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sabato 30 novembre 2024

Avvento, tempo del senso della vita

Post di Gian Maria Zavattaro
 
Andrea Previtali, Annunciazione, 1508
“…Ma tu Dio tu hai scelto di farti attendere il tempo di tutto un Avvento. Perché tu hai fatto dell'attesa lo spazio della conversione, il faccia a faccia con ciò che è nascosto, l'usura che non si usura. L'attesa, soltanto l'attesa, l'attesa dell'attesa, l'intimità con l'attesa che è in noi, perché solo l'attesa desta l'attenzione e solo l'attenzione è capace di amare” (preghiera di Jean Debruyrnne (1925-2006) sacerdote francese, commentata da Riccardo Maccioni in Avvenire, Lunedì dello Spirito, 25.11.2024).
 
"Viviamo in un tempo nel quale è diventato difficile guardare oltre la siepe di casa nostra. Non siamo più capaci, come il Leopardi de L’infinito, di sederci e ammirare “sterminati spazi di là da quella, e sovrumani silenzi, e profondissima quiete”. Viviamo come rassegnati e ciechi, prigionieri del presente, incapaci di vedere un futuro davanti a noi […] L’Avvento è una dimensione permanente del cuore, un pellegrinaggio che spinge ogni giorno il credente a cercare sentieri di speranza e orizzonti di senso. […] È un’avventura dello Spirito che porta a scrutare nella notte, “dalle profondità degli abissi” i segni di un giorno che viene. […] Questo sguardo sul futuro ci permette di iniziare ogni giorno una nuova avventura, di orientare i nostri passi e di dare un senso alla nostra fatica quotidiana, scrutando nel buio della storia i segni promettenti della presenza del Signore. Sì, nel mondo non c’è solo devastazione e violenza: ci sono anche semi buoni di pace e di giustizia, i segni del Regno.[…] Possiamo allora domandarci; “Quando verrà il Signore e ristabilirà ogni cosa?” Il Signore è già venuto nella debolezza della nostra carne umana e ha piantato la sua tenda in mezzo a noi. Viene ogni giorno nella Parola e nel Pane, nei segni sacramentali della Chiesa. Viene nel povero e nello straniero, nel volto di chiunque grida la sua disperazione dall’abisso del mare o dalle macerie devastanti delle migliaia di bombe sganciate ogni giorno da ogni latitudine del pianeta. Sì, Cristo è là ed è in questi terribili luoghi sacri che si attende.[…] Certo, Cristo verrà un giorno nella manifestazione della sua gloria e consegnerà il Regno al Padre suo, quando anche l’ultimo nemico, la morte, sarà sconfitto.[…] Quando egli verrà tutto sarà riconciliato e pacificato in lui e Dio sarà tutto in tutti”. (Comunità monastica di Marango, LO SCANDALO DELLA SPERANZA. Cammini di risurrezione nel tempo di Avvento, ed. Paoline, 2024, pp.5 e 13-15). Gli autori: "le sorelle e i fratelli della comunità di Marango, un piccolo monastero che è sorto nella estrema periferia orientale della diocesi di Venezia nella Pentecoste del 1984” (o.c. pag.5). Un libro che invito a leggere, che può accompagnarci in tutte le quattro settimane di Avvento, spronarci a meditare, a ripensare noi stessi, a pregare, ascoltare la Parola e coerentemente impegnarci a soccorrere e tutelare tutti  i ”terribili luoghi sacri” ovunque siano...
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sabato 23 novembre 2024

La chiarezza della mente

Post di Rossana Rolando
Immagini di Quint Buchholz (qui il sito instagram)

“Tendono alla chiarità le cose oscure…”
(Eugenio Montale)
 
💥 La chiarezza del pensare
Quint Buchholz, Il faro del libro, 1992
Assumo la chiarezza come valore programmatico da perseguire e da proporre. Non mi riferisco alla chiarezza dei rapporti interpersonali, auspicabile, ma non sempre possibile, specie nelle situazioni in cui le zone d’ombra, le parole non dette sono talora necessarie, per non ferire e conservare equilibri altrimenti precari. Parlo invece della chiarezza come esigenza mentale: nello sviluppo dei pensieri, nella comunicazione delle idee, nell’elaborazione della scrittura. Una qualità che non è immediatamente disponibile, non è dentro le cose, ma è invece il frutto di un lavoro della mente, conquista di una progressiva trasparenza del pensiero di fronte a se stesso, elaborazione di una parola pienamente afferrabile nella limpidezza finalmente raggiunta. A questo proposito leggo un passo di una lettera di Primo Levi, inviata ad Heinz Riedt, nel carteggio da poco uscito per Einaudi: “i miei gusti personali sono orientati verso la clarté, o la ricerca della medesima”, mentre altri scrittori più giovani tendono piuttosto “verso l’oscuro e l’indistinto. Benché scrittore, io tengo per chi legge: credo che se qualcosa si capisce male, la colpa non è di chi legge, ma di chi ha scritto”.¹ Per il testimone degli orrori di Auschwitz, la chiarezza non è solo preferibile sul piano estetico, ma è anche e soprattutto una scelta di tipo etico e politico
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sabato 16 novembre 2024

Il coraggio di essere giovani.

