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venerdì 16 dicembre 2016

Ha ancora un senso l'utopia?

L'interrogativo sul senso dell'utopia nel tempo presente si innesta su un percorso che considera il tema dell'utopia nella sua parabola ascendente e discendente, dato l'inesorabile sgretolarsi di ogni ideale utopico a livello teorico e soprattutto storico, con i terribili orrori novecenteschi.
🖊 Post di Rosario Grillo
🎨 Tutte le immagini riproducono opere di Honoré Daumier (1808-1879), caricaturista e pittore che esprime, attraverso la maschera della deformazione satirica, il proprio impegno sociale di corrosiva ed efficace denuncia dell'esistente.

Honoré Daumier, 
I nottambuli
Pascal focalizzò lo “spasmo” capitale dell’uomo “canna pensante”: la scissione tra il finito e l’infinito.
La determinazione al “topos” si può pensare come cifra della sua “linea fenomenica”, della sua fisicità. Nella sfera della sua “natura pensante” si trova, invece, la dimensione infinita o “metafisica”.
Al di là del “Cristianesimo tragico”, che Pascal enuncia, caratterizzato dal “Deus absconditus”, vibrante di un’interrogazione continua sulla radice della umana condizione, si proietta una ricerca instancabile del topos ideale, di un eu-topos (luogo del bene o buon luogo) e da esso, di un ou-topos (di un non-luogo equivalente a luogo ideale).
Pascal partecipava così al processo culturale che prendeva abbrivio dall’Umanesimo italiano e si sviluppava nel seno della filosofia moderna. Laddove, attraverso le sollecitazioni di Tommaso Moro, Etienne de la Boetie, Tommaso Campanella, Francesco Bacone, il tema dell’utopia avrà un ruolo paradigmatico.
Diffusissima la venatura utopica fino al punto di rappresentare il tema per antonomasia di quella stagione culturale. Dalla religione alla filosofia, alla scienza, l’istanza della “riforma o renovatio” fa tutt’uno con il concetto di utopia.
[Qui condivido l’interpretazione di Massimo Cacciari, che combatte la riduzione a “metodo” assegnata da molti all’utopia e suggerisce la sua centralità e pregnanza].
Honoré Daumier, 
Nadar (pioniere nel campo 
della fotografia) 
in mongolfiera
Dall’utopia discende, dunque, la tensione progettuale del pensiero moderno nelle tappe della “pace filosofica e religiosa”, come in quella della rivoluzione scientifica e del tema del progresso, portato avanti dall’Illuminismo.
C’è modo così di constatare la relazione che si stringe tra la razionalità e il futuro.
Voglio aggiungere, per confermare l’incipit, che il topos andava prendendo la configurazione, ora di Eldorado, ora del “buon selvaggio”, sull’onda della conquista dei mari, delle terre, dei popoli... delle colonie.
È sempre il futuro a muovere l’interesse culturale dell’uomo moderno, reincarnazione di Prometeo o novello Ulisse, proteso a varcare le colonne d’Ercole.
Celebre l’immagine dantesca che  ritrae Ulisse nell’atto di trascinare i suoi compagni alla  scoperta dell’ignoto: “fatti non foste a viver come bruti ma per seguire virtute e conoscenza” (Inferno, c. XXVI), figura nobile dell’umana progressione conoscitiva.
Ma ad opporsi ad essa, più che le remore di natura religiosa, fu il richiamo alla “verità effettuale” in un crescendo che da Machiavelli porta ai positivisti e a quello “strano spirito” che fu F. Nietzsche.
Honoré Daumier, 
La caduta di Icaro
Saltano, a causa di diversi e variegati assalti: le “umane e progressive sorti”, la fiducia nel progresso, il disegno evolutivo della storia, il pacifico impiego della ragione per la conquista della felicità terrena.
Ad evitare errori, bisogna rispettare le loro diverse personalità e assegnare in esclusiva a Nietzsche il “martello” di demolitore del “sogno” della storia lineare “soporifera” (“saturazione” egli scrive).
Da lì, l’”incurvatura” che portò precipitosamente agli “orrori”: più che all’amicizia all’odio, alla aggressione imperialista, allo “struggle of life”, ai “genocidi”.
Eppure, per non andare troppo lontano, Tommaso Moro ed Erasmo da Rotterdam avevano modellato utopisticamente una società “pacificata”, salvata dalla fenomenologia della prima selvaggia privatizzazione.
L’infelice esito di questa parabola culturale ha dunque messo in crisi radicale l’idea di utopia?
Si è imbastito, dopo un intervallo di composizione degli equilibri e di ricostruzione dell’ordine mondiale, un sistema culturale “onnicomprensivo” (strutturato, cioè, sul piano politico, economico-sociale, e culturale), incentrato sul dominio della ragione pragmatica e funzionale, a sostegno dell’alfiere dell’individualismo”. 
Honoré Daumier, 
Sancho Panza e don Chisciotte
Si è dato corso (o “ricorso”) al liberismo (neoliberismo), cavalcato da forze del Capitalismo, fino al parto di un Capitalismo  Finanziario.
Al suo interno una severa logica: bando alle emozioni, via i sentimenti, seguire l’onda del successo personale, cercare il più alto rendimento con il minor dispendio di energie.
È l’universo della circolazione frenetica dei fondi d’investimento, fuori di ogni saggia applicazione produttiva, industriale (il post-industriale), dentro un vortice di puntate borsistiche “più veloci della luce” (quasi).
La velocità e l’immateriale sono il nuovo registro della società.
Di una società, che  in molti descrivono “liquida”, priva di addentellati, delle “membra interne”: opposta alla società “superorganica” descritta dai positivisti.
La dottrina circolante è quella della “funzionalità razionale”, della legittimità di una “accumulazione della ricchezza” concentrata in un esiguo numero di persone, dalle quali (si pensa) dovrà discendere il benessere generale.
Honoré Daumier, 
Don Chisciotte
Si giustifica così l’ingiustizia, si nega l’eguaglianza, si minaccia la Democrazia.
L’utopia è di sicuro bandita!
Ritorno con insistenza a domandarmi: è ancora possibile l’utopia?
La risposta affermativa fa leva fondamentalmente sulla categoria di “possibilità”.
Mentre per Kierkegaard, e quindi per molti esistenzialisti, la possibilità aveva un ruolo paralizzante. Per Ricoeur e per Bloch, fatta salva la loro distinzione, assume un ruolo ambivalente: negativo, se riferito alla nostra appartenenza al finito, al reale, positivo, se proiettato sull’orizzonte dell’infinito, del NON ANCORA.
In questo contesto svolge un lavoro di destabilizzazione della fenomenicità, fisico-materiale come socio-culturale, pensata sotto l’etichetta di “ideologia” (frenante, e assorbita nel vuoto conformismo), ed insieme di spinta ideale verso l’aldilà (SPERANZA/UTOPIA), di un cammino ininterrotto di conoscenza e spiritualità.
Mi si conceda la licenza di ridurre all’estremo una polifonia di commenti, che contiene “uno stesso rumore di fondo”.
Honoré Daumier, 
Pigmalione
Per concedere qualcosa in più, richiamo la metafora usata da Zygmunt Bauman, che attribuisce agli utopisti odierni la natura di “Giardinieri”, ben diversi dai “Guardacaccia” della filosofia moderna (tutori), e dai “Cacciatori” di oggi, individualisti e sfruttatori per antonomasia.
«Sono i giardinieri i più appassionati ed esperti fabbricanti di utopie. È all’immagine dell’armonia ideale del giardiniere, concepita inizialmente come modello della sua mente, che approda di continuo il giardino, un prototipo di come l’umanità tenderebbe ad approdare sempre nel paese chiamato utopia» (Modus vivendi, p.113 ).

