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lunedì 13 gennaio 2020

Quaestio veritatis: valutazione e violenza.

Caro docente, dimmi come valuti e ti dirò chi sei.
Post di Gian Maria Zavattaro 
Vignette di Rattigan (qui il sito), con gentile autorizzazione.

Rattigan, 
 Valutazione scuola 
(ironico riferimento al bonus premiale)
Premessa.  Credo che tutti possiamo essere d’accordo sul principio che il tempo-spazio scuola, se vuole produrre cultura ed umanità, non debba essere mortificante ma liberante e che lo studio, pur esigendo fatica e rigore, non debba essere angosciante. Credo inoltre che tutti possiamo assentire che ciò è possibile solo sulla base dell’impegno quotidiano di ogni singolo docente, purché deontologicamente competente e gratificato da un dignitoso riconoscimento economico e sociale.
I trascorsi ultimi mesi - nell’andirivieni di almeno tre improvvisati ministri all’Istruzione scelti con l’ottica della spartizione partitica dei cymbalis bene sonantibus e non certo nella logica della comprovata riconosciuta capacità - hanno comunque riproposto in primo piano “il problema scuola”, ovvero la consapevolezza delle mille emergenze omissioni contraddizioni che affliggono il delicato determinante compito educativo degli insegnanti. Non intendo entrare nel merito della querelle politica. Preferisco limitarmi - non a caso in questo mese dedicato agli scrutini intermedi - a sottolineare un aspetto della competenza richiesta ai docenti che da solo meriterebbe l’ammirazione tangibile di chi pretende di governare e legiferare.
Rattigan, 
Primo giorno di scuola
Si tratta della valutazione (1). Caro Docente, dimmi come valuti e ti dirò chi sei come insegnante. Dimmi come valuti e ti dirò se e quanto sia decisiva la tua azione formativa per la progressiva maturazione dei tuoi alunni che hanno bisogno di un continuo riscontro lungo il cammino del loro apprendimento. Dimmi come valuti e ti dirò quale sia il livello della tua autorevolezza ai loro occhi. Dimmi infine come valuti e ti dirò chi sei anche come persona, perché il tuo modo di valutare è sintomo del modo di comunicare con te stesso e con gli altri oltre che indicatore della tua effettiva competenza professionale.
La valutazione è prima di tutto un processo di auto ed etero educazione: presuppone la conoscenza di se stessi, la capacità e la volontà di comunicare, incontrare e capire le persone. Non c’è valutazione senza comunicazione, la quale è linguaggio di contenuti e di relazioni, verbali e non verbali (2). Comunicare è interagire; interagire è scambio di continue reciproche valutazioni all’interno di una precisa definizione di relazioni con la classe ed ogni alunno. Quale tipo di definizione della relazione contrassegna la relazione con la tua classe? Permissiva, flessibile, autocratica, rigida, simmetrico competitiva, democratica?
Una comunicazione disturbata (comprensiva del comunicare di non comunicare) produce valutazioni altrettanto patologiche. Se il docente non sa comunicare, se non ha consapevolezza delle interazioni verbali e non verbali proprie della relazione didattica, la sua valutazione è già in partenza inattendibile.
Rattigan, 
Buona scuola
Poiché la valutazione è espressione dell’autonomia professionale della funzione docente nella sua dimensione individuale e collegiale, il suo significato non è quello di giudicare le persone mettendone in forse l'autostima, ma di verificare la produttività educativa. E’ un atto educativo che ha una precisa funzione promozionale formativa ed orientativa: invita l’alunno a prendere consapevolezza dei suoi limiti e delle sue possibilità, guida la sua crescita per un apprendimento “significativo” (che produca cambiamenti, sottolinei il valore formativo di qualunque conoscenza o competenza acquisita, gli faccia compiere un passo in avanti rispetto alle idee, convinzioni e abilità prima possedute) ed insieme è strategia educativa efficace, essenzialmente finalizzata alla costante verifica del proprio insegnamento. Il docente professionalmente serio è colui che si distingue per l'atteggiamento critico verso il proprio insegnamento: consapevole che la propria soggettività rischia di essere disturbata da meccanismi proiettivi, pregiudizi e stereotipi,  sa benissimo che non è possibile esprimere una corretta valutazione finale se ha ridotto il suo rapporto con gli allievi alla sola dimensione quantitativa. (3)
Non c’è comunicazione senza feed-back, senza informazione di ritorno, che naturalmente non si esercita nella mera registrazione fiscale dominata dalla  preoccupazione di riempire i registri elettronici, ossessionando e tormentando l’alunno con continue eccessive verifiche comunque denominate, i cui risultati vengono poi comunicati fuori tempo massimo (4). 
Rattigan, 
La carta del docente
Valutare è comprendere l’allievo, capire il suo vissuto, cogliere gli aspetti variegati della personalità in un contesto di relazioni interpersonali volte ad umanizzare e rispettare l'alunno. Ciò  vale anche ed in specie per la valutazione negativa (5).
Altrimenti la valutazione diventa violenza (peraltro già in qualche modo instaurata istituzionalmente con le classi da trenta-trentacinque alunni...).
Il docente che valuta è a sua volta valutato: nulla nell’educazione è privo di effetto e di un riscontro simmetrico su chi agisce. Il bello della scuola è questa inevitabilità della comunicazione-valutazione che avviene anche se non la si vuole, anche se non la si considera, anche se non si è capaci di vederla.
In conclusione, la valutazione diventa violenza ed anzi assume una chiara valenza antieducativa se il docente: 
- non sa comunicare, non ha consapevolezza delle interazioni verbali e non verbali proprie della relazione educativa, non sa inserire il suo  intervento nel contesto sistemico della classe e della scuola
-  non è consapevole della interdipendenza comunicazione-valutazione  
- pratica la valutazione nel significato fiscale e  non promozionale
- non sa  ascoltare l’altro (la sua parola, il suo volto, la sua voce, il suo sguardo, i suoi  gesti) uscendo da se stesso
- le sue misurazioni -  alle quali gli alunni (e i genitori!)  non riconoscono il marchio della competenza e del rigore docimologico, prive come sono del crisma dell’autorevolezza -  non sono riconosciute attendibili.
Rattigan, 
Benedizione scuola
Con tutto ciò la valutazione è e deve rimanere "soggettiva”, ma nell'unico significato corretto possibile: atto responsabile di un soggetto interiormente libero e di un professionista consapevole della propria competenza esercitata all’insegna dell’I Care.
Allora avrà senso richiedere a gran voce la valorizzazione sociale  ed economica della professione docente, perché la contropartita sarà una diffusa corresponsabile elevata deontologia.



