Per rendersi accessibili agli altri c’è un’arte che è necessario conoscere e che è meno facile di quanto si possa pensare: l’arte di sapere ascoltare.
Post di Gian Maria Zavattaro
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Henri Matisse, La conversazione, 1908-1912 |
Oggi ascoltiamo tante cose ma perdiamo sempre più la capacità di metterci veramente in ascolto di noi stessi, degli altri e soprattutto dell’altrui dolore, magari facendo finta di non vedere la straripante dimensione sociale della sofferenza che la nostra indifferenza relega ad affare privato di ognuno. Eppure questo nostro tempo dovrebbe essere tempo di ascolto dell’Altro. L’Ascolto è tra gli atti umani il più significativo e impegnativo: mi pongo davanti ad una persona che mi interpella e attende che io sia capace di scoprire la sua gioia o il suo tormento e sappia assicurarle parole, sentimenti e concreti atti coerenti. Non è atto passivo né malcelata sopportazione: è particolare attività che si esprime nel silenzio paziente (“primo precetto dell’ascolto”), privo di qualsivoglia pregiudizio o postgiudizio.
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Henri Matisse, Natura silente con mele, 1916 |
Il vero ascolto è la silenziosa offerta della koinonia, del legame fraterno tra le persone, della corresponsabilità solidale, dell’accoglienza reciproca, della speranza per tutti, dell’attenzione empatica e congruente….
Soprattutto ascoltare è fare silenzio, il contrario del parolame che si consuma quotidianamente nei social, in tv, nelle fiere e nei baracconi virtuali, Pace e ascolto non sono fantasie illusorie. L’ascolto è alta espressione della ragione e del cuore: riconosce l’Altro nella sua alterità, lo ospita, metacomunica la possibilità di riconciliarsi con se stessi e gli altri, misura il grado di civiltà proprio sulla base della capacità di essere ospitali (insieme ospitanti e ospitati), testimoni di speranza hic et nunc in questo tempo disperante...
Per me la sfida di questa Quaresima è decidere di praticare ascolto e silenzio intorno a me e dentro di me, come ci esorta il vangelo della seconda domenica di quaresima: (“Questi è il Figlio mio, l’eletto; ascoltatelo!” Luca 9,35): ascoltare nel silenzio la Parola per comprenderla e tradurla in azione, tanto più nell’anno del cammino solidale e del giubileo, che ci invitano e stimolano a crescere, convertirsi all’ascolto. Sinodo significa camminare insieme, dunque “ascoltare per camminare insieme e camminare per ascoltare insieme” .L’ascolto non è superficiale né avaro né frettoloso né parziale, ma personale e comunitario: insieme in cammino per incontrare gli altri.
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Henri Matisse, Violinista alla finestra, 1918 |
Lo ammetto: fatico a far silenzio per ascoltare gli altri, scoprirli-riscoprirli, dispormi ad amare chi è vicino e soprattutto chi è lontano. Con mia moglie (in casa, in montagna, nell’angolo d’una chiesa, d’una strada, d’un luogo deserto o quando lei guida l’auto con me accanto), insieme strappiamo un bel po’ di minuti alla frenesia delle vite di corsa per restituirci - più accoglienti e consapevoli - a noi e agli altri, provando ad ascoltare ed ascoltarci seriamente, gioiosamente, intrepidamente).
Non sorprende la nostra incapacità di “rendersi accessibili agli altri” denunciata negli anni ‘60 dal card. Suenens ovvero l’odierna galoppante incomprensione reciproca. Troppo a lungo siamo stati estranei gli uni agli altri nella reciproca disumanizzazione: mai come ora è tempo d’imparare ad ascoltarci ed ascoltarli: palestinesi israeliani russi ucraini italiani europei americani cinesi africani migranti… e potremmo ancora a lungo continuare…
Ognuno di noi, volente o nolente è chiamato ad essere responsabile. Non la responsabilità impersonale, generica, di tutti e di nessuno, ma la mia tua vostra nostra responsabilità, come impegno liberamente assunto dalla coscienza di ognuno di noi in questo tempo preciso che ci coinvolge tutti semplicemente in quanto persone e cittadini, indipendentemente dalla propria religione, etnia, scelta politica, condizione sociale ed economica, età….Ogni giorno sperimentiamo che cosa significhi scegliere la guerra o i muri.
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Henri Matisse, La lezione di piano, 1916 |
Lo sguardo limpido: quello che, senza nulla nascondere, si apre all’altro, com-muove ad litteram, ossia insieme ci si muove per creare com-unità nelle e delle differenze.
Lo sguardo lucido: la forma di ascolto che trasuda rispetto e garbo empatico, che consente di vedere di più e meglio, perché proprio la mancanza di rispetto non fa vedere ed oscura chi e ciò che viene offerto.
Sguardi non facili in questi tempi del diffuso “guardare muto”, mortificazione delle relazioni interpersonali. Lo sguardo lucido e limpido è invece “singolare”, mai neutrale, specchio della totalità del proprio essere, premessa ospitale e dialogica, segno centrale del nostro stare al mondo e del nostro “guardare dentro” noi stessi (lat. introspicere). Così alla mia non tenera età di ottantenne, quando esco dalle mie lezioni e me ne vado per la strada, continuo ad imparare che, girato l’angolo, non posso più far finta di niente, non posso evitare gli occhi di chi m’importuna per l’elemosina, del passante che mi è indifferente o addirittura ostile, dei mille volti apparentemente anonimi che nella realtà fisica e virtuale segnano ogni giornata con le loro lacrime ed il loro sangue. E ricomprendo quanto sia difficile liberarsi dal “guardare muto”, dalla collettiva fobia della luce di coloro che vedono solo ciò che non disturba o quello che altri si industriano a farci vedere. Così si espande lo sguardo muto, chiuso nella sua caverna platonica, ignaro del libero orizzonte.
