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sabato 16 novembre 2024

Il coraggio di essere giovani.

Il coraggio di non arrendersi, di riflettere, rifiutare, respingere.
Post di Gian Maria Zavattaro
Illustrazioni tratte dal libro di Giulia Pintus, Sogno di una notte (qui il sito)

Quale giovinezza?      “… quella della giusta collera e dell’amore e non il mormorio dei concetti ben ordinati, quella non determinata dall’età della carne ma quella che trionfa sulla morte delle abitudini ed alla quale accade che si pervenga se non lentamente negli anni: questa fa il pregio dell’altra giovinezza e ne giustifica la sua irruzione un po’ violenta nei ranghi calmi degli adulti. […] Se a quest’età l’uomo che nasce non nega con tutte le sue forze, non s’indigna con tutte le sue forze, se si preoccupa di note critiche e  un po’ troppo di armonie intellettuali prima di avere sofferto il mondo in se stesso fino al grido, allora è un povero essere, un’anima bella che già odora di morte…”. (E. Mounier, cfr. il primo articolo di Esprit, ottobre 1932)
 
Quando svolgevo il servizio di preside, ogni mattina accoglievo all’ingresso i ragazzi e le ragazze: buon giorno! Quasi tutti/e rispondevano con un sommesso educato guardingo salve. E io pensavo: quale sarà la loro vita che qui stanno costruendo e la loro strada? Coraggiosa? Arrendevole? Piegata ad ogni forma di consumo e seduzione?
Coraggio è tra le parole ineludibili che aprono al mistero dell’esistenza umana! Credo che in sintesi richiami la speranza, virtù precipua dei giovani e della scuola, chiave di volta per ogni possibile crescita individuale e collettiva. Riflettiamoci sopra un poco. Deriva dal provenzale corage che è il latino coratĭcum, da cor cuore. Coraggio è avere a cuore, agire con il cuore: “forza segreta” che ci invade quando affrontiamo situazioni per noi decisive e cruciali; forza che affronta le paure; forza di chi vuol capire se stesso, gli altri, il mondo. Non il coraggio di questa o quella azione, ma coraggio di assumere me stesso in rapporto all’intera mia esistenza, coraggio radicale e totale di persona libera che vuole rendere migliore il mondo.
Liberiamoci da ogni equivoco: stiamo parlando di protagonisti, letteralmente ed etimologicamente di lottatori, non di cialtroni o di poveri diavoli che scaricano sugli altri i loro problemi. Parlo di coraggio di essere se stessi, di scegliere sempre e solo in base alla propria coscienza, di essere liberi di fronte ad ogni forma di seduzione potere e ricatto spesso mascherati, di non tacere l’ingiustizia anche se tutti l’accettano in silenzio. Coraggio di dire sì quando è necessario e no quando è altrettanto necessario. Coraggio di impegnarsi per la vita degli altri, anche se tutti si lavano le mani. Coraggio di vincere disincanto e apatia, non chiudersi nelle proprie spettanze. Coraggio di sperare. Non mi riferisco solo alla speranza cristiana, della quale non ho titolo per parlare, che oltrepassa la mia finitudine, che è fondamento di ogni altro modo terreno di sperare, che non mi fa temere lo scacco della morte. Parlo della speranza che tutte le persone hanno: ognuno di noi vive in quanto ha aspirazioni, progetti, attesa del futuro. La speranza, espressione del modo concreto di esistere di ognuno di noi, non è solo un bene, ma è il senso profondo, la struttura della nostra esistenza  nel mondo. Il dovere di sperare alimenta il giovane, ma dovrebbe alimentare anche gli adulti, i genitori, gl’insegnanti e soprattutto obbligarli a non intaccare la fiducia nel futuro dei giovani. Il coraggio non nega né sottovaluta le contraddizioni presenti, non nasconde il pessimismo del percorso, ma opta  per un ottimismo del fine: si rimbocca le maniche perché nulla è guadagnato o vinto in partenza.
Coraggio di camminare insieme noi tutti giovani adulti anziani in un’avventura in cui ognuno impara l’arte di dialogare e ascoltare.
Ciò comporta pazienza, fantasia e la forza taumaturgica del sorriso che aiuta a capire meglio gli altri, soprattutto se appartenenti a diverse generazioni.
In questo nostro tempo ci vuole coraggio per non arrendersi alle seduzioni del conformismo, del successo, del consumo di ogni genere (materiale, relazionale, soprattutto virtuale), unici criteri di legittimazione sociale. Ci vuol coraggio per non finire nelle molteplici schiere dei senza coraggio, composte  non solo tanto da giovani, ma ancor più da adulti rinunciatari che riducono i giovani a generazione senza maestri. Formare gli adulti dovrebbe essere prima preoccupazione sociale. I dati statistici del decennio trascorso sono eloquenti: circa il 20% degli adulti non possiede i requisiti minimi per orientarsi nelle decisioni; il 40% fatica a decifrare uno scritto, anzi una scritta; il 50% non legge né libri né giornali; 12 italiani su 100 (6 milioni) hanno difficoltà a leggere e far di conto; a rischio di ignoranza il 66% pari a 36 milioni...
Per i giovani in questo tempo di crisi non è facile vivere. Ma ogni crisi è in sé ambivalente. Emblematico l’ideogramma cinese che significa “crisi”: è composto di due ideogrammi, uno significa “opportunità”, l’altro “minaccia”.
Gli esiti minacciosi investono tutte le generazioni, ma nei giovani assumono drammatici risvolti: sono gli “sdraiati”, i  bamboccioni,  i conformisti, i nichilisti, cyberbullisti, i  NEET e Hikikomori”…(1)
Ci vogliono giovani coraggiosi per cogliere invece le opportunità: sono tanti e meravigliosi - più di quanti si pensi - testimoni autentici di speranza nel futuro, portatori di fantasia e di tutte le virtù cardinali. Chi non li vede è perché non vede più il cielo stellato, la luna splendente, il sorgere del sole all’alba, non vive più la nostalgia dell’incontro autentico e – aggiungo - , la nostalgia della scuola come “luogo” di continue relazioni tra giovani e adulti, in cui ognuno sente di non poter vivere isolato, sente di partecipare, disponibile per gli altri, e vive di speranza con tutte le sue forze.
Allora parliamo del coraggio di credere che non solo gli altri - lui, lei - ma io tu noi possiamo, dobbiamo essere protagonisti (“lottatori”) corresponsabili di coraggio, far sentire ai disincantati apatici chiusi nel loro narcisismo che un altro mondo è possibile: quello basato sulle regole della convivenza e della solidarietà, mondo che rifiuta le discriminazioni di religione e di etnia, mondo la cui anima è la speranza.  Coraggio che fa i conti con l’insicurezza e il rischio, perché nessuno potrà sapere di essere riuscito nella sua impresa prima d’esserci riuscito…
È in questo contradditorio nostro tempo che si pone e si oppone il coraggio dei giovani. È l’altra faccia della medaglia, spesso nascosta, non pubblicizzata, ma ben presente, reale e diffusa: giovani che vivono di giorno, non di notte, che hanno cura di sé, del proprio presente e futuro, che hanno tempo  per condividere la cura per gli altri in tanti modi creativi  e costruttivi: famiglia scuola lavoro vacanze sport musica arte, volontariatoÈ IL VOLTO DELLA PERANZA.
 
