Iconografia di Rossana Rolando
l’amaro
del partire
lo
sapevamo anche noi
e
una lingua da disimparare
e un’altra da imparare in fretta…
e un’altra da imparare in fretta…
lo
sapevamo anche noi…
e
l’onta di un rifiuto
lo
sapevamo anche noi
questo
guardare muto…”
(Gianmaria
Testa, Ritals)
Tre volte la
settimana da mesi incontro alcuni amici rifugiati, ospiti della Caritas,
cui cerco di insegnare (verbo forse pretenzioso) un po’ di italiano, con molto
realismo da entrambe le parti.
Tre volte la
settimana ritrovo e riscopro il gusto dello sguardo limpido e lucido.
Nel primo
incontro ci siamo soppesati con gli occhi. E’ così che abbiamo esaurito la
prima comunicazione, scoprendo che era possibile accoglierci ed
accettarci reciprocamente. Poi, solo dopo, sono intervenuti a conferma i
gesti e qualche stentata parola.
Ed ogni volta prima di tutto con lo sguardo
giudichiamo i nostri progressi, esprimiamo le nostre perplessità, ci
incoraggiamo, sorridiamo, ridiamo dei nostri reciproci sbagli, ci ospitiamo e procediamo avanti. Dopo vengono i
gesti, le parole, di volta in volta un po’ meno approssimate, e soprattutto
l’ascolto, faticoso e problematico, ma essenziale, fondamentale.
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Arianna Papini, Riconoscersi (particolare) |
Lo sguardo
limpido: quello che, senza nulla nascondere, si apre all’altro, lo prende su di sé, letteralmente com-muove, ossia con lui si muove
per creare com-unità nelle (e delle) differenze.
Lo sguardo lucido: quello del rispetto, del garbo empatico che
consente di vedere di più e meglio, perché è proprio la mancanza di
rispetto che non fa vedere ed oscura gran parte di ciò che si offre a noi.