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sabato 22 marzo 2025

Due orecchi ed una bocca sola. Ascoltare e ascoltarsi

Per rendersi accessibili agli altri c’è un’arte che è necessario conoscere e che è meno facile di quanto si possa pensare: l’arte di sapere ascoltare.
 Post di Gian Maria Zavattaro
 
Henri Matisse, La conversazione, 1908-1912
“Per rendersi accessibili agli altri c’è un’arte che è necessario conoscere e che è meno facile di quanto si possa pensare: l’arte di sapere ascoltare. Pochissimi sono gli uomini e le donne che veramente sanno ascoltare; un dialogo nove volte su dieci non è altro che l’incrociarsi di due monologhi. […] Pochi sono quelli che ascoltano. Pochi ricordano d’aver due orecchi ed una bocca sola, quasi che la natura stessa li ammonisca ad ascoltare il doppio di quanto non parlino. E questo accade perché ognuno di noi è così ingombro delle sue particolari faccende, che non ha più posto per quelle dei suoi simili. È dunque indispensabile un’operazione di sgombero se si vuole che gli uomini diventino accessibili gli uni agli altri. […] Pochi lo sanno fare. I più ascoltano soltanto le parole, i suoni e non hanno orecchi per un’angoscia muta, per una mezza confidenza impacciata. Qualche volta occorre persino saper intendere “sì” quando l’altro ha detto “no”. […] Il maggior bene che possiamo fare ad una persona - disse Lavelle –- non è di farla partecipare della nostra ricchezza, ma farla consapevole di quella che possiede lei”. (Card. Suenens, Vita quotidiana Vita cristiana, ed, Paoline 1964, pp.23-25).
 
