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venerdì 31 luglio 2020

A. Leogrande, La frontiera: vedere e non vedere.

Alessandro Leogrande, La frontiera. Che cosa è la frontiera? “Una linea fatta di infiniti punti, infiniti nodi, infiniti attraversamenti. Ogni punto una storia, ogni nodo un pugno di esistenze. Ogni attraversamento una crepa che si apre. E’ la frontiera."
Post di Gian Maria Zavattaro
Illustrazioni di Stefano Bosis (qui il sito).

Alessandro Leogrande, La frontiera, 
Feltrinelli 2015
“È a voi che mi rivolgo, giovani di tutti i paesi. Poiché in voi è il potere più grande del mondo: l’avvenire. Siate intransigenti quando si tratta di amare. Non indietreggiate, non venite a compromessi. Ridete in faccia a coloro che vi parleranno di prudenza, di convenienza. E poi soprattutto, abbiate fede nella bontà degli uomini. In ogni cuore di uomo vi sono dei tesori inestinguibili d’amore: tocca a voi farli scaturire. Siate coscienti del dovere che vi tocca di creare del benessere per tutti gli uomini, vostri fratelli. Lottate a viso aperto. Accusate a voce alta. Non sopportate l’inganno attorno a voi. Vi ho preceduto. Vi aspetto”. (Messaggio di Raoul Follerau, fondatore della Giornata mondiale dei lebbrosi stampato da  tip. L. Parma, Bologna,1962). 

