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sabato 19 maggio 2018

Su Sciascia, L'affaire Moro.

"L'affaire Moro" non è solo un'opera letteraria, ma è - per il modo in cui l'ha vissuta l'autore - "opera di verità". La stessa cosa può valere per l'estensore dell'articolo che ne riprende qui i contenuti.
Post di Rosario Grillo.

La coerenza è l’ultimo rifugio delle persone prive d’immaginazione
(Oscar Wilde).

Leonardo Sciascia, 
L'affaire Moro
Comincio con il commento dell’epigrafe: è il ritratto del “bacchettone”, colui che radicalizza un principio estrapolandolo dal flusso della vita reale, anche se la norma serve appunto a dirimere la vita reale.
La dialettica deve avere corso… ed è la soluzione!
Nel suo pamphlet, Leonardo Sciascia, quasi in diretta lasciò epigrafica ed acuta memoria “dell’intelligenza della storia”. Parlo della storia che si fa, mentre essa diviene, confutando la tesi crociana circa l’impossibilità della “storia contemporanea”.
Io arrivo, dopo molto tempo, spinto dalla commemorazione del 40° anniversario di quel tragico episodio, motivato dalla ricostruzione che Ezio Mauro ha fatto di recente e dal ricordo personale di Raniero La Valle, uno dei pochi a battersi allora per la liberazione di Moro.
Per me è anche occasione per omaggiare Sciascia: la sua lucidità, la straordinaria vena narrativa. Per questo motivo ricordo, prima di cominciare il tema principale, le sue caratteristiche: pubblicista, autentico suscitatore dello studio della mafia e della mafiosità intrecciate con la sicilitudine, testimone politico dell’Italia dagli anni sessanta a quelli novanta.
La passione per gli Illuministi, l’opzione per Stendhal, il sodalizio con Gesualdo Bufalino e V. Consolo e alla lontana con A. Camilleri, la prossimità con la terra di Pirandello (Raffadali): sono gli assi portanti della sua letteratura.
Tra i romanzi a sfondo politico-poliziesco rientra L'affaire Moro, preceduto da Todo modo e Il Contesto, che sono già inchiesta romanzata sul tarlo corrosivo della DC e della politica italiana.
Debbo dire che ho sempre ammirato la perfetta simbiosi tra forma e contenuto nei suoi romanzi, ed insieme: la concisione, il lampo ironico e la maestria nell’uso delle metafore.
Leonardo Sciascia, 
Il contesto
L’incipit dell’Affaire ne è un esempio, laddove le lucciole illustrano il mondo “antico”, forse incontaminato, e nel contempo l’ambiente della Sicilia. Ma soprattutto sono invito a stare con Pasolini e con la sua critica al palazzo del Potere, in difesa della spontaneità dell’Italia rurale, soppiantata dall’Italia industrializzata e consumista.
Moro, alfiere della DC di lungo corso - fu tra i Costituenti - diventò, suo malgrado, martire dell’intransigenza dello Stato.
(Do per conosciuti i retroscena: nell’orizzonte di una strategia politica intesa a preparare le condizioni per includere nell’alveo costituzionaldemocratico i comunisti, Moro aveva preparato un governo con l’astensione del PCI. Fu nell’imminenza della presentazione alle Camere che avvenne il suo rapimento con l’uccisione della scorta. Via Fani di Roma, 16 marzo 1978).
Avendo io già un’età matura (32), posso da testimone render conto della unilateralità dello schieramento a difesa dello Stato e a sconfessione del terrorismo brigatista.
La cronaca storica dice che in quegli anni, dal ‘69 (strage di piazza Fontana) al 1980 (strage della stazione di Bologna) si dilungò la strategia della tensione, con la quale servizi segreti deviati e forze (apparentemente) occulte cercarono di destabilizzare la vita democratica dello Stato in favore di una svolta autoritaria.
Il brigatismo nasceva, secondo molti, dagli opposti estremismi. Personalmente ritengo che un sedimento “acido” del ‘68, dopo la grande spinta dell’autunno caldo, agisse come lievito dando vita al movimento del ‘77. Dalle università si propagò alle fabbriche, sedimentando le prime cellule brigatiste.
Costoro: gente invasata, interessata da un fanatismo ideologico senza eguali, operativi nel torbido clima latinoamericano e nel nido di vipere dei satelliti sovietici.
I loro comunicati parlavano di Stato Imperialista, prospettavano un tribunale del popolo, chiamavano alla rivoluzione.
Leonardo Sciascia, 
Todo modo
Il sospetto minimale è che si fosse davanti ad una guerra civile, ma la realtà, come scritto precedentemente, era fatta di episodi ripetuti, più o meno eclatanti, della strategia della tensione, e di rapine uccisioni e gambizzazioni su uomini simbolo, giornalisti in ispecie, di marca brigatista.
Fin troppo facile schierarsi in difesa dei valori democratici e costituzionali e ripudiare il brigatismo, che non ebbe mai dentro le fabbriche consenso tale da consentire legittime aspettative rivoluzionarie.
