Iscriviti ai Feed Aggiungimi su Facebook Seguimi su Twitter Aggiungimi su Google+ Seguici tramite mail

Iscriviti alla nostra newsletter!

sabato 2 aprile 2022

“Signore, disarmali. E disarmaci”!

Pensare - oggi - la pace.
Post di Gian Maria Zavattaro
Immagini del "Regno della pace" di Edward Hicks (pittore americano, 1780-1849), in diverse versioni. 

Edward Hicks, Regno della pace
-
La pace non è assenza di guerra, è una virtù, uno stato d’animo, una disposizione alla benevolenza, alla fiducia, alla giustizia” (B. Spinoza, Trattato teologico - politico, Einaudi, 2007).
- La pace è il più grande bene umano, perché è la somma di tutti i beni messianici. Come la pace è sintesi e simbolo di tutti i beni, così la guerra è sintesi e simbolo di tutti i mali. Non si può mai volere la guerra per se stessa, perché è sistematica violazione di sostanziali diritti umani.” (Card. Martini, omelia in S. Ambrogio a Milano del 6.12.01, estratto La Repubblica del 7.12.01).
- “Per superare l’idolo dell’odio e della violenza è molto importante imparare a guardare al dolore dell’altro. La memoria delle sofferenze accumulate in tanti anni alimenta l’odio quando essa è memoria soltanto di se stessi, quando è riferita esclusivamente al sé, al proprio gruppo, alla propria giusta causa. Se ciascun popolo guarderà solo al proprio dolore, allora prevarrà sempre la ragione del risentimento, della rappresaglia, della vendetta. Ma se la memoria del dolore sarà anche memoria della sofferenza dell’altro, dell’estraneo e persino del nemico, allora essa può rappresentare l’inizio di un processo di comprensione. Dare voce al dolore altrui è premessa di ogni futura politica di pace.” (Card. Martini, “Ogni popolo guardi il dolore dell’altro e la pace sarà vicina” dall’articolo del Corriere della sera 27.08.2003).

Non ho nessuna chiave di lettura da proporre, nessuna dichiarazione  pro o contro. Semplicemente manifesto l'incondizionata disponibilità a tessere insieme con chiunque “legami di pace”; a potenziare insieme le “fabbriche della pace” in opposizione ad ogni fabbrica di guerra; ad invitare all’ascolto di tutti senza pregiudizi, comprese le parti belligeranti; ad imparare a cogliere la distanza siderea tra ritenere di avere delle ragioni e avere ragione; a parlare e parlarsi senza nascondere la propria identità; a continuare a convivere nel rispetto dell'altro, accanto a noi con la sua diversa cultura, lingua, esperienza di fede. E soprattutto condividere gioie e dolori degli altri “per capire che cosa fa gioire e soffrire l'altro, che cosa spera, che cosa desidera, perché così si può conoscere realmente concretamente l’ "altro" e insieme “prendere apertamente le parti contro l'odio e la violenza, riconoscere la differenza di ognuno, ma anche le affinità, pur con significati diversi”.  