Ero adolescente allora, deciso a lasciarmi conquistare dal grido di Follerau, e nel corso degli anni tra il pullulare delle mie deplorevoli contraddizioni  ho cercato di lottare a viso aperto, accusare a voce alta, non sopportare l’inganno, scoprire in ognuno tesori inestinguibili d’amore, cosciente del diritto al benessere per tutti gli uomini, nostri fratelli.
Ho ritrovato l'analogo conturbante invito “Vi ho preceduto. Vi aspetto” in  La frontiera di Leogrande (1), il più travolgente  dei libri letti e riletti nei mesi sospesi. Libro che non dà adito all’ipocrisia e attraverso la voce dei migranti e le loro inenarrabili vicende presenta la realtà impietosa e contraddittoria della “frontiera”, la speranza-disperazione di chi tenta di cavalcare il mare e scavalcare i muri per fuggire dall’inferno.
Stefano Bosis, 
Diritto dei migranti
Non provo neppure a riassumere le storie, i vissuti individuali e collettivi descritti da Leogrande, riferiti agli anni 1998-2015. Non c’è alternativa alla lettura diretta delle sue pagine, se vogliamo “vedere” e non dissipare l’afflato e le testimonianze interviste riflessioni che trasudano dal libro di questo scrittore-giornalista morto a quarant'anni improvvisamente  nel 2017, prima dunque delle ancor più dolenti vicende di questo ultimo lustro, legate all’aggravarsi del contesto globale e, per l’Italia, agli indegni decreti sulla “sicurezza” del 1° governo Conte, auspicando che il 2° Conte non perda altro tempo e si affretti ad annullarli e modificarli. Mi limito a pochi interrogativi sullo sfondo emblematico dei 368 annegati a Lampedusa il 3 ottobre 2013. 
Perché parlare della frontiera e dei migranti in pieno covit? Perché non so se l’invasione del virus ci abbia aperto gli occhi sulla crudezza della  solitudine, dell’abbandono, del dolore e della morte nella derelizione.  Non so se ci abbia direttamente od indirettamente segnato e fatto  toccare con mano (metaforicamente!)  i patimenti dei poveri divenuti ancor più poveri e pressati a premere alla frontiera di ognuno di noi nel dilagare del virus. Così la “frontiera” con tutta la sua ambiguità è oggi paradigma, personificazione-rappresentazione delle nostre contraddizioni: da una parte le sofferenze umiliazioni di tutti gli ultimi, sfruttati disperati perseguitati oppressi affamati abbandonati, che affollano il mare e sbarcano - chi ce la fa - sulle nostre spiagge estive e dall’altra la spensieratezza di coloro che  affollano le spiagge, indifferenti, sempre più incuranti delle norme di protezione, quasi a voler preannunciare l’inesorabile nemesi di condanna di sé e degli altri.
Stefano Bosis, 
Camminare
L’unico modo di "vedere" e capire l’orrore del mondo non è la reazione emotiva, pur legittima, di fronte ad una fotografia straziante: essa svapora subito. Leogrande più volte avverte: ci vuole tempo per vedere e capire. Ci vuole molto tempo per comprendere che le notizie e le immagini non sono solo  la violenza di un giorno preciso, di un momento, ma la storia di ogni giorno, spesso nascosta e non conosciuta.
Bisogna farsi viaggiatori come loro: vedere ed ascoltare dalla voce di chi ha oltrepassato i confini come essi sono fatti, come sono fatte le città e i fiumi, le muraglie e i loro guardiani, le carceri e i loro custodi, gli eserciti e i loro generali, i predoni e i loro covi, come sono fatti i compagni di viaggio e perché a un certo punto li si chiama compagni. Come sono fatte le barche. Come sono fatte le onde del mare. Come è fatto il buio della notte. Come sono fatte le luci che si accendono nell’oscurità. Quelle voci sono plasmate con la stessa pasta dei sogni. Si riempiono di rabbia e utopia, desiderio e paura, misericordia e furore” (2). 
Perché migrano? Bisogna scavare per riuscire a capire. Alla base di ogni viaggio c’è “un fondo oscuro, una zona d’ombra” che raramente viene rivelata: grovigli di pulsioni e ferite segrete appesantiti dalle violenze e dai traumi subiti, nauseati dall’odore della morte che ha sfiorato tutti, dalla violenza che non concede alternative: “motivi che hanno spinto tanti a partire e tanti altri ad andare incontro alla morte” (3). 
Stefano Bosis, 
Il viaggio dei coriandoli
Che cosa è la frontiera? “Una linea fatta di infiniti punti, infiniti nodi, infiniti attraversamenti. Ogni punto una storia, ogni nodo un pugno di esistenze. Ogni attraversamento una crepa che si apre. E’ la frontiera. Non è un luogo preciso, piuttosto la moltiplicazione di una serie di luoghi in perenne mutamento, che coincidono con la possibilità di finire da una parte o rimanere nell’altra” (4). 
I testimoni interpellati hanno tutti un volto, un nome a volte fittizio. Le crude immagini dei loro cellulari “mi sembravano del tutto prive di pudore, infinitamente sgraziate, incomprensibili al di là del dato evidente della morte di massa, del perpetuarsi di una carneficina talmente assoluta da apparire lontana dal nostro orizzonte”. Non solo il naufragio di Lampedusa, ma gli innumerevoli annegamenti spesso ignorati,  come i 600 morti nella notte del 28.3.2009 al largo della costa libica, quasi per caso scoperti; la longa manus dei trafficanti come Hanafi; l’uccisione sadica per opera degli scafisti di Raghad bambina siriana diabetica di 11 anni, subito buttata a mare tra lo strazio dei genitori; le traversie dei viaggi per terra, violenze estreme indicibili come l’inferno nel deserto del Sinai delle “case con il tetto a pagoda"(torture, stupri, tratta di donne e bambini,  traffico di organi vitali estirpati alle vittime abbandonate poi nel deserto); non ultime le violenze perpetrate in Italia ad es. nel Cpt “Regina Pacis” di S. Foca affidato a don Cesare Lodeserto, poi condannato....(5) 
Stefano Bosis, 
Madre
Una luce nel buio: tanti giovani, insegnanti, organizzazioni di volontari come Marco Elena Cecilia Carolina…don Mussie Zerai prete cattolico eritreo (6), Alganesh Fessaha eritrea, lo sceicco Mohammed Abu Bilal… 
La consegna di Leogrande mi pare racchiusa nel cap.13, dedicato a papa Francesco ed  alle parole da lui pronunciate l’8 luglio 2013 nel corso del suo primo viaggio apostolico del suo pontificato a Lampedusa, tre mesi prima del grande naufragio: “Chi è il responsabile del sangue di questi fratelli e sorelle? Nessuno! Tutti noi rispondiamo così: non sono io, io non c’entro, saranno altri, non certo io. Ma Dio chiede a ciascuno di noi: "Dov’è il sangue di tuo fratello, che grida fino a me?” Siamo caduti nella globalizzazione dell’indifferenza. Ci siamo abituati alla sofferenza dell’altro, non ci riguarda, non ci interessa, non è affar nostro” (7).
Ecco la consegna: vedere, essere coscienti del dovere che ci tocca di creare del benessere per tutti gli uomini, non sopportare l'inganno intorno a noi, ridere in faccia a coloro che ci parlano di prudenza e di convenienza, perché si deve essere intransigenti quando si tratta di amare. Il tutto condensato nel grido di solidale fratellanza ed apocalittica speranza che ritrovo nella citazione in epigrafe a p.5:
Vidi poi un nuovo cielo e una nuova terra, perché il cielo 
 e la terra di prima erano scomparsi e il mare non c’era più.
(Apocalisse 21,1)”