Nel caso Moro, però, lo scontro fu tra due opposti fanatismi. Perché al fanatismo brigatista si contrappose un fanatismo statalista, sul quale, con la guida di Sciascia e di R. La Valle, è possibile applicare l’etichetta dell’hegeliano stato etico.
Ripeto: la maggioranza (io tra questi) ritenne di dover difendere lo Stato, condannando Moro.
Attraverso la lettura dei documenti - le lettere di Moro, in primis- e la guida delle menti più illuminate, oggi spendo la mia penna per svelare l’inganno di uomini ed apparati che fecero passare Moro per persona non consapevole, le sue lettere come documenti alterati e non autentici, la sua morte necessaria per la salvezza dello Stato.
Ci nascondemmo (o ci fecero nascondere) allora dietro la cortina dell’indagine sulla vera identità dei brigatisti e sui mandanti esterni. La verità era molto più semplice e vicina: era l’insipienza di chi conduceva le indagini ed era la malafede di molta parte dello stato maggiore della DC, nemica occulta ed ad oltranza di una evoluzione del quadro politico del Paese.
Sciascia gioca sull’attributo, preventivamente assegnato a Moro, di grande statista.
Leonardo Sciascia,  
Il giorno della civetta
Per far esplodere la contraddizione con le lettere, a partire dalla prima, indirizzata a Cossiga (e non al capo dello Stato). Le altre lettere che insistono sul senso della famiglia, sul bisogno della sua famiglia, sul bisogno personale di Moro della sua famiglia, sulla equiparazione famiglia-partito-Stato, confermano il tutto.
Di riflesso, può scaturire: a - la tipica identità culturale italica che scambia famiglia con istituzioni (familismo sociale), b- lo specifico legame di Moro con la famiglia, c - la povertà culturale dei brigatisti che gestirono l’inoltro delle lettere tra intento propagandistico, pericolo e segretezza, d- il sopraggiungere posticcio della dimensione dello statista in Moro, e- la misera e brutale manipolazione fatta dal comitato delle indagini e dagli organi d’informazione sulle lettere di Moro.
Ecco la ragione per cui ho scritto prima di stato etico di matrice hegeliana.
Hegel definiva lo Stato “sostanza etica consapevole di sé” includendovi una universalità concreta,  frutto dialettico dell’unità tra famiglia e società civile. In concreto sottraeva la morale agli individui (persone) e la dispensava dal vertice istituzionale dello Stato: ciò che è bene e ciò che è male.
Male, in quel frangente, è la proposta individuale di Moro di volere il bene particolare suo: la salvezza, al posto del bene universale dello Stato: la cattura dei brigatisti.
Ma cattura non vi fu, peraltro, né il dilemma reale era tale nelle stanze del comitato d’indagine!
Il fronte dei mediatori dello scambio, possibilisti o favorevoli, era esiguo e variegato allo stesso tempo.
Scarto i socialisti, dove Craxi maramaldeggiava dietro la spinta della rivalsa, che stava conducendo a sfavore dei compagni comunisti (operazione Proudhon). Restano: PaoloVI, i radicali, e figure singole (tra i quali si distinse R. La Valle).
Leonardo Sciascia,
A futura memoria
I radicali conducevano la loro battaglia all’insegna del liberalismo radicale.
Paolo VI era stato “compagno di esperienze” di Moro.
Raniero La Valle imbastiva l’istanza del rinnovamento spirituale ed ecclesiale da un lato e dall’altro un cammino di nuova partecipazione politica democratica (pattuglia dei comunisti indipendenti). Di recente Raniero, instancabile stimolatore della vita socioculturale del nostro Paese, favorendo la celebrazione di una messa a suffragio di Moro (9 maggio 2018) ha reso pubblica la testimonianza del cardinale Bettazzi, che imbarcatosi allora sulla strada della trattativa, cozzò contro il rifiuto della Curia romana, allineata con il partito della fermezza, per esplicita paura del comunismo.
Di mio aggiungo: allora si metteva alla gogna l’argomento sinistrorso e comunisteggiante che recitava: il privato è pubblico.
A posteriori io noto che furono gli altri, ovvero i cantori del liberalismo formale e garantista ad utilizzare tale principio e a farlo passare, con l’aiuto degli organi di stampa, come norma indiscutibile.
La famiglia di Moro, che si cercò di tirare tra le istituzioni, denunciò la ragion di Stato e non volle i funerali di Stato. Ancora adesso conserva un distacco ed una tutela della privacy ammirevoli.
Moro, perché di lui si parla, nel corso degli anni aveva preso parte  in maniera sui generis alle vicende della DC. Da lui partirono gli imput per i governi del centrosinistra, e, in questa logica, aveva predisposto il piano del compromesso storico.
Docente di Diritto, aveva già per tempo esplicitato il suo favore a tutela della vita del cittadino, messo a confronto con la astratta ipotesi della trattativa con entità nemiche dello Stato (1).
1.L. Sciascia, Affaire Moro.