Honoré Daumier, 
L'arrivo della cometa

4 commenti:

  1. Credo che tutti dovremmo accogliere l’invito di Rosario a riscoprire il significato profondo di “utopia”. Il suo destino è legato a ciò che siamo, nella misura in cui amiamo le parole “forti” , quelle che ci costringono a scegliere ed a decidere. Così descriveva Platone i caratteri paradigmatici dell’utopia: “…uno stato che esiste solo a parole, perché non credo che esista in nessun luogo della terra. Non ha alcuna importanza che questo esista oggi o in futuro in qualche luogo, perché l’uomo di cui parliamo svolgerà la sua attività politica solo in questo e in nessun altro “. Dunque - commentava Tilgher – “irreale sì, ma un irreale che nasce dalla realtà per il fatto stesso di negarla e ritorna alla realtà perché è forza che trasforma la realtà”. Mi pare che “l’uomo di cui parliamo” sia proprio il “giardiniere, l’uomo che approda di continuo”: della protesta e della proposta, della denuncia ed annuncio, della promessa di una verità nuova anticipata e pregustata in fantasia e nel pensare alternativo. L’uomo che sa bene che l’utopia è un pensiero nomade -sempre incompiuto ed inconclusivo verso una terra promessa mai posseduta -, senza cui non c’è speranza nel futuro, anzi non c’è futuro, non c’è giovinezza ma morte spirituale.

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  2. Il commento, come sempre lucido e appassionato, di Gian Maria rispecchia la sua competenza e chiosa meravigliosamente il mio contributo

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  3. Paola Brenna Campanelli16 dicembre 2016 alle ore 14:32

    Grazie...

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  4. Rossana Rolando e Gian Maria Zavattaro17 dicembre 2016 alle ore 12:58

    Grazie a lei per l'attenzione. Buona domenica.

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