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martedì 24 agosto 2021

Errore, fallibilità, errare.

La formazione passa attraverso la piena coscienza della fallibilità. Le molteplici vie dell'errare.

 Post di Rossana Rolando.

Monica Barengo, Errore, per Edizioni Motus
Queste riflessioni prendono avvio dal discorso tenuto presso l’Università Normale di Pisa, da parte di tre giovani neolaureate, al momento della consegna dei diplomi (video in fondo al post). Il contenuto espresso ha richiamato molti commenti positivi e qualche critica.¹ Per parte mia vorrei soffermarmi sulle parole conclusive: “la retorica dell’eccellenza è incompatibile con l’incompletezza e la fallibilità di ognuno”.
Ecco, il tema dell’errore, della fallibilità di cui le tre studentesse hanno acquisito piena consapevolezza, mi pare centrale. Non solo come antidoto all’arrivismo, alla competizione esasperata che ammorba la nostra scuola, anche fuori dalle sedi universitarie - per esempio nei percorsi liceali, nelle attese dei genitori sui propri figli, nella corsa degli istituti scolastici ad emergere con le valutazioni più alte - ma soprattutto come via di una reale umanizzazione che non resti semplicemente intrappolata nelle maschere vuote dell’apparenza.
 
Monica Barengo, Scuola porta del futuro, per Edizioni Motus
💥 La formazione passa attraverso la piena coscienza della fallibilità, prima di tutto vissuta da chi insegna. Nel suo scritto “L’ora di lezione” e nella prolusione “Elogio del fallimento” Massimo Recalcati richiama la situazione in cui l’insegnate cade nell’errore e considera la sua possibile reazione: in un caso aggressiva e vendicativa, nei confronti degli alunni che eventualmente lo irridano o, con una certa petulanza, lo correggano; nell’altro caso autenticamente formativa, volta a trarre dal suo stesso impaccio un messaggio per la vita di ciascuno. Naturalmente l’errore di cui parla non è quello che deriva dall’ignavia o dall’impreparazione, ma è invece l’inceppamento dovuto a una fugace disattenzione, a un’improvvisa dimenticanza, a un’imprevedibile difficoltà…. sempre possibili. Può essere il semplice sbaglio – una data non corretta, un’informazione inesatta, una confusione momentanea… - ma può essere più profondamente l’inciampo sulla questione del senso: nell’esempio di Recalcati tratto dallo spettacolo I giocatori di Pau Mirò il professore sbaglia la soluzione di un problema non perché la ignora, ma perché in realtà è turbato dalla morte del padre, ormai in fin di vita, incespica sulla morte del padre, sul senso del morire.
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Monica Barengo, Disordine, per Edizioni Motus
💥 La differenza tra errore - relativo al semplice vero/falso - e la più vasta fallibilità, che riguarda il senso, viene spiegata in modo illuminante da Gilles Deleuze, nel suo Differenza e ripetizione: “Come sanno bene i professori, è raro trovare nei “compiti” (salvo in quegli esercizi in cui bisogna tradurre proposizione per proposizione, oppure produrre un risultato fisso) errori o qualcosa di falso. Frequenti sono invece i non sensi, le osservazioni prive di interesse o di importanza, le banalità assunte come rilevanti, le confusioni di punti “ordinari” con punti singolari, i problemi mal posti o deviati dal loro senso. Questa del resto è la nostra sorte comune, la peggiore e la più frequente, eppure gravida di minacce. Quando i matematici polemizzano fra loro, è improbabile che l’uno rimproveri all’altro di essersi sbagliato nei risultati o nei calcoli, si rimproverano piuttosto di aver presentato un teorema insignificante, un problema privo di senso”.
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Il bravo insegnante – direbbe Recalcati - conosce l’uno – il semplice errore - e l’altro – il problema del senso che è “condizione del vero” - e trova il modo per trasmetterne il significato, facendone l’oggetto di una lezione esplicita o implicita.
 
Monica Barengo, Alunni, per Edizioni Motus
💥 Sicuramente dagli errori si impara, nel momento in cui se ne acquisisce consapevolezza (v. video in fondo al post), perciò si può parlare di una pedagogia dell’errore che si realizza nel processo di autocorrezione e autovalutazione. Ma più sottilmente la sensatezza o l’insensatezza che stanno al di qua dell’errore, attestano la fallibilità e l’incompletezza strutturale del conoscere. L’errore e il più vasto fallire, all’interno dell’esperienza umana, rendono consapevoli del limite dato dall’impossibilità di possedere tutto il sapere e, ancor prima, di avere la chiave per accedere alla verità di tutto il sapere.
 