✴️ Note.
1. Il presente post è una sintesi di varie comunicazioni rivolte ai docenti del Liceo “G. Bruno” di Albenga, dove ero preside tra il 2004 e il 2012.  
2. Nella comunicazione è sempre presente la metacomunicazione (che cosa comunica la mia comunicazione?).
3. Qualche esempio banale: come si può interrogare e valutare con pretese “oggettive” senza prepararsi prima i quesiti sulla base degli obiettivi proposti, senza tenere presente la personalità dell'alunno che ci sta di fronte, senza stabilire prima i  parametri di giudizio, senza comunicare in modo trasparente e motivato la valutazione?  Come si possono "correggere" i compiti senza una griglia di valutazione preventivamente comunicata e discussa con gli alunni ? A che serve – se non a farsi percepire come funzionario fiscale?
4. A che serve consegnare i compiti corretti dopo un mese o due, quando il senso del feed-back è quello di rendere immediatamente consapevole l’insegnante dell’efficacia della sua azione didattica e l’alunno degli  errori, difficoltà progressi del suo apprendimento? Come corollario del fiscalismo valutativo non c’è poi da stupirsi della frenetica cultura del voto, come valore fine a stesso, che anima tanti genitori ed alunni, nella confusione tra emulazione e competizione.
5. In presenza di insufficienti apprendimenti i docenti non possono prescindere dalla responsabilità di esprimere valutazioni negative. In questi casi il compito delicato è stabilire con gli studenti e le famiglie una franca comunicazione che consenta loro di cogliere ciò che di costruttivo è insito anche nella  valutazione negativa: non si tratta di punire ed escludere, ma di aiutare lo studente a conoscersi e capirsi, a riconoscere la propria attuale incompetenza per riprendere il cammino di crescita, comunicandogli  fiducia nelle sue capacità  e vedendo “non quanto le sue spalle siano ancora inadeguate, ma quanto un giorno si dimostreranno robuste” (J. Hofer). Cosi intesa, la valutazione negativa è la prova del nove dell’irrinunciabile autentica vocazione educativa della scuola a promuovere  cultura ed umanità.    

8 commenti:

  1. Grazie. A volte credo di essere sola, di lottare con pochissimi e di non riuscire a cambiare nulla, se non la mia parte. A volte penso di essere nel torto perché mi si richiede sempre di fare qualcosa di diverso da ciò che reputo giusto. Ma poi una mattina, di lunedì, dopo una domenica illuminante e riscaldante grazie ad una buona predica, leggo questo articolo e mi metto in moto in maniera positiva e propositiva. Grazie.

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  2. Gent.le Daniela, grazie a te. Quanto scrivi raffigura la speranza, che è il cuore e l’anima della paideia. Mi auguro – anzi sono convinto - che siano tanti i giovani insegnanti che scandiscono il percorso dell’anno scolastico ricominciando ogni lunedì, anzi ogni giorno, a spandere respiri di speranza ai loro alunni (e magari anche ai colleghi).