Edward Hicks, Regno della pace
Noi, cittadini senza alcun potere, in questo momento abbiamo solo la forza della parola e dell’ascolto. Soprattutto la necessità di un linguaggio pulito, chiaro, non inquinato, oltre i sofismi degli intelligentoni, oltre la grandine di falsità, oltre il gioco disonesto delle ambiguità semantiche e delle ipocrisie concettuali di pace e di guerra, parole chiave che rischiano di essere solo suoni o rumori o peggio strumenti piegati per servire mortiferi interessi noti ed ignoti. 
Pace? Il deserto dei cimiteri (ricordate Tacito!)? Il silenzio delle città distrutte dalle bombe  e le fosse comuni? Eppure in tutte le lingue, al di là dei molteplici significati, c’è un’esperienza comune, un comun denominatore molto vicino allo SHALOM ebraico: integrità santità buon ordine stato di compiutezza e di perfezione. Un concetto positivo, riempito di qualcosa: non assenza ma presenza!
Guerra? Difensiva, aggressiva,totale, globale, preventiva, legittima? Giusta? Quando mai?
Spinoza afferma che “la pace non è assenza di guerra”: mi pare voglia farci capire che non basta dire ciò che la pace non è, ma ciò che è o deve essere. E’ certamente assenza di guerra: essere per la pace significa essere contro la guerra, non accettarla come fatalità, rifiutare tutte le guerre soprattutto oggi, quando le modalità distruttive sono talmente imponderabili che non c’è nessuno in grado di controllarle e di impedire che l’umanità precipiti nella “pace” dei cimiteri. Spinoza sapeva bene che la parola pace (Shalom) è concetto  positivo, riempito dalla presenza di uno stato d’animo virtuoso. Riguarda non solo i popoli ed i loro governanti, ma ognuno di noi, come ci avverte la Pacem in terris”: “A tutti gli uomini di buona volontà spetta un compito immenso: il compito di ricomporre i rapporti della convivenza nella verità, nella giustizia, nell’amore, nella libertà: i rapporti della convivenza tra i singoli esseri umani; fra i cittadini e le rispettive comunità politiche; fra le stesse comunità politiche; fra individui, famiglie, corpi intermedi e comunità politiche da una parte e dall’altra la comunità mondiale”.
Edward Hicks, Il Regno della pace
La pace non c’entra niente con i parolai dei salotti virtuali. Non ci interessano né il pacifismo della paura, dell’astensione e della propria tranquillità disturbata, né i salotti virtuali 
su chi ha torto e chi ha ragione, spettacoli di alterchi sprezzanti di chi non è in guerra ma fomenta litigiose incomprensioni, il livore uccide il dialogo ed ognuno fa il suo gioco.
Rivendico piuttosto il dovere silente di essere operatore di pace!
Ogni giorno siamo invasi dalla mortale tragedia di un mare di persone. Che cosa possiamo fare in concreto noi, cittadini inermi, oltre che non stare zitti e gridare la nostra rivolta morale, per fermare una spirale che non si sa dove finirà?
Scriveva Paul Ricoeur: “Dentro lo spessore del male introdurre la follia della compassione. Ho la responsabilità di far diminuire il male con la giustizia e la poetica dell'agape”. Scriveva Aziz Fuad: Faccio ogni giorno quello che posso perché l'assurdità della guerra scompaia dalla vita di ogni uomo”.
Quante volte ci siamo detti che la pace dipende anche da ognuno di noi, dalla nostra quotidiana relazione con noi stessi prima di tutto e con gli altri, dalla nostra capacità di accoglierci ed ospitarci reciprocamente! E’ vero, terribilmente vero, ma non basta a mutare a ciò che succede ora in Ucraina e in tante altre parti del mondo. 
L’invocazione “Signore, disarmaci e disarmali!”(1) è preghiera e  insieme grido che si fa voce delle vittime, appello urgente a chi può “fermare immediatamente l’inumana tragedia”. Penso alle incessabili suppliche invocazioni gesti di papa Francesco! Anche a noi compete il precipuo  dovere della preghiera, che interpella la nostra coscienza di cristiani. Anche noi dobbiamo dare voce al dolore altrui, premessa di ogni futura politica di pace, non cedere all'assuefazione-rassegnazione fatalistica o a fugaci effimere reazioni emotive, non  cadere nelle trappole della guerra-spettacolo, delle informazioni manipolate e del verminaio di contrastanti interessi noti ed ignoti.  
Edward Hicks, Regno della pace
Rimane indubbiamente difficile decifrare in modo certo e non ideologico la storia complicata di odio e violenze secolari delle presenti vicende belliche (2).
Rimane l’urgenza di rischiarare,  in primis a me stesso, il dibattito “bellicisti-pacifisti”. Meditare e rimeditare, nel mio caso,  lapidarie considerazioni, nelle quali mi riconosco, di Emmanuel Mounier, che già nel 1939 poneva in discussione la guerra "giusta" e che insieme ammoniva che "una pace apparente è un male spirituale equivalente al male della guerra" (3).
Concludo con un interrogativo: la scuola? Ha il dovere della parola, contro la ridondanza frastornante e la presunzione di tanti saccenti e nuovi sofisti, contro lo smarrimento prodotto dai media, contro la guerra come puro spettacolo. Ha il dovere di educare alla pace: far comprendere che la giustizia è il vero fondamento della pace, che non è solo assenza di guerra, ma profonda esperienza spirituale e rispetto dei diritti-doveri; suscitare una corale coscienza internazionale; promuovere consapevolezza che la guerra non è l'unica trasgressione del diritto alla vita, lo sono pure povertà ingiustizia disuguaglianze; coinvolgere i giovani, al di là della retorica e delle tautologie, ad essere ognuno qui adesso costruttore di pace. E continuare a proclamare la nostra presenza a quanti soffrono le guerre: “Voi tutti  che nel mondo soffrite per la guerra non siete abbandonati: noi con voi vogliamo la pace e insieme costruirla”. 
Edward Hicks, Regno della pace
Ma le parole da sole non liberano. Ci vuole l’esempio, la testimonianza, la com-passione che si fa azione. Non si educa alla pace se non la si pratica e la si vive ogni giorno  in un contesto dove docenti e studenti respirano l'I Care della pace che trasformano insieme in  esperienza di pace. Pensate a cosa possono fare, uniti,  nelle scuole docenti studenti genitori non docenti, dove si vive l’ospitalità reciproca, l’indifferenza è bandita, ci si impegna sul versante dei diritti umani, si pratica il dono del volontariato, alla luce non solo dell’art. 11 della Costituzione, ma di tutti i primi dodici articoli. Altrimenti ci prendiamo in giro: non si può educare alla pace se non si è credibili, se non la si pratica e la si vive in contesti dove non ci si considera nemici. Se io studente sperimento con il mio insegnante la relazione di pace, farò altrettanto con gli altri, sarò spronato a volere e vivere anch’io una cultura di pace. Pensate a cosa può fare una scuola che promuove concerti, mostre artistiche, scambi con scuole italiane e di altre nazioni, pratiche di solidarietà sul territorio o nell’ambito mondiale, che difende i diritti umani e l’ambiente, che sollecita la riflessione su tematiche di grande attualità e di ampio respiro, che pratica  l’accoglienza di chi è in difficoltà o fugge dalle guerre, dalla fame, dall'orrore! Scuola che ogni giorno vive la cultura di pace e la trasforma in esperienza di pace. Ed insieme tutti contribuiscono alla costruzione del futuro, insieme tessono “legami di pace”, si curano dell’altro, s’incontrano senza sospetti, si riconoscono come persone, sognano insieme. Ognuno di noi assuma le proprie responsabilità. Solo allora potremo anche noi intonare con il card. Martini  la
 