Note.
Stefano Bosis, 
Il viaggio di A.
1. Alessandro Leogrande, La frontiera, Feltrinelli, MI,  5° ed. gennaio 2019. Nato a Taranto nel 1977, muore a Roma improvvisamente nel 2017. Scrittore e giornalista, ha collaborato con molte riviste e giornali e con Radio Rai3 e Radio svizzera italiana. Per dieci anni vicedirettore del mensile "Lo straniero" (diretto da G. Fofi, suo "maestro"). Numerosi i suoi saggi, tra i quali Uomini e caporali (vite maledette dei braccianti stranieri della Capitanata), Fumo sulla città (ancora ambientata nella sua Puglia),  Il naufragio (affondamento di una nave albanese speronata dalla corvetta Sibilla della Marina militare italiana: 57 morti, 24 dispersi, 34 superstiti).  Chi lo conosceva lo ricorda sempre dalla parte degli ultimi, narratore serio, pieno di passione, dalla grande capacità di ascolto, con "il coraggio dei buoni e la tempra di reporter di razza, il migliore della sua generazione".  Il padre così lo tratteggia: "in difesa dei ferocemente sfruttati nei più diversi contesti: nell'ambito del caporalato, degli immigrati, dei desaparecidos in Argentina, e ovunque ci sia stato un sopruso”.
2. A. Leogrande, o.c., pp. 313-314.
3. o.c. p.313.
4. o. c. p.40.  Che cosa indica la parola frontiera? “Una linea lunga chilometri e spessa anni. Un solco che attraversa la materia e il tempo, le notti e i giorni, le generazioni e le stesse voci che ne parlano, si inseguono, si accavallano, si contraddicono, si dilatano. Sinonimo di impazienza, per molti, per altri di terrore. Per altri ancora coincide con gli argini di un fortino che si vuole difendere. La frontiera corre sempre nel mezzo. Di qua c’è il mondo di prima. Di là quello che deve ancora venire e forse non arriverà mai”. cfr. p. 314.
5. Spesso il nome è fittizio per  preservare da possibili rappresaglie. Penso alle vicende  del curdo Shorsh, Alì sudanese, il somalo Hamid, gli  eritrei Syoum, R.  Behran  Adhanom D Gabriel, Yvan camerunense, Konstantinos Papaioannou greco, gli afghani Hamad Aamir Ansori… Leogrande ci porta a bordo delle navi dell’operazione Mare Nostrum, dei barconi-madre fatiscenti  che trascinano altre fatiscenti barche, ci fa conoscere i passeurs gli scafisti i trafficanti  quelli nascosti che tirano le fila e si ingrassano con l’estorsione, i  baby scafisti (come il sedicenne Abdel costretto a baby-scafista), le storie dei sopravvissuti ai naufragi, le vicende degli eritrei  afgani…,  la frontiera greca  italiana  dei Balcani, la Libia devastata ed i gulag  spietati del Sinai,  i Cie italiani e i loro soprusi, la violenza della periferia romana “e quella delle nostre anime,  il buco nero del diritto comunitario e delle nostre coscienze”,  i blocchi navali e il disastro dei flussi impossibili da arginare in Grecia nei Balcani  a Ventimiglia,  le polizie di frontiera, i centri di detenzione, le navi militari, i soccorsi, gli aiuti, i tir, le corse e le rincorse, gli stop e i respingimenti…  (v. p.313).
6. Per una puntuale informazione sulla storia del recapito telefonico noto a tutti i migranti, sulla figura e l'opera di  don  Mussie Zerai, cfr. la recente intervista dell’8 luglio 2020 di Voci Globali https://vociglobali.it/2020/07/08/abba-mussie-zerai-sacerdote-e-attivista-migrante-tra-i-migranti/ 
7. cfr. cap 13 di o.c. pp.130-133.