💥 Vi è poi un significato ulteriore dell’errore, assunto nella sua radice etimologica che rimanda non solo all’atto di chi sbaglia, ma anche alla dimensione dell’errare, del vagare qua e là, del deviare. Lo accenno brevemente, assumendone il valore positivo.
Errare può indicare la scelta di una via alternativa, di un proprio stile originale, di un modo di pensare autonomo, non omologato, non ripetitivo (di nuovo Deleuze distingue tra ripetizione pura e semplice e differenza nella ripetizione). Non a caso Tomaso Montanari, nel suo libro Eretici, ha inserito figure straordinarie di personalità pensanti, “devianti” rispetto alla “ortodossia”: da Socrate ad Hannah Arendt, da Piero Calamandrei a Giorgio La Pira, da don Lorenzo Milani a Malala Yousafzai…
Monica Barengo, Arcobaleno, per Edizioni Motus
Infine, ancora, errare, nel senso del vagare, può voler dire perdere tempo in ciò che è ritenuto comunemente inutile, rispetto alla logica del profitto e del risultato: per esempio leggere una poesia, ammirare uno spettacolo naturale, ascoltare un brano musicale…
 
💥 Note.
1. Cfr. qui e qui.
2. Cfr. Massimo Recalcati, L'ora di lezione, Einaudi, Torino 2014, pp. 124-128 (L'inciampo dell'insegnante). Per Elogio del fallimento si può ascoltare qui.
3. Gilles Deleuze, Differenza e ripetizione, Raffaello Cortina Editore, Milano 2015, p. 199.
4. Ibidem, p. 199.
5. Tomaso Montanari, Eretici, PaperFIRST, Roma 2020.

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4 commenti:

  1. Il tocco della docente “ a pieno titolo” e “ sempre vigile” crea la trama del tuo bel post ( sollecitante ed arguto). [E qui voglio reagire a coloro che identificano il docente come “ colui/lei che sta sempre in cattedra ]. Ogni vero docente sta tra la folla, in mezzo alla gente, assieme ai giovani, convivialmente. Assunto questo, siamo nel regno del sapere che si allontana dalla saccenteria, che convive con il limite, che trae insegnamento dall’errore, che si diverte ( curiosità) ad “ errare “ ( vagare ). [ Noi, del ramo, restiamo solo attenti a non di-vagare]. Gran bel post, Rossana 🌹🍀

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  2. Grazie di cuore, Rosario! E' un tema che sento molto: insegnare oggi richiede più che mai un'autorevolezza conquistata sul campo, giorno per giorno (come si sa, è venuto meno ogni prestigio sociale derivante dal ruolo)e quindi l'autenticità della tensione verso il sapere - che comprende anche la possibilità dell'errore e della fallibilità - è uno degli elementi fondanti della relazione docente-discente. Cito ancora Recalcati ne "L'ora di lezione": "Il bravo insegnante è colui che sa proteggere il vuoto, il non-tutto, l'inciampo come condizione per la ricerca. Non ha né paura né vergogna del suo non sapere, della sua ignoranza (che Cusano avrebbe definito "dotta"), perché sa che i limiti del sapere sono ciò che anima la spinta alla conoscenza".
    Come dici tu: il contrario della saccenteria e della presunzione di sapere. E' l'imperitura lezione socratica.
    Ciao, un grande abbraccio!

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  3. Grazie, cara Rossana, per aver dato spazio - ampliandole ed arricchendole con ulteriori considerazioni - alle riflessioni pubbliche delle tre coraggiose neolaureate. Mi viene in mente un vecchio testo di un pedagogista (Paolo Perticari: 'Attesi imprevisti') che sottolineava la possibile valenza pedagogica dell'errore nel processo di apprendimento. Grazie. Un abbraccio.
    P.s. Grazie anche per la citazione di Recalcati riportata nel tuo commento.

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    1. Maria cara, so bene che tu hai dedicato il tuo appassionato impegno nella scuola agli alunni "difficili". Cito un tuo bellissimo post del 26 gennaio 2011 in cui cominci dicendo: "L’anno dopo, mi fu affidato un altro quartetto di alunni da salvare." Ecco il link, dal tuo sito: Mari da solcare
      Un forte abbraccio.

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