  PREGHIERA PER L'EUROPA
   Padre dell'umanità, Signore della storia,
guarda questo continente europeo 
al quale tu hai inviato tanti filosofi, legislatori e saggi, 
precursori della fede nel tuo Figlio morto e risorto.

Guarda questi popoli evangelizzati da Pietro e Paolo,
dai profeti, dai monaci, dai santi;
guarda queste regioni bagnate dal sangue dei martiri
e toccate dalla voce dei Riformatori.

Guarda i popoli uniti da tanti legami
ma anche divisi, nel tempo, dall'odio e dalla guerra.
Donaci di lavorare per una Europa dello Spirito
fondata non soltanto sugli accordi economici,
ma anche sui valori umani ed eterni.

Una Europa capace di riconciliazioni etniche ed ecumeniche,
pronta ad accogliere lo straniero, rispettosa di ogni dignità.
Donaci di assumere con fiducia il nostro dovere
di suscitare e promuovere un' intesa tra i popoli
che assicuri per tutti i continenti,
la giustizia e il pane, la libertà e la pace.

(P. Carlo Maria Martini)

Note. 

Edward Hicks, Regno della pace
(
1) Preghiera diffusa dai vescovi francesi nel novembre 2015, scritta nello spirito di Tibhirine da frère Dominique Motte, domenicano del Convento di Lille. Riporto parte del testo:“Disarmali Signore: e fa che sorgano in mezzo a loro profeti che gridano la loro indignazione e la loro vergogna nel vedere come hanno sfigurato l’immagine dell’Uomo, l’immagine di Dio”. “Disarmali, Signore dandoci, se necessario, poiché è necessario, di adottare tutti i mezzi utili per proteggere gli innocenti con determinazione. Ma senza odio. Disarma anche noi, Signore[…] senza ovviamente giustificare il circolo vizioso della vendetta […]. Dacci, Signore, la capacità di ascoltare profeti guidati dal tuo Spirito. Non farci cadere nella disperazione, anche se siamo confusi dall’ampiezza del male in questo mondo”. “Disarmaci e fa' in modo che non ci irrigidiamo dietro porte chiuse, memorie sorde e cieche, dietro privilegi che non vogliamo condividere. Disarmaci, a immagine del tuo Figlio adorato la cui sola logica è la sola veramente all’altezza degli avvenimenti che ci colpiscono: ‘Non prendono la mia vita. Sono io che la dono’ ”.
 