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8 commenti:

  1. Molto interessante: tutte le puntate di Wikiradio curate da Alessandro Leogrande. Grazie di cuore!

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  2. Vedere! Si torna sempre lì! E della vista si scende al cuore...Partecipare, condividere, accogliere. Lo diciamo in mille modi, sotto la sollecitazione continua di Papa Francesco.
    Eppure il libro che ci hai illustrato, caro Gianmaria, aggiunge qualcosa di nuovo,sia per il protagonismo dell’autore- coinvolto e partecipe - sia per l’esplorazione della figura del migrante. Ne sortisce la configurazione problematica della “ frontiera”: detta e riletta in mille modi, presa anche come linea mobile della dinamica di una potenza ( America), definita spesso come muro di incontrovertibile divisione... In questo caso, opportunamente: “ponte di comunicazione”, linea mobile- speriamo in avanti - di socializzazione interculturale. Grazie 🙏

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  3. Da come tanta gente si sta comportando in questi giorni di vacanza estiva - intolleranti imitatori clonati e gratificati nel non pensare dai comportamenti e atteggiamenti di certi politicanti - pare abolito “il distanziamento sociale” (bruttissima espressione entrata in uso) contrassegnato dalla mascherina ed il metro di separazione. In realtà è la sconfitta della ragione e dell’istinto di conservazione, è l’apologia di una insuperabile distanza sociale, delle barriere frontaliere che ognuno erige davanti ed intorno a sé, per difendere le proprie spettanze e conservare le proprie illusioni, groviglio di stupidità cinismo indifferenza, dove tutti se la ridono infettando anche chi non ci sta e trascinando verso l’abisso. Caro Rosario, fermi nel nostro ottimismo tragico (“il ponte di comunicazione”di cui scrivi) continuiamo ad esercitare la parresia, anche gridando nel deserto.

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  4. Il discorso sulle contraddizioni mi fa venire in mente una brevissima novella del Verga intitolata "L'agonia di un villaggio" in cui si parla di alcuni paesi minacciati da un'eruzione dell'Etna.
    Il Verga descrive da un lato la processione dolorosa dei paesani in fuga con le loro povere masserizie e dall'altro la folla di curiosi che andavano a godersi lo spettacolo del vulcano insieme al vociare giulivo di chi vendeva loro bibite in baracche improvvisate. Due mondi separati da un abisso!
    Mille grazie di questo post!!!

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  5. Gentile Annamaria, molto calzante il riferimento a Verga. La cosa terribile è che queste contraddizioni sono pane quotidiano, in ogni tempo e luogo. Un caro saluto.

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  6. Gentile Gian Maria, grazie della presentazione di questa alta figura di uomo e di giornalista, le cui riflessioni vanno meditate... Saluti cordiali.

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