Consentitemi infine tre citazioni.
1. Il pensiero sui giovani di papa Francesco (Leoncini, Dio è giovane, ed. Piemme). “I giovani hanno qualcosa dell’atteggiamento e della capacità del profeta”: sanno denunciare ciò che non va e sanno annunciare, scrutare il futuro, guardare più avanti, se gli adulti non li lasciano soli e sanno farli sognare ed entusiasmare. Ai giovani non piacciono le prediche, ma sono molto sensibili alle testimonianze, hanno bisogno di uomini e donne che siano esempi concreti e coerenti. Il giovane sa stupire, ama lo stupore, perché sa sognare.
 
2. L’augurio di don Ciotti ai giovani
“Vi auguro di essere eretici. Eresia viene dal greco e vuol dire scelta. Eretico è la persona che sceglie, è colui che più della verità ama la ricerca della verità. Allora ve lo auguro di cuore questo coraggio dell’eresia. Vi auguro l’eresia dei fatti prima che delle parole, l’eresia che sta nell’etica prima che nei discorsi. Vi auguro l’eresia della coerenza, del coraggio, della gratuità, responsabilità e dell’impegno. […] Eretico è chi non cede alla tentazione del cinismo e dell’indifferenza, che sono le malattie spirituali della nostra epoca”.
 