Oggi ascoltiamo tante cose ma perdiamo sempre più la capacità di metterci veramente in ascolto di   noi stessi, degli altri e soprattutto dell’altrui dolore, magari facendo finta di non vedere la straripante dimensione sociale della sofferenza che la nostra indifferenza relega ad affare privato di ognuno. Eppure questo nostro tempo dovrebbe essere tempo di ascolto dell’Altro. L’Ascolto è tra gli atti umani il più significativo e impegnativo: mi pongo davanti ad una persona che mi interpella e attende che io sia  capace di scoprire la sua gioia o il suo tormento e sappia assicurarle parole, sentimenti e concreti atti coerenti. Non è atto passivo né malcelata sopportazione: è particolare attività che si esprime nel silenzio paziente (“primo precetto dell’ascolto”), privo di qualsivoglia pregiudizio o postgiudizio.
Henri Matisse, Natura silente con mele, 1916
Nell’ascolto è insita una valenza “politica”: attiva partecipazione all’esistenza degli altri, capace di stringere relazioni fra gli uomini e di aprire la strada alla riconciliazione con il lontano o il diverso che restano tali ma in un’accorata vicinanza tesa a formare una comunità di pace ed ospitalità reciproca oggi difficile se non impensabile per l’impossibilità di dialogo con l’autoreferenzialità, la monocrazia, il terrorismo, il settarismo, il nazionalismo esasperato e quant’altro…
Il vero ascolto è la silenziosa offerta della koinonia, del legame fraterno tra le persone, della corresponsabilità solidale, dell’accoglienza reciproca, della speranza per tutti, dell’attenzione empatica e congruente….
Soprattutto ascoltare è fare silenzio, il contrario del parolame che si consuma quotidianamente nei social, in tv, nelle fiere e nei baracconi virtuali, Pace e ascolto non sono fantasie illusorie. L’ascolto è alta espressione della ragione e del cuore: riconosce l’Altro nella sua alterità, lo ospita, metacomunica la possibilità di riconciliarsi con se stessi e gli altri, misura il grado di civiltà proprio sulla base della capacità di essere ospitali (insieme ospitanti e ospitati), testimoni di speranza hic et nunc in questo tempo disperante...
Per me la sfida di questa Quaresima è decidere di praticare ascolto e silenzio intorno a me e dentro di me, come ci esorta il vangelo della seconda domenica di quaresima: (“Questi è il Figlio mio, l’eletto; ascoltatelo!” Luca 9,35): ascoltare nel silenzio la Parola per comprenderla e tradurla in azione, tanto più nell’anno del cammino solidale e del giubileo, che ci invitano e stimolano a crescere, convertirsi all’ascolto. Sinodo significa camminare insieme, dunque “ascoltare per camminare insieme e camminare per ascoltare insieme” .L’ascolto non è superficiale né avaro né frettoloso né parziale, ma personale e comunitario: insieme in cammino per incontrare gli altri.
Henri Matisse, Violinista alla finestra, 1918
Certo, il valore dell’ascoltare  nel silenzio oggi sembra anacronistico, assordati come siamo da frastuoni prodotti dai media verbali e virtuali d’ogni tipo,“ nebbie semantiche deliberatamente sollevate nell’era della menzogna organizzata”: frasi fatte, fake news, false immagini artefatte dall’IA, vocaboli diventati ambigui (pace, solidarietà, ambiente, destra, sinistra, accoglienza…). Così trascorriamo la vita quotidiana nella “galleria del vento di pettegolezzi e di chiacchiere”: baconiani idòla fori, pubblici dibattiti ridotti a gargarismi linguistici, parole consumate ed usurate dai media...
Lo ammetto: fatico a far silenzio per ascoltare gli altri, scoprirli-riscoprirli, dispormi ad amare chi è vicino e soprattutto chi è lontano. Con mia moglie (in casa, in montagna, nell’angolo d’una chiesa, d’una strada, d’un luogo deserto o quando lei guida l’auto con me accanto), insieme strappiamo un bel po’ di minuti alla frenesia delle vite di corsa per restituirci - più accoglienti e consapevoli - a noi e agli altri, provando ad ascoltare ed ascoltarci seriamente, gioiosamente, intrepidamente).
Non sorprende la nostra incapacità di “rendersi accessibili agli altri” denunciata negli anni ‘60 dal card. Suenens ovvero l’odierna galoppante incomprensione reciproca. Troppo a lungo siamo stati estranei gli uni agli altri nella reciproca disumanizzazione: mai come ora è tempo d’imparare ad ascoltarci ed ascoltarli: palestinesi israeliani russi ucraini italiani europei americani cinesi africani migranti… e potremmo ancora a lungo continuare…
Ognuno di noi, volente o nolente è chiamato ad essere responsabile. Non la responsabilità impersonale, generica, di tutti e di nessuno, ma la mia tua vostra nostra responsabilità, come impegno liberamente assunto dalla coscienza di ognuno di noi in questo tempo preciso che ci coinvolge tutti semplicemente in quanto persone e cittadini, indipendentemente dalla propria religione, etnia, scelta politica, condizione sociale ed economica, età….Ogni giorno sperimentiamo che cosa significhi scegliere la guerra o i muri.
Henri Matisse, La lezione di piano, 1916
Nella mia ultradecennale esperienza come insegnante volontario alla scuola diocesana Migrantes di Albenga dove insegnare è imparare, ho scoperto la forza dirompente dell’ascolto nello ”sguardo limpido e lucido”. Nei primi incontri ascoltare e ascoltarsi era un vicendevole soppesarci con gli occhi, scoprendo che era possibile accoglierci ed accettarci reciprocamente. Poi sono intervenuti a conferma i gesti di amicizia e la reciproca accettazione. Ed ogni volta - prima di tutto con lo sguardo - giudichiamo i nostri progressi, esprimiamo le nostre perplessità, ci incoraggiamo, sorridiamo, ci ospitiamo e procediamo avanti. Dopo vengono i gesti, le parole, di volta in volta un po’ meno approssimate e soprattutto l’ascolto. faticoso, problematico, ma essenziale, fondamentale.
Lo sguardo limpido: quello che, senza nulla nascondere, si apre all’altro, com-muove ad litteram, ossia  insieme ci si muove per creare com-unità nelle e delle differenze.
Lo sguardo lucido: la forma di ascolto che trasuda rispetto e garbo empatico, che consente di vedere di più e meglio, perché proprio la mancanza di rispetto non fa vedere ed oscura chi e ciò che viene offerto.
Sguardi non facili in questi tempi del diffuso “guardare muto”, mortificazione delle relazioni interpersonali. Lo sguardo lucido e limpido è invece “singolare”, mai neutrale, specchio della totalità del proprio essere, premessa ospitale e dialogica, segno  centrale del nostro stare al mondo e del nostro “guardare dentro” noi stessi  (lat. introspicere).  Così alla mia non tenera età di ottantenne, quando esco dalle mie lezioni e me ne vado per la strada, continuo ad imparare che,  girato l’angolo,  non posso più  far finta di niente, non posso evitare  gli occhi di chi m’importuna per l’elemosina, del passante che mi è indifferente o addirittura ostile, dei mille volti apparentemente anonimi che nella realtà fisica e virtuale segnano ogni giornata con le loro lacrime ed il loro sangue. E ricomprendo quanto sia difficile liberarsi dal “guardare muto”, dalla collettiva fobia della luce di coloro che vedono solo ciò che non disturba o quello che altri si  industriano a farci vedere. Così si espande lo sguardo muto,  chiuso nella sua caverna platonica, ignaro del  libero orizzonte.
Henri Matisse, Vaso di girasoli, 1898
Al bivio di ogni giorno ci tocca decidere quale strada praticare: quella tranquillante del “non vidimus ergo non est” oppure l’altra via inquieta “abbiamo visto, vediamo, continueremo a vedere, perciò non possiamo far finta  di niente”! 
Lo sguardo limpido lucido è per ognuno di noi il più sicuro rivelatore di noi stessi e proprio per questo lo sguardo altrettanto limpido e lucido altrui, quando si posa su di me, è il miglior specchio e segno di invisibile ascolto. Può agire a rilento  oppure in un istante rivelarmi a me stesso. Le priorità assegnate dalla mia mediocrità, i miei luoghi comuni, pre-post giudizi discutibili, convincimenti scontati, i miei dolori che pretendevo esclusivi - ecco! - visti con lo sguardo libero dell’altro, mi appaiono per ciò che sono: inessenziali relativi, a volte “grotteschi”. E’ l’inaudito che mi rischiara, mi rivela nelle giuste proporzioni, mi scuote dalla mia sufficienza diventata zavorra. E’ - (afferma E. Mounier ne Il trattato del carattere, ed. Paoline cfr. “sguardo limpido e lucido”), il “turbamento delizioso di mescolarsi a una vita sconosciuta” e  forse la via  per “l’inizio della saggezza”.
Siamo tutti consapevoli che la storia stia subendo una brusca accelerata ed è forte la sensazione dell’imminenza di una svolta, senza saper bene quale sarà. Non si tratta di assumersi il presuntuoso compito di salvare il mondo ma di compiere i due-tre passi di cambiamento concreto che è possibile realizzare assumendoci la nostra quota di responsabilità verso chi ci è prossimo. L’apertura all’ascolto appare il primo passo, insieme alla  disponibilità a riconoscere senza illusioni il limite della propria prospettiva e alla testimonianza della propria ricerca della verità che non si rassegna mai a rompere il dialogo. L’ascolto sfocia in una incondizionata volontà di riconciliazione, sul terreno di una fedeltà mantenuta incrollabilmente. Lascolto è la prima condizione: fare silenzio in noi stessi per fare posto all’altro, alla sua parola, al suo volto, al suo sguardo, alla sua voce, ai suoi gesti ed uscire da se stessi, dalle proprie pretese interpretative, dal proprio istinto a prevaricare sull’altro per salvaguardare  noi stessi, senza paura di esporci al rischio di lasciarci invadere dall’altro.  Comprendere è la seconda parola: prendere insieme, con-tenere includere. Terza parola è Attenzione nel senso etimologico: rivolgere l’animo a qualcuno o qualcosa, tendere verso per avvicinarsi (per il significato profondo dell’attenzione, cfr.S. Weil, Attesa di Dio,  Rusconi,Mi, 1991, p.84), che diventa perciò in senso etimologico la 4° parola com-petenza: cum-petere andare insieme, mirare a comuni obiettivi, incontrarsi, corrispondere, gareggiare insieme, .desiderare insieme ciò che ora non c’è.

