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venerdì 30 giugno 2023

Cormac McCarthy, La strada. Inseguire la verticalità.

Ne La strada, McCarthy presenta la sua concezione “filosofica”.
 Post di Rossana Rolando.
 
Copertina della versione inglese, The road
Confesso che, prima di essere raggiunta dalla notizia della sua morte, il 13 giugno di quest’anno, non avevo mai letto nulla di Cormac McCarthy. Incuriosita dalle parole di chi ne aveva già da lungo tempo frequentato le pagine, ho deciso di avvicinarmi a questo gigante della letteratura americana. Volutamente ho rimandato ad un secondo momento la lettura del suo ultimo Il passeggero, parte di un dittico di cui si attende in autunno la traduzione italiana del secondo volume (Stella maris). Ho voluto invece cominciare da La strada, il libro che risale al 2006 e che è considerato fondamentale nella sua produzione, per taluni il suo capolavoro.¹
E’ un racconto potente nell’ideazione e nel linguaggio. Se dovessi individuare un’espressione che ne riassuma l’essenza, sceglierei quella che ho incontrato alla pagina 12, laddove si dice che si tratta sempre di “inseguire la verticalità”, descrivendo così un movimento che penetra nel fondo della vicenda umana e di tutto ciò che riguarda la vita del cosmo, per trovare la “matrice”, intorno alla quale tutto gira. Per questo mi pare adatto scomodare il termine “metafisica”, usato da alcuni per indicare il tipo di approccio alla realtà, messo in atto dall’autore: andare alle strutture fondanti di tutto ciò che è.
Provo a spiegare questa mia affermazione.
 
Dal film del 2009, tratto dal libro La strada, regia di John Hillcoat
💥 La storia raccontata è tutta raccolta in pochi tratti: c’è stato un evento catastrofico, non se ne conosce la natura, è già avvenuto ed ha incenerito ogni cosa: piante, animali, case, strumenti, oggetti. Sono rimasti solo detriti, rifiuti della terra com’era prima. Tutto è avvolto in una oscurità fuligginosa. Alcuni umani sono scampati alla calamità e sono, in genere, affamati, infreddoliti, incattiviti, divorati dall’istinto di conservazione, capaci di tutto – furto, violenza, uccisione, cannibalismo – pur di sopravvivere.
In questo sfondo apocalittico si stagliano due figure e sono un padre e un bambino. Non hanno nome, quindi, al di là della loro ristretta individualità, rappresentano la relazione simbolica della paternità, vera protagonista della storia.
Anch’essi fuggono verso sud, lungo la strada che conduce al mare, nella speranza di trovare un riparo, un luogo ancora abitabile. Sono laceri, stanchi, derelitti e procedono con un carrello del supermercato in cui mettono le poche cose che riescono a reperire lungo il loro cammino. Il padre ha una pistola per difendere il bambino dai cattivi. E’ questo legame di protezione e cura verso il figlio che lo tiene in vita e gli fa vincere la tentazione di farla finita, come ha fatto invece la madre.
 
Dal film del 2009, tratto dal libro La strada, regia di John Hillcoat
💥 Ne La strada, McCarthy presenta la sua concezione “filosofica” dell’esistenza, ben al di là della dimensione descrittiva. Apocalisse (ἀποκάλυψις) vuol dire rivelazione, manifestazione del nascosto. Quindi lo scenario scelto dall’autore non indica solo un’ipotetica fine del mondo, ma anche il mondo nella sua profondità, come si disvela agli occhi di chi sa penetrare oltre la parvenza della superficie: “Vide l’assoluta verità del mondo. Il moto gelido e spietato della terra senza testamento. L’oscurità implacabile… Il vuoto nero e schiacciante dell’universo”². Il mondo è tenebra. Il male lo attanaglia e lo attraversa. La verticalità dello sguardo penetra in questo abisso.
Padre e figlio, in particolare il figlio, sono esponenti di una minoranza che resiste, un piccolo resto ancora capace di bontà: “Siamo ancora noi i buoni?, disse./ Sì. Siamo ancora noi i buoni./ E lo saremo sempre./ Sì. Lo saremo sempre./ Ok./”³. Chi sono i buoni? “sono quelli che continuano a provarci. Non si arrendono mai”. Sono coloro che custodiscono la gratitudine, cultori della bontà che salva dalla perdizione. Sono luce e fuoco.
 