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Henri Matisse, Vaso di girasoli, 1898 |
Lo sguardo limpido lucido è per ognuno di noi il più sicuro rivelatore di noi stessi e proprio per questo lo sguardo altrettanto limpido e lucido altrui, quando si posa su di me, è il miglior specchio e segno di invisibile ascolto. Può agire a rilento oppure in un istante rivelarmi a me stesso. Le priorità assegnate dalla mia mediocrità, i miei luoghi comuni, pre-post giudizi discutibili, convincimenti scontati, i miei dolori che pretendevo esclusivi - ecco! - visti con lo sguardo libero dell’altro, mi appaiono per ciò che sono: inessenziali relativi, a volte “grotteschi”. E’ l’inaudito che mi rischiara, mi rivela nelle giuste proporzioni, mi scuote dalla mia sufficienza diventata zavorra. E’ - (afferma E. Mounier ne Il trattato del carattere, ed. Paoline cfr. “sguardo limpido e lucido”), il “turbamento delizioso di mescolarsi a una vita sconosciuta” e forse la via per “l’inizio della saggezza”.
Siamo tutti consapevoli che la storia stia subendo una brusca accelerata ed è forte la sensazione dell’imminenza di una svolta, senza saper bene quale sarà. Non si tratta di assumersi il presuntuoso compito di salvare il mondo ma di compiere i due-tre passi di cambiamento concreto che è possibile realizzare assumendoci la nostra quota di responsabilità verso chi ci è prossimo. L’apertura all’ascolto appare il primo passo, insieme alla disponibilità a riconoscere senza illusioni il limite della propria prospettiva e alla testimonianza della propria ricerca della verità che non si rassegna mai a rompere il dialogo. L’ascolto sfocia in una incondizionata volontà di riconciliazione, sul terreno di una fedeltà mantenuta incrollabilmente. L’ascolto è la prima condizione: fare silenzio in noi stessi per fare posto all’altro, alla sua parola, al suo volto, al suo sguardo, alla sua voce, ai suoi gesti ed uscire da se stessi, dalle proprie pretese interpretative, dal proprio istinto a prevaricare sull’altro per salvaguardare noi stessi, senza paura di esporci al rischio di lasciarci invadere dall’altro. Comprendere è la seconda parola: prendere insieme, con-tenere includere. Terza parola è Attenzione nel senso etimologico: rivolgere l’animo a qualcuno o qualcosa, tendere verso per avvicinarsi (per il significato profondo dell’attenzione, cfr.S. Weil, Attesa di Dio, Rusconi,Mi, 1991, p.84), che diventa perciò in senso etimologico la 4° parola com-petenza: cum-petere andare insieme, mirare a comuni obiettivi, incontrarsi, corrispondere, gareggiare insieme, .desiderare insieme ciò che ora non c’è.
Arricchente lettura di principi, di pose, di metodi, che contrastano, per ribaltare, la tendenza diffusa, selvatica, a pre-valicare. Se si pone attenzione alla sua diffusione, diventa naturale l’acclamazione, altrettanto diffusa, della “ chiamata alle armi”. Non c’è nulla da aggiungere, caro Gian Maria. In una argomentazione coinvolgente hai toccato i punti: dell’ascolto ( preliminare al dialogo), del silenzio ( preliminare del senso), dello sguardo ( lucido ed attento : ecco così , privo di ogni travicello), dell’attenzione ( coniugata con l’attesa). Stazioni fondamentali di una rieducazione alla umanità. Un sonoro grazie e un grande abbraccio da Rosario
RispondiEliminaCaro Rosario, solo ora - al ritorno dai giorni trascorsi con le mie figlie e i miei nipoti - leggo il tuo commento, sempre generoso, puntuale, teso a richiamare ed invocare dialogo, silenzio attenzione "stazioni fondamentali di una educazione alla umanità". Grazie!
EliminaGrazie, caro amico. Condivido ampiamente le tue riflessioni su "ascoltare davvero"., esporsi, mettersi in gioco, "una certa paura"... per "costruire una comunità di pace" e "contribuire a trasformare le nostre relazioni e la società nel suo complesso". Non è utopia (un luogo che non c'è) ma eutopia, un "bel luogo" da ricercare insieme. Su questo dirò qualcosa in un prossimo post . Ti ringrazio.
RispondiEliminaArticolo e blog molto interessante. L'arte dell'ascolto impone degli "sconforti" che la civiltà attuale non vuole più sostenere, in preda al narcisismo, all'insensibilità, al senso di superiorità, alla verbosità, alla necessità di replicare immediatamente e tanto altro. Interessante anche l'analisi etimologica del verbo "competere": anche io nel mio blog spesso compio uno sforzo di analisi funzionale delle parole, per restituire un significato autentico o rinnovarlo (http://zonadisconforto.blogspot.com)
RispondiEliminaGrazie, gentile Andrea. Molto interessante il conforto "degli "sconforti" che la civiltà attuale non vuole più sostenere"1 Un cordiale saluto.
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