6 commenti:

  1. Caro Rosario, ho letto e riletto il tuo post, così attuale nella pregnanza dei suoi simboli e dei significati che rimandano al nostro ambivalente presente ed ai suoi opposti estremismi e fondamentalismi. Per quanto riguarda l'affaire Moro, condivido del tutto le tue riflessioni, sono contento di essere (e di essere stato) in sintonia con persone come te, Bettazzi e Raniero La Valle... Ciao. Aspetto con ansia la tua piena ripresa fisica.

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    1. Sulla stessa lunghezza d’onda! E cresce la nostra amicizia.. un abbraccio 🤗

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  2. (dopo ripetuta lettura) grazie Rosario e grazie di guidare così sapientemente attraverso la tua scrittura, ad una lettura-comprensione più profonda del caso Moro, tragico. grazie anche per la delicatezza di riprendere al secondo punto -stato etico-, serviva a noi lettori. circa piazza Fontana, c'era stata la contro informazione sulla strage di Stato. torno a Moro. tu eri per la difesa dello Stato. ti ammiro molto per essere così leale onesto coraggioso, di dirlo(parresia). Moro- Radio3 ne ha parlato, meglio sviscerato. non ha tralasciato un solo dettaglio, quindi anche il rifiuto della Curia romana.. l'ascolto è stato forte toccante commovente. in tutta sincerità, si ascoltava, si piangeva. ora smettiamo di piangere. proviamo a rasserenarci -su tutti i fronti-. stai bene ciao P. S. avevo perso primo commento (persa connessione). mi era già successo con altro-i articoli tuoi e di Rossana Rolando. lasciavo per scoraggiamento ma mi dispiaceva tanto. ora ho insistito..ma allo sfinimento. certo, certo che vale la pena, sempre.

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  3. Rispondo al tuo così partecipe commento, soddisfatto di aver suscitato sensibilità, passione e riflessione. La via dialogica è sempre maestrale questi riscontri valgono tanti e tanti encomi. Grazie🙏🌈

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  4. Fanatismo statalista ... non avevo riflettuto su questa ottima definizione. Ho pianto per la morte di Moro, ancora oggi ho pensato che si poteva evitare e si poteva restituire l'uomo buono e l'eccellente politico alla sua famiglia.

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  5. Grazie Maria per il commento e per l'attenzione a questi temi di impegno civile, qui e sul tuo bellissimo blog. Un caro saluto.

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