformità sociale poiché ammette solo le differenze conformi al sistema, la diversità come risorsa che può essere sfruttata dal sistema neoliberistico, perciò si oppone alla alterità la quale si sottrae ad ogni valorizzazione economica. 31 Ognuno vuole essere diverso dagli altri e ciò non fa che prolungare l’Uguale: una conformità all’ennesima potenza, l’essere-uguale si afferma attraverso l’essere-diverso. L’autenticità impone la conformità in modo anche più efficace della normalizzazione repressiva. Gli individui esprimono la loro autenticità attraverso il consumo, sono sequestrati dal profitto. L’autenticità genera una coazione narcisistica, per nulla identica al sano amor proprio che non ha nulla di patologico dal momento che non esclude l’amore per l’altro. Il narcisista è cieco di fronte all’altro e percepisce il mondo solo nelle sfumature di se stesso 31.
(4) o.c.p.8. I consumatori vengono “rimpinzati come bestie da consumo con il sempre nuovo Uguale”, offrendo di continuo ciò che corrisponde  al loro gusto, che piace…
(5) o.c. p.54
(6) Paradossalmente Han definisce il like  prosecuzione dell’Uguale”,“parola d’ordine della negatività dell’estraneo”, “grado zero della percezione”, “l’opposto dell’obicere” cfr. o.c. pp. 13 -10 – 50 -55 -57
(7) Non c’è esperienza perché, richiamando Heidegger, essa significa  che “quel qualcosa per noi accade, ci incontra, ci sopraggiunge, ci sconvolge e trasforma”. Non c’è sapere, perché l’accumulo di big data è semplicemente il presente, non comprende e non conosce nulla, non sa perché sia così, rende superflua la domanda circa il perché delle cose e perciò superfluo il pensiero. Il sapere invece è un lungo processo di formazione del pensiero che ha accesso al totalmente Altro e ha il potere di interrompere l’Uguale.  
(8) La morte è  ridotta al silenzio, non parla più, le viene sottratta ogni parola, non è più un “modo di essere” ma solo la fine della vita che occorre differire con ogni mezzo. Semplicemente è la fine della produzione, unica forma di vita. Invece l’angoscia oggi diffusa non è più riconducibile all’hegeliana o heideggeriana abissabilità dell’essere (il pensiero “ama” l’abisso), è invece la quotidiana  “angoscia di non farcela, angoscia di fallire, angoscia di diventare dipendenti, angoscia di commettere un errore o di prendere una decisione sbagliata, angoscia di non riuscire a soddisfare le proprie esigenze” (cfr. pp.44-46). Nel sistema neoliberista  “l’angoscia aumenta la produttività” e s’ingrandisce con il continuo paragonarsi agli altri. Colpita da interdizione è l’espressione di sentimenti negativi come  la tristezza.35   Il diffondersi è una conseguenza del perduto rapporto con il conflitto. L’attuale cultura della prestazione non ammette la gestione del conflitto perché richiede molto tempo, solo due condizioni o funzionare o rinunciare. Ma i conflitti non sono distruttivi hanno un lato positivo perché solo da essi nascono relazioni e identità stabili. La persona cresce e matura nella gestione del conflitto.
(11) “ ‘Due bocconi di silenzio’ possono contenere più vicinanza e più linguaggio dell’ipercomunicazione: il silenzio è linguaggio, il frastuono della comunicazione no”: o.c. p.50.
(12) cfr. o.c. pp. 57-58
(13) o.c. p.64. Senza la presenza dell’Altro, del prossimo, la cultura digitale si trasforma per Han in uno scambio accelerato di informazioni privo di interlocutore personale, di voce e di sguardo: su Twitter per es. inviamo continuamente messaggi, ma questi non sono  indirizzati a una persona concreta, non si riferiscono  a nessuno, si incontra solo se stessi o i propri simili.
Gianni De Conno, 
Io sono un abitante della Terra
(14) Insomma si resta sempre uguali  Inoltre nel “panopticon” digitale gli abitanti non si sentono guardati, non sentono cioè di essere sorvegliati, si sentono liberi, si mettono a nudo spontaneamente e così il panopticon non limita la libertà, la sfrutta,
(15) cfr. pp.75,71,72
(16) Il tempo dell’Altro è l’evento dialogico dove si invoca l’Altro come Tu pur in una “distanza originaria” non senza rischi, perché bisogna essere disposti a esporsi all’alterità : cfr. pp. 78-90
(17) cfr. pp.97-99
(18) cfr. p.25
(19) Secondo Han anche il terrorismo è generato dal terrore del Globale, così come il risveglio del nazionalismo, la nuova destra. L’ingiustizia sociale, generata od acutizzata sul piano globale ma anche all’interno del prospero Occidente dal neoliberismo e l’angoscia di fronte al proprio futuro si rovesciano in ostilità nei confronti dello straniero. L’insicurezza sociale, insieme alla mancanza di speranza e di prospettiva, costituisce il terreno fertile per le forze terroristiche: “il terrorista islamico e il nazionalista razzista non sono in realtà nemici, bensì affratellati dal fatto di condividere la stessa genealogia” (p.22).  All’interno dell’ordine globale oggi dominante ci sono propriamente soltanto Uguali diversi o Diversi uguali, dove non si risvegliano fantasie per gli altri: “neanche gli immigrati e i profughi sono realmente altri, stranieri in presenza dei quali si percepirebbe una reale minaccia, un’angoscia reale. Questa angoscia esiste solo nell’immaginario. Immigrati e rifugiati vengono percepiti piuttosto come un peso” (P.23).   
(20) “L’idea kantiana della pace perpetua, fondata sulla ragione, raggiunge il suo culmine con la rivendicazione di un’ospitalità incondizionata” (P.27).
(21) cfr. pp.28-29.