3. Non vi arrendete
(Pensieri tratti da un opuscolo, che mi ha accompagnato nei primi passi di giovane docente che mi paiono attualissimi…)
“Non vi arrendete, come abbiamo fatto noi,
non seguite le seduzioni, riflettete, rifiutate, respingete.
Riflettete, prima di dire sì, non date retta subito,
non credete neppure all’evidenza,
la credulità addormenta, e voi dovete essere svegli.
Cominciate con una carta bianca e scriveteci voi stessi la prima parola,
non accettate nessuna prescrizione. Ascoltate bene, a lungo, attenti,
non credete alla ragione cui noi ci siamo sottomessi
Incominciate dalla tacita rivolta della riflessione,
indagate e rifiutate.
Costruite a poco a poco il sì della vostra vita.
Non vivete come noi.
Vivete senza paura”.
(W. Bauer, Speranza per oggi e per domani, Cittadella editrice Assisi,1969, p. 37)
 
Note
1.Gli sdraiati. E’ il titolo del saggio-romanzo ben noto di M. Serra: metafora dei giovani di ieri e di oggi , un tempo chiamati bamboccioni: fragili, troppo soli o troppo protetti.). E intanto si fa finta di non vedere che gli sdraiati siamo noi adulti…C’è un “ospite inquietante”  tra i giovani secondo Galimberti: nichilismo dai mille volti, che si esprime nella droga, alcool, indifferenza tra bene-male, irrilevanza della risonanza emotiva delle proprie azioni  tra ciò che è grave e non ( “gesti senza movente” di ragazzi che stuprano in branco, atti assurdi senza motivo e scopo, indifferenti a ogni gerarchia di valori, con il seguito di imitatori). Davvero un ospite inquietante. Ciò che occorre è accorgersi di quest’ospite e guardarlo bene in faccia. Ospite inquietante  che  trascina a vivere di notte, dove la notte non è solo metafora quando a dormire si va alle 6/7 del mattino, ma protesta inconsapevole contro l’insignificanza propria sociale in un mondo che non ti considera e he si rifiuta.
C’è poi una pseudocultura diffusa dai social, fatta di immagini-modelli basati su brutalità, crudeltà, violenza. E poi il Bullismo di adolescenti o giovani senza qualità che ripropone una nuova antica morale: “Sei famoso se tieni gli altri sotto di te” e il Cyberbullismo, fenomeno di portata europea difficile da mettere a fuoco, data la grande varietà di comportamenti  che colpiscono i più deboli: comportamenti che spesso i genitori tendono a minimizzare a poco più che scherzo. Una parola anche sul turpiloquio-violenza verbale, forma di comunicazione ormai pervasiva. a cui ci stiamo abituando, come all’indifferenza, ingiustizie, guerre, solitudini dei disperati, morti annegati, la fame di milioni di bambini. Dietro gl’insulti c’è povertà culturale, disincanto, paure. barbarie. La scurrilità non è naturale forma di comunicazione, è violenza fisica, aggressione, intolleranza volta a imporre, assassinare l’informazione, perché il turpiloquio abusa del linguaggio, lo manipola, reprime l’elemento informazione con l’elemento suggestione, sostituisce alla persuasione la visceralità delle parolacce e gesti scurrili. Il linguaggio si trasforma nel suo contrario: invece di gettare ponti innalza barriere, invece di favorire la comunione crea aggressione, invece di aprire gli occhi rapina il pensare. Andrebbe affrontata come emergenza nazionale, perché anticipa la violenza fisica del branco. I NEET (not engaged in education, employed or training) giovani tra i 16 e 30 anni e da qualche anno ormai anche over 30. Insomma i ventenni Neet si stanno trasformando in trentenni Nyna (Not Young and Not Adulti): non lavorano né studiano né svolgono tirocini. Quasi 2,5 milioni (oltre il 90% proviene da famiglie svantaggiate):. Più che allarme sociale è dramma socioeconomico e culturale. Adolescenti navigati” è il titolo di un  libro di M. Lancini: l’uso intensivo di internet, le nuove tecnologie, l’aumento delle relazioni virtuali hanno modificato profondamente il profilo degli adolescenti di oggi: I nativi digitali’ pensano diversamente rispetto alle generazioni degli “immigrati digitali”: il loro sapere enciclopedico è più vasto ma con  grosse lacune, non strutturato, dispersivo; sono più fragili e vulnerabili alle dipendenze, con il rischio di prendere strade in cui prevalgono modalità eccitatorie. Generazione del monosillabo delle parole mozze, dell’incertezza lessicale, dell’uso intensivo degli smartphone, difesa e rifugio dal loro isolamento, che li rassicura, li fa sentire inclusi nella loro rete virtuale, che offre informazioni a dismisura . spesso inaffidabili. Hikikomori: così li chiamano in Giappone, da noi auto reclusi, il cui numero cresce ogni anno, che rifiutano qualsiasi contatto con l'esterno. Secondo M. Lancini, "scelgono di tagliare con il mondo perché vittime di bullismo o perché rifiutati dai coetanei" e non escono più dalle loro stanze di adolescenti, in cui si confinano giorno e notte, con la Rete come unico ponte verso l'esterno, in fuga da un mondo da cui sentono emarginati. "Forma estrema di protesta sociale, grido di dolore, per non sentirsi adeguati ai propri coetanei, incompresi a scuola, schiacciati dalla competizione. A questi ragazzi ipersensibili, spesso intelligentissimi, sembra l'unica salvezza da un mondo che li fa soffrire”. Non bisogna confondere i "tossicodipendenti della Rete" con i "ritirati dal mondo", "La scelta di chiudersi in casa - chiarisce Lancini - è quasi sempre la conseguenza di un fatto traumatico. Ad esempio: andare a scuola e sentirsi invisibili. Essere etichettati come sfigati, perseguitati per l'aspetto fisico. Su personalità fragili e sensibili tutto questo può diventare insopportabile…” A loro Lancini ha dedicato gran parte del saggio "Abbiamo bisogno di genitori autorevoli": "Come li curiamo? Entrando nel loro dolore con la psicoterapia, anche se c'è chi vorrebbe definirli, a torto, pazienti psichiatrici. E poi cercando con infinita pazienza ogni strumento che li tiri fuori dalla autoreclusione ". Le cose possono cambiare finite le superiori, entrando in un mondo dove "lo sguardo dei coetanei non è più così crudele come nell'adolescenza”, come può succedere all’università
Il conformismo: aspetto del nostro moderno vivere, coil quale ognuno di noi deve fare i conti (cfr. Dorfles, “Conformisti”). Ci si è conformati in tutto, nei pensieri e nelle azioni, negli interessi e nei gusti, nel comportamento e nel linguaggio, nella vita domestica e in quella pubblica, nei bisogni e nelle aspirazioni. È tale il conformismo che non ci si accorge di essere in autentici, non veri, senza personalità e voce propria, distinta dal contesto che tuttavia non è unico, non sempre e dovunque uguale ma distinto,  frazionato in un’infinita serie di parti. Ognuna di queste riunisce un gruppo, una fascia della popolazione quella dei bambini, dei giovani, degli adulti, degli anziani e persino dei defunti e ognuna mostra come in ogni modo e tempo della vita si obbedisce oggi a quanto giunge dall’esterno, dalle mode e dai media. Anche nella letteratura, nell’arte si è arrivati a conformarsi a ciò che i tempi chiedono. E ultimi casi di cronaca nera, ma tremendamente in testa, le sparatorie e uccisioni tra minorenni…