5 commenti:

  1. Arricchente lettura di principi, di pose, di metodi, che contrastano, per ribaltare, la tendenza diffusa, selvatica, a pre-valicare. Se si pone attenzione alla sua diffusione, diventa naturale l’acclamazione, altrettanto diffusa, della “ chiamata alle armi”. Non c’è nulla da aggiungere, caro Gian Maria. In una argomentazione coinvolgente hai toccato i punti: dell’ascolto ( preliminare al dialogo), del silenzio ( preliminare del senso), dello sguardo ( lucido ed attento : ecco così , privo di ogni travicello), dell’attenzione ( coniugata con l’attesa). Stazioni fondamentali di una rieducazione alla umanità. Un sonoro grazie e un grande abbraccio da Rosario

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    1. Caro Rosario, solo ora - al ritorno dai giorni trascorsi con le mie figlie e i miei nipoti - leggo il tuo commento, sempre generoso, puntuale, teso a richiamare ed invocare dialogo, silenzio attenzione "stazioni fondamentali di una educazione alla umanità". Grazie!

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  2. Grazie, caro amico. Condivido ampiamente le tue riflessioni su "ascoltare davvero"., esporsi, mettersi in gioco, "una certa paura"... per "costruire una comunità di pace" e "contribuire a trasformare le nostre relazioni e la società nel suo complesso". Non è utopia (un luogo che non c'è) ma eutopia, un "bel luogo" da ricercare insieme. Su questo dirò qualcosa in un prossimo post . Ti ringrazio.

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  3. Articolo e blog molto interessante. L'arte dell'ascolto impone degli "sconforti" che la civiltà attuale non vuole più sostenere, in preda al narcisismo, all'insensibilità, al senso di superiorità, alla verbosità, alla necessità di replicare immediatamente e tanto altro. Interessante anche l'analisi etimologica del verbo "competere": anche io nel mio blog spesso compio uno sforzo di analisi funzionale delle parole, per restituire un significato autentico o rinnovarlo (http://zonadisconforto.blogspot.com)

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  4. Grazie, gentile Andrea. Molto interessante il conforto "degli "sconforti" che la civiltà attuale non vuole più sostenere"1 Un cordiale saluto.

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