10 commenti:

  1. Complimenti a chi ha scritto l'articolo!
    Il tempo ha sempre un significato ed un senso diverso per ogni essere umano. Il tempo per molti è diventato "egoismo"...Purtroppo!!!!

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    1. Gent.le Vania, in fondo Han ci rammenta che ad ognuno di noi tocca conquistare il significato del tempo, anzi in qualche modo vincere il tempo non perdendo tempo, “indugiando” cioè prendendo tempo per l’essenziale, dando tempo all’altro.

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  2. Ho letto con attenzione. Posso dire che metto 'ascolto' e 'curiosità' quando leggo post e link? ..proprio nel 'silenzio' _ospitale_ della mia solitudine 'digitale'.. Talora, spesso, il movente è la curiosità dello 'altro/Altro' (a) a cercare incontri nelle connessioni. È pur sempre uno sguardo e il corpo c'è, è presente, immagina, sente _come un radar sensibile nello spazio senza confini...

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  3. Il problema? Le condizioni di lavoro, di vita-, iil poter o non poter essere 'tempo' a/per se stessi, la 'comunità'..valori e cultura, orizzonti. Mah!

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    1. Ascolto, silenzio ospitale, solitudine - anch’io ne sono convinto - possono conoscere e sentire lo sguardo e la corporeità anche nelle connessioni digitali. E s’accompagna sempre in questo virtuale pellegrinare la ricerca inquieta del tempo “buono”, degli orizzonti definiti dalla comunità, da valori condivisi, dalla cultura grazie alla quale “la diversità, l’inestricabile alterità che divide l’uomo dall’uomo, si fa superabile, anzi viene sublimata nella prodigiosa realtà di un vivere e di un pensiero comuni e solidali” .

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  4. Creare le condizioni del “buon tempo”. Sorrido sotto i baffi, pensando che oggi parliamo sempre di tempo ....per informarci del tempo che farà domani ( “ sai ho programmato una gita”). Diciamo buon tempo e pensiamo, commiserandoli, ai buontemponi.
    Invece il “ buon tempo” è uno stato di grazia.
    Lo spessore del problema commentato da Gian Maria, con competenza e maestria, giostrando perché non si rimanga atterriti e basiti, affinché si trovino le risorse per reagire... ed innanzitutto il “vento della Speranza”, la bussola del futuro.
    La rete, come ricorda il mio amico, ha immense potenzialità: molte negative, tante positive.
    La negatività si concepisce in chiave dialettica, laddove serve a superare la parzialità, l’unilateralità, nel nostro discorso : la taccagneria solipsista ( pensare a se’, pensare per se’ , pensare di se’ ) ed introduce all’intero , alla relazione.
    La relazione, che non è ripetizione, è incontro con l’Altro, è inclusione del Diverso.
    Si è fuori così dalla serialita’ dell’omologazione, dell’Uguale e si è acquistata l’armatura per difendersi dal Consumismo.
    Attenzione particolare va rivolta ai giovani, che sono nati dentro l’epoca digitale e rischiano di non avere gli anticorpi ( i clamorosi casi di morte per sfida del rischio mortale lo confermano, al di là della crisi adolescenziale ) e per loro occorre una educazione all’uso della rete.
    Grazie per questo bellissimo post Gian Maria e Rossana!

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    1. Caro Rosario, sono curioso di vedere quanto prima i tuoi baffi… Sento molto anch’io il problema dei giovani e il “rischio mortale” di inconsapevoli autodistruttive alienazioni, che solo “il vento della speranza” (che dovrebbe spirare dal cuore della paideia, dalla scuola emblema della spes) può spazzare via. Contra spem in spem credidimus.

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  5. Il mondo non è mai stato un buon posto per viverci e il mito dell'età dell'oro in qualche modo lo conferma: forse solo nel tempo della massima fragilità, senza fuoco strumenti, cibo per animali più grossi, siamo stati veri. Poi siamo diventati il nostro maggior problema, non possiamo fare il "bene" senza ambiguità e il "male" di solito ci vien meglio. Ora che siamo potentissimici troviamo alle prese con problemi sottili che nascondono in drappi di velluto l'ineluttabilità della morte, del desiderio di comprenderla, della incapicità di essere felici, soli e/o con gli altri.
    Giusto che la filosofia, singoli individui, analizzino i problemi che nel presente ci allontanano dalla nostra umanità, dalle minacce che i nostri egoismi o le nostre velleità minano le nostre potenzialità. I social sono una grande minaccia, un brodo che ciascuno di noi naviga, ma il navigare è comunque periglioso dovunque lo si debba affrontare: non basterebbe giammai abbandonare il web per affrontare spavaldi una panchina in una piazzetta di quartiere dove seppur con voce fisicità sguardo rischi di dire niente. Senza una pluralità di Sè, almeno di Io non troppo egoico, non c'è possibilità di Tu.
    Per me il web è la possibilità migliore di comunicare, forse per questioni di logistica, ma non ne sono molto convinto.
    Comunque, occhio alle critiche di Byun-Chul Han perchè sono fondate e io non mi sento escluso.
    (Reputo una fortuna, una piacevolissima fortuna, avervi incontrato sulla strada. (sempre pellegrini siamo!)

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    1. Caro Gianni, reciproca è la fortuna del nostro incontrarci: sempre pellegrini – hai perfettamente ragione! – sempre liberi, in un navigare “comunque periglioso”, ma senza più restare uguali a prima ogni volta che ci si incrocia. Un caro saluto da Rossana e da me.

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  6. Grazie del post, interessante riflessione e libro da leggere!

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