Post di Gian Maria Zavattaro
Illustrazioni tratte dal libro di Giulia Pintus, Sogno di una notte (qui il sito)

Quale giovinezza?      “… quella della giusta collera e dell’amore e non il mormorio dei concetti ben ordinati, quella non determinata dall’età della carne ma quella che trionfa sulla morte delle abitudini ed alla quale accade che si pervenga se non lentamente negli anni: questa fa il pregio dell’altra giovinezza e ne giustifica la sua irruzione un po’ violenta nei ranghi calmi degli adulti. […] Se a quest’età l’uomo che nasce non nega con tutte le sue forze, non s’indigna con tutte le sue forze, se si preoccupa di note critiche e  un po’ troppo di armonie intellettuali prima di avere sofferto il mondo in se stesso fino al grido, allora è un povero essere, un’anima bella che già odora di morte…”. (E. Mounier, cfr. il primo articolo di Esprit, ottobre 1932)
 
Quando svolgevo il servizio di preside, ogni mattina accoglievo all’ingresso i ragazzi e le ragazze: buon giorno! Quasi tutti/e rispondevano con un sommesso educato guardingo salve. E io pensavo: quale sarà la loro vita che qui stanno costruendo e la loro strada? Coraggiosa? Arrendevole? Piegata ad ogni forma di consumo e seduzione?
Coraggio è tra le parole ineludibili che aprono al mistero dell’esistenza umana! Credo che in sintesi richiami la speranza, virtù precipua dei giovani e della scuola, chiave di volta per ogni possibile crescita individuale e collettiva. Riflettiamoci sopra un poco. Deriva dal provenzale corage che è il latino coratĭcum, da cor cuore. Coraggio è avere a cuore, agire con il cuore: “forza segreta” che ci invade quando affrontiamo situazioni per noi decisive e cruciali; forza che affronta le paure; forza di chi vuol capire se stesso, gli altri, il mondo. Non il coraggio di questa o quella azione, ma coraggio di assumere me stesso in rapporto all’intera mia esistenza, coraggio radicale e totale di persona libera che vuole rendere migliore il mondo.

domenica 10 novembre 2024

Opinione pubblica e social

Post di Rosario Grillo.

Una opinione viene detta pubblica non solo perché è del pubblico (diffusa tra i molti, o tra i più), ma anche perché investe oggetti o materie che sono di natura pubblica: l'interesse generale, il bene comune, in sostanza, la res pubblica. Ma sino all'avvento dei media per antonomasia i processi di formazione dell'opinione erano - si riteneva - in equilibrio, o meglio controbilancianti, e cioè tali da consentire l'autoformarsi dell'opinione dei pubblici…
Diciamo, allora, che le opinioni attingono da due fonti: da messaggi informanti, ma anche da identificazioni. (G. Sartori voce Opinione pubblica su Enciclopedia del ‘900 Treccani)
 
Tra le insidie che logorano la democrazia oggi si trovano i social?
Il mio interrogativo si sostiene con la notizia diffusa dai mezzi d’informazione (vedi inchiesta recente del Wall Street Journal) sulla dannosità dei social.
Non voglio, dietro a questa osservazione, nascondere la responsabilità nel merito, che i genitori debbono custodire (riacquistandola se perduta o non rispettata) onde impedirne l’abuso ai propri figli, ancora in fase di maturazione.
Metto in conto, allo stesso tempo, la ragione che ha portato e porta il nostro blog a servirsi dei social. Ovvero la possibilità di poter fare un uso etico, generale e non fazioso, pacato e non vociante, dei social.

domenica 3 novembre 2024

La lezione di Ipazia

Post di Rossana Rolando

Jules Maurice Gaspard, Ipazia, 1908
La storia di Ipazia era una cosa accaduta ma immessa nell’eventualità continua del mondo e per me non era finita col suo essere accaduta (Mario Luzi). ¹

In che cosa Ipazia rappresenta un simbolo cui rimanere legati al di là del tempo e dello spazio? La sua vicenda appartiene ad un antico passato, ma non è conclusa con il suo semplice essere accaduta, può di nuovo ripresentarsi nel mondo, nel fascino archetipico di un femminile luminoso che, ci si augura, sia tuttavia sottratto al tragico epilogo di una morte violenta.
Ipazia vive tra il IV e il V secolo dopo Cristo, in quella Alessandria d’Egitto dove fonda una scuola filosofica in cui la cultura ellenica trova il suo centro propulsivo nel Museo (lì, ha insegnato il padre Teone, grande matematico), nel momento di passaggio tra un paganesimo al tramonto e un cristianesimo divenuto religione di stato (Editto di Tessalonica, 380 d. C., al quale seguono decreti sempre più ostili nei confronti dei culti pagani).

Chi è Ipazia? Che cosa ci trasmette oggi il suo messaggio?