2. Non è solo questione di guardarsi dalle false notizie o di tenersi lontani dagli spettacoli dei salotti virtuali. È molto di più, è questione di essere liberi, di essere persone  che pensano, problema di "cultura" quale la intendono le persone che sanno bene che “chi conosce tutte le risposte, non si è fatto tutte le domande” (Confucio): "cultura" che può impedire agli uomini di accanirsi l’uno contro l’altro perché coltiva il dubbio, perché seleziona i dati da fonti affidabili non inficiate da pregiudizi, conosce ed approfondisce la geografia e la storia come  come bussole di orientamento per capire meglio il mondo e i suoi abitanti e mettere in prospettiva quello che succede.
3.cfr. I cristiani e la pace, Ecumenica ed., Bari, 1978. Mounier pubblica “Les crètiens devant le problème de la paix” nel 1939, all’indomani del malaccorto imprevidente patto di Monaco. La guerra, sempre un flagello, è oggi un cataclisma sproporzionato a qualunque possibile causa ed una catastrofe spirituale totale. “È inconcepibile che il cristiano possa oggi scherzare con leggerezza sull’eventualità di un conflitto che sarebbe la confessione dello scacco della cristianità occidentale. Sarebbe intollerabile che vi pensasse come a un rimedio estremo, che l’accettasse come una fatalità, mentre la guerra non è che uno scasso, un muro di disperazione. Una nuova guerra consacrerebbe le dimissioni di questa cristianità”(cfr. pp.75-76). "La possibilità di una guerra giusta secondo la definizione scolastica è dunque sempre più contestabile" (p.73).
La guerra è abbandono dell'"ordine interiore e della giustizia visibile", abdicazione dalla "virtù cristiana della fortezza", negazione della virtù della "carità": è "dimissione". Ma per Mounier  "la guerra non è la sola dimissione possibile". Lo è anche “acquistare la pace a prezzo di un accrescimento di bassezza, di un nuovo regresso dello spirito cristiano dinanzi alle forze anti-cristiane. Il cristiano non ha il diritto di fare questa scelta. Anche davanti alla catastrofe della guerra? Sì, anche davanti ad essa” (pp.75-77). “La pace apparente, a certe condizioni, è un male spirituale equivalente al male della guerra” (p.18).
“In una situazione fatale in cui sembra che non si abbia altra scelta che la guerra ad ogni costo, anche a costo della salvezza della propria nazione, occorre esplicare tesori di energia e di ingegnosità politica per cambiare la situazione, come i grandi caratteri possono sempre fare, al fine di salvare con ogni impegno e la pace e l’onore, e cercare di non mettersi più in tali conseguenze estreme” (76-77). “In un mondo dove alcuni vogliono la guerra o alcuni non escludono di ricorrervi, il rifiutarsi a qualsiasi azione potendo correrne il rischio, significa rifiutarsi a qualsiasi resistenza, poiché tale rischio si trova ovunque, salvo che nell’avvilimento o nel suicidio deliberato. Si deve correre questo rischio mentre si deve fare uno sforzo tanto più eroico per scongiurarlo. Dio deciderà il risultato. Sarebbe vano dissimulare l’aspetto tragico di queste opzioni in un mondo in cui ogni opinione sembra carica di disperazione e di peccato. Ma, ridotto in vicoli ciechi così tenebrosi, il cristiano non può ripiegare su di una falsa pace, fatta di tradimento e di compromesso, egli passa all’assalto” (77). 
Quale futuro? Quali strategie? Nel nostro piccolo dobbiamo rispondere. Non ci si salva da soli né spiritualmente né socialmente. Conoscere il dato storico e piegarlo al massimo del servizio cristiano. Lottiamo come disperati contro la guerra che viene, non accordiamole neppure un briciolo di complicità. Ma non arriveremo ad esorcizzarla se non come si scongiura una malattia, presentandole un’anima sana in un corpo sano. Contro “il bellicismo” questo riduttore: l’assoluto della Carità cristiana; contro la forma di “pacifismo” che serve le imprese della violenza: la vocazione terrena del cristiano, l’umiltà che è il senso della terra, una pazienza con la storia che è la stessa inesauribile pazienza di Dio” (77-78).

4 commenti:

  1. Nella mia giornata agitata e preoccupata hai portato il sereno.
    In un periodo, nel quale ha tentennato la mia calma riflessiva ( diceva il buon Dante : “ che la diritta via era smarrita…” ) hai saputo portare coraggio incitamento e buoni propositi.
    Che’ essi nascono sempre sotto la stella del buon Dio, provvidente, e prendono la forma della formazione morale, che è tutt’uno con la scuola autentica ( non smarrita dietro tecnicismi e obbiettivi di competenza).
    Volesse Iddio che le tue parole sovrastassero lo strombazzare dei talk e della informazione inclinata a rinfocolare l’odio e la paura.
    Un immenso abbraccio per ringraziarti del dono.🫂☮️

    RispondiElimina
  2. Grazie, caro amico! Non ho altre parole nel ricambiare il dono del tuo abbraccio.

    RispondiElimina
  3. Grazie di queste riflessioni così accorate. MI permetto di aggiungere che, nella babele odierna, quasi nessuno ipotizza una reazione organizzata nonviolenta a fianco degli oppressi: si continua invece a dare per scontata la modalità bellica come risoluzione dei conflitti, col rischio che alla fine prevalga il più feroce e il più armato...
    Saluti cordiali.

    RispondiElimina
  4. Mi permetto, gentile Maria, di ringrziarla anch'io. Penso alla voce inascoltata di papa Francesco, quasi voce nel deserto. La auguriamo una Pasqua piena di fede, speranza, amore.

    RispondiElimina