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  3. Non posso non ricordare come nella scuola dei miei tempi- ho 74 anni- la valutazione fosse una vera arma nelle mani degli insegnanti. La mia era una scuola selettiva fin dalle prime classi elementari, in cui si partiva in 40-42 e via via, anno dopo anno, si perdevano compagni.
    Letteralmente sparivano, abbandonavano la scuola per sempre.
    Chi proseguiva, dopo un doppio esame di licenza elementare e di ammissione alla scuola media- tanti andavano alle scuole di avviamento al lavoro-continuava ad essere selezionato e la cosa più grave, secondo me, era che la valutazione rimaneva segreta, chiusa nei registri dell'insegnante, per cui l'alunno veniva messo al corrente solo dei voti finali. Uscii meravigliata dalla scuola media con voti eccellenti. Mi piaceva studiare e lo facevo con facilità senza che mi richiedesse sforzo, ma non sapevo quali fossero le mie inclinazioni. Gli insegnanti avrebbero dovuto e potuto aiutarmi a fare un po' di chiarezza. Continuare con il ginnasio e poi con il liceo è stata la logica conseguenza della mia voglia di studiare e di una curiosità a tutto tondo. Il metodo di valutazione diventava sempre più rigido, rimanendo coperto dal segreto- chi ha la mia età si ricorda bene come il voto delle interrogazioni rimanesse nascosto a chi doveva più interessare, cioè l'alunno-insieme alla minaccia di bocciatura.
    Quindi controllo, attraverso l'incognito e minaccia, a cui si aggiungeva la spinta alla competizione. Guai a " suggerire", a " copiare o far copiare", chi era più debole doveva soccombere. La parola collaborazione, lavoro di gruppo, incentivo allo scambio di opinioni, non esisteva.
    Purtroppo non eravamo nemmeno abituati alla consapevolezza delle nostre inclinazioni a meno che non fossero spiccatissime.
    Infatti ho faticato non poco a capire che la mia era " un'intelligenza riflessiva", giudizio scritto sul registro della mia insegnante di italiano delle medie, a me rimasto sconosciuto per tantissimi anni e scoperto occasionalmente molto tempo dopo.
    Oggi la scuola è cambiata e per fortuna. Non è più selettiva, almeno nella scuola dell'obbligo, il che vuol dire che nessuno viene più scartato. Certo ci sono gli abbandoni scolastici e questo credo sia il problema principale. La valutazione, tesa a sottolineare il progresso, deve interessare per primo l' alunno. Solo dopo il genitore se si vogliono formare persone responsabili e mature.
    Lo spirito della classe è collaborativo, di aiuto reciproco, di capacità di lavorare insieme.
    Non voglio entrare nel merito della valutazione degli insegnanti e dei bonus economici elargiti secondo discrezionalità, al merito. Il successo di un insegnante è quello di far emergere le potenzialità degli alunni e di risvegliarne la curiosità per ogni sapere. Ogni sforzo, ogni progresso della classe e del singolo alunno va riconosciuto.
    L'incentivo al merito del singolo docente invece che a tutta la categoria degli insegnanti, no.

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  4. Gentile Maria Paola, grazie per le sue riflessioni, non solo molto interessanti ma assai pertinenti. Anch’io, che mi avvio verso i 75 anni, non posso non concordare con la Sua testimonianza circa le modalità di valutazione dei nostri tempi, “un’arma nelle mani dell’insegnante”, come Ella ben tratteggia. Il che significa che, nonostante tutti i limiti (soprattutto istituzionali) della scuola italiana, i suoi operatori l’hanno resa e la rendono quotidianamente più liberante, più rispettosa della dignità della persona dello studente, più attenta ai suoi bisogni, in una parola più democratica. Quanto al merito (no al merito del singolo docente) condivido pienamente il suo no, eloquentemente illustrato nella prima vignetta da Rattigan.

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  5. Me la caverò con poco, rinviando al concetto portante del tuo scritto, Gian Maria, la valutazione si colloca dentro una prospettiva relazionale. Purtroppo non prima, ma neanche adesso, tranne esigue e lodevoli minoranze di docenti, se ne assume il principio. La ragione è :non si insegna ad insegnare e molti docenti assumono la valutazione entro la nicchia della propria competenza disciplinare. Alla grande Gian Maria!🤗

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    1. Giustamente focalizzi e poni in evidenza la vistosa carenza formativa delle nostre scuole, in cui il novello insegnante è di brutto gettato nel mare della scuola e deve arrangiarsi ad imparare a nuotare. Aggiungo solo una provocazione: se la relazione docente-studente rimane un rapporto di reciproca diffidenza o di incomprensione o di penosa sopportazione, come sperare di educare una generazione di studenti ad essere pronti alla democrazia?

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  6. Grazie, Gian Maria, delle sue illuminate riflessioni. Saluti cordiali.

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  7. Grazie, gent.le Maria. Non so se illuminate, certamente sofferte di fronte ad una realtà contraddittoria, ma insieme invocazioni di speranza.

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