Edizione italiana de La strada
💥 La dialettica tenebra luce è ricorrente nella trama della narrazione. Essa ricorda il prologo giovanneo, cui è necessario rifarsi, per comprendere a fondo il messaggio racchiuso nel testo (Gv.1, 1-18). La personificazione della luce, spogliata del suo carattere confessionale, legato alla figura storica di Gesù, è il principio ispiratore che sta alla base della trama.
Il bambino che tiene il padre legato alla vita, che è il senso per cui val la pena vivere, è portatore della luce, è il verbo, come si legge a pagina 4: “Sapeva solo che il bambino era la sua garanzia. Disse: Se non è lui il verbo di Dio allora Dio non ha mai parlato”. La metafora della luce – cifra di un mondo contrassegnato dall’amore, divino – viene così spesso associata al bambino: “Gli accarezzò i capelli chiari e aggrovigliati. Calice d’oro, buono per ospitare un dio”, “radioso come un tabernacolo”, “quando si mosse, la luce si mosse con lui”.
In quest’ottica va compresa anche la simbologia del fuoco, introdotta in vari punti. Nel loro andare, sempre all’erta per la paura, con la morte continuamente di fronte¹⁰, padre e figlio sono spinti dalla convinzione di essere portatori del fuoco che, in greco, coincide ancora una volta con il logos, il verbo. Dice il figlio al padre: “Ce la caveremo, vero, papà?/ Sì, ce la caveremo./ E non ci succederà niente di male./ Esatto./ Perché noi portiamo il fuoco./ Sì. Perché noi portiamo il fuoco”¹¹.
 
💥Note.
1. Cormac McCarthy, La strada, Einaudi, Torino 2023.
2. Ibidem, p. 100.
3. Ibidem, p. 60. Cfr. anche p. 99.
4. Ibidem, p. 105.
5. Cfr. Ibidem, pp. 111-112.
6. Cfr. Ibidem, p. 213.
7. Ibidem, p. 58. Cfr. anche p. 131.
8. Ibidem, p. 208; p. 211.
9. Cfr. Ibidem, p. 115.
10. Cfr. Ibidem, p. 128.
11. Ibidem, p. 64. Cfr. anche p.212.

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5 commenti:

  1. Benvenuto! Anch’io debbo confessare la mia ignoranza. Non ho letto fin qui nessun libro di C.Macarthy ( la saggistica occupa quasi l’intero spazio). Cara Rossana hai estrapolato il nocciolo della narrazione e reso in bella evidenza “la verticale “ del tema , che poi è l’esistenza, ben assimilato nel “ filone dell’ esistenzialismo”. Mi suscita ancor più interesse alla domanda che mi pongo: come mai la letteratura americana si confronta così tanto con “ l’orizzonte della fine”?🌹🫂

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  2. Grazie Rosario. Sì, sono stata attratta soprattutto dalla verticalità, dalla valenza filosofica dell'approccio di McCarthy. Direi che proprio questo spessore del pensiero ne fa un grande autore, ben al di là delle mode passeggere. Un caro abbraccio, Rossana.

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  3. Neppure io ho letto "La strada" e francamente certi libri, come certi film di argomento apocalittico, mi inquietano un po'. Quanto hai scritto però mi invita a leggere il libro proprio per i punti che ne hai messo in luce: l'inseguire la verticalità, la dialettica luce-tenebra e il rapporto tra padre e figlio con tutta la simbologia che ne deriva.
    Grazie di cuore, Rossana, e un abbraccio!

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  4. Nella direzione che tu sottolinei, è indicativa la frase che McCarthy pone al termine del suo "La strada": "Nelle forre dove vivevano ogni cosa era più antica dell'uomo, e vibrava di mistero". La parola mistero, a suggello di tutto il libro, è rivelativa di un certo modo di stare al mondo.
    Un abbraccio grande, Rossana.

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  5. Ho ascoltato una valutazione che condivido, sulla scorta della lettura de "La strada": McCarthy non è uno scrittore apocalittico. Per lui c'è il fuoco, c'è una luce nelle tenebre. Piuttosto egi ha attraversato l'apocalisse.

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