3 commenti:

  1. Da Rosario. Che dire, Gian Maria? Gioia per la tua voglia di “ scendere in campo “… e che grinta! Applausi per il contenuto : forte, pertinente, con una tempra morale indiscutibile. Da condividere e difatti ho pronto uno scritto che tocca il tema della speranza.
    Evidentemente passa di mezzo il messaggio che arriva dal Papa ( enciclica). Quando si è in età con lo spirito giovane non si può che vedere al di là della lamentela comune sulla passività dei giovani. I giovani prendono posizione invece, lottano per i problemi di sostanza ( crisi climatica, scuola, giustizia) ed hanno bisogno del nostro sostegno per abbattere quel “muro di omertà ideologico “ che sta soffocando il loro futuro. Un grande grazie a te per lo scritto e sempre complimenti a Rossana per la scelta felice.🎈☮️🤗

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    1. Grazie, carissimo Rosario. Sempre in cordata insieme nella denuncia e nell'annuncio...uniti nella speranza!

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  2. Grazie per questo intenso contributo. Sentire la giovinezza, poterla esprimere... È difficile in questo tempo in cui siamo controllati in tutto. Vorrei svegliarmi in un nuovo giorno, in cui si possa fare sogni, senza che non ci sia più qualcuno